In Italia circa 600.000 persone soffrono di Alzheimer, una malattia neurodegenerativa che colpisce la memoria e altre funzioni cognitive. Di questi, solo il 20% riceve una diagnosi precoce, mentre circa 3 milioni di familiari sono coinvolti nell’assistenza quotidiana dei pazienti. La malattia può avere un impatto devastante sulla vita dei malati e dei loro cari, influendo negativamente sul benessere psicologico ed economico delle famiglie. Il 21 settembre, in occasione della Giornata mondiale dell’Alzheimer, anche Papa Francesco ha ricordato l’importanza di sostenere i malati e le loro famiglie, auspicando che la scienza medica trovi presto nuove prospettive di cura: «Preghiamo affinché la scienza medica possa offrire presto prospettive di cura per questa malattia e perché si attivino sempre più opportuni interventi a sostegno dei malati e delle loro famiglie», ha detto il pontefice.
L’Alzheimer spesso inizia con piccoli segnali difficili da riconoscere. La progressione della malattia è lenta, e può impiegare 10-20 anni a manifestarsi completamente, partendo da una fase preclinica non sintomatica fino alla demenza grave. Spesso sono i familiari a notare i primi sintomi, anche se questi possono essere facilmente sottovalutati. Alessandro Padovani, direttore della Clinica neurologica dell’Università di Brescia e presidente della Società italiana di neurologia, spiega: «Inizia spesso con piccoli segni, di cui a volte non è facile accorgersi. A volte, soprattutto nelle persone avanti con l’età, questi piccoli deficit non vengono riconosciuti: dimenticare dove si è posteggiata l’auto, attribuire nomi sbagliati alle persone, o cambiare abitudini. È importante non ritenere che tutto questo sia normalmente legato all’invecchiamento».
Una delle sfide più grandi nel contrasto all’Alzheimer è la mancanza di informazione tra la popolazione italiana. Solo un italiano su dieci si considera ben informato sulla malattia, mentre quasi la metà teme di poterne soffrire personalmente o di vederne colpiti i propri cari. La campagna “Pensaci, per non dimenticarlo”, lanciata da Lilly, punta a sensibilizzare l’opinione pubblica sui primi segnali della malattia e sull’importanza di una diagnosi precoce. Secondo Camillo Marra, presidente della Sindem (Associazione autonoma per le demenze), l’Alzheimer colpisce il 7% della popolazione over-60 e il 30% di coloro che hanno più di 85 anni. Marra sottolinea che, con l’aumento dell’aspettativa di vita, la demenza è destinata ad acquisire sempre più rilevanza.
A Roma, una mostra fotografica alla Galleria dei Presidenti di Montecitorio racconta la vita quotidiana di una donna malata di Alzheimer attraverso gli occhi della figlia, l’artista Serena Becagli. Le fotografie immortalano momenti semplici e insieme profondi, come una caffettiera traboccante di caffè macinato o delle posate asciugate con carta igienica. Annarita Patriarca, deputata e co-presidente dell’intergruppo parlamentare per le neuroscienze e l’Alzheimer, commenta: «Iniziative come queste intendono accendere una luce per non dimenticare. Abbiamo bisogno di conoscere e far conoscere che cosa è l’Alzheimer e il sacrificio dei caregiver».
Per quanto riguarda la prevenzione, Sandro Sorbi, past president dell’Associazione italiana ricerca Alzheimer, sostiene che si può ridurre il rischio di sviluppare la malattia seguendo uno stile di vita sano, basato sulle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità. «Basta seguire le 12 raccomandazioni sugli stili di vita che tutti noi dovremmo adottare», spiega Sorbi. Tra queste raccomandazioni, un ruolo centrale è attribuito all’alimentazione, in particolare alla dieta mediterranea. Sorbi sottolinea anche l’importanza dell’attività fisica quotidiana, che può migliorare le capacità cognitive e ridurre il rischio di declino. «Circa mezz’ora al giorno di camminata a passo veloce, oppure un’attività in giardino e due volte alla settimana un’ora di attività fisica più intensa, sono sufficienti per ottenere benefici significativi».
Altre raccomandazioni riguardano il controllo della pressione arteriosa e della glicemia, poiché il diabete non trattato aumenta il rischio di sviluppare problemi cognitivi e l’Alzheimer. Sorbi evidenzia che, sebbene non esista ancora una cura definitiva, gli studi epidemiologici hanno mostrato una riduzione del rischio di Alzheimer in Europa e negli Stati Uniti negli ultimi dieci anni. Questo suggerisce che l’attenzione agli stili di vita sta già avendo un impatto positivo. Tuttavia, la situazione non è la stessa in tutto il mondo: nei paesi asiatici, ad esempio, si registra un aumento del rischio di demenza, in contrasto con quanto accade in Europa e Nord America.