L’INDIPENDENTE – SEMPRE MENO GIOVANI NELLE CITTA’ ITALIANE

Secondo il nuovo rapporto Istat intitolato “I giovani nelle città metropolitane: la fragilità dei percorsi educativi nei contesti urbani”, negli ultimi 30 anni le città della Penisola hanno perso circa 1,5 milioni di giovani tra 0 e 24 anni

Il numero di giovani che vivono nelle città italiane è in forte diminuzione. Secondo il nuovo rapporto Istat intitolato “I giovani nelle città metropolitane: la fragilità dei percorsi educativi nei contesti urbani”, negli ultimi trent’anni le città della Penisola hanno perso circa 1,5 milioni di giovani tra 0 e 24 anni. Questo calo corrisponde a una riduzione del 24,5% rispetto al 1993.

La riduzione della popolazione giovanile è attribuibile a diversi fattori, tra cui la diminuzione delle nascite, l’invecchiamento della popolazione e un’immigrazione non più sufficiente a compensare il declino demografico.

Al 1° gennaio 2024, i giovani tra 0 e 24 anni che risiedono nelle città metropolitane italiane sono circa 4,8 milioni, rappresentando il 36,8% della popolazione giovanile totale in Italia e il 22,6% degli abitanti complessivi delle città stesse.

Le città più colpite da questo fenomeno sono quelle del Sud Italia, dove il calo dei giovani è maggiore rispetto alla media nazionale. Napoli, Catania e Palermo sono tra le città che hanno perso il maggior numero di bambini e ragazzi. In particolare, Catania registra una diminuzione del 21,7% tra i giovani fino a 14 anni. A Palermo, la riduzione arriva al 24,6% nelle prime cinture urbane. La città metropolitana di Cagliari presenta un calo ancora più marcato, con una riduzione del 45,3% della popolazione giovanile.

Al Centro-Nord, la diminuzione è meno pronunciata, con Bologna che rappresenta un caso in controtendenza. Qui, la popolazione giovanile è aumentata del 13,2%, grazie soprattutto a un incremento del 42,4% dei bambini e ragazzi fino a 14 anni. Tuttavia, questa crescita è parzialmente compensata da una riduzione dei giovani tra i 15 e i 24 anni.

Il rapporto segnala che la crisi demografica è aggravata dalla migrazione di giovani adulti verso l’estero o altre regioni italiane, alla ricerca di migliori opportunità lavorative. Questo fenomeno influisce negativamente sull’economia e sulla cultura delle città metropolitane, già segnate dalla riduzione dei servizi per i giovani e da una crescente frammentazione sociale.

Il calo della popolazione giovanile ha un impatto anche sul sistema educativo. Negli ultimi cinque anni, le iscrizioni scolastiche nelle città metropolitane sono diminuite del 3,7%, con un calo particolarmente marcato nelle scuole dell’infanzia (-9,1%). Le scuole primarie e secondarie di primo grado hanno registrato diminuzioni più contenute, mentre le scuole secondarie di secondo grado hanno visto un lieve aumento delle iscrizioni (+2%).

Le differenze regionali sono evidenti anche per quanto riguarda il livello di istruzione. Nel Sud Italia, solo il 53,5% dei giovani stranieri tra i 20 e i 24 anni ha completato la scuola secondaria di secondo grado, rispetto all’88,6% dei giovani italiani.

Un altro dato rilevante riguarda l’accesso ai servizi educativi per la prima infanzia. Solo Bologna e Firenze raggiungono l’obiettivo del 45% di copertura stabilito dall’Unione Europea per il 2030. In città come Napoli e Catania, invece, la copertura resta sotto il 15%. Complessivamente, il 61,6% dei comuni delle città metropolitane dispone di almeno un servizio per la prima infanzia, contro il 52% del totale dei comuni italiani.

Tra le città con migliori risultati spiccano Firenze, Milano, Bologna e Bari, dove oltre il 90% dei comuni offre almeno un servizio per i più piccoli. A Reggio Calabria, invece, poco più di un terzo dei comuni dispone di tali servizi, mentre a Palermo la percentuale è inferiore al 40%.

LE ALTRE NOTIZIE IN EVIDENZA SU “ATTUALITA'”:

FAMIGLIA E NATALITA’:

ISTAT – L’ITALIA INVECCHIA: UN BAMBINO OGNI 6 OVER 65 E ETA’ MEDIA 46 ANNI

L’Istat ha pubblicato un nuovo rapporto sulla popolazione residente in Italia per l’anno 2023. Dai dati emerge che, per ogni bambino fino a 5 anni di età, ci sono sei persone che hanno più di 65 anni. In altre parole, un bambino ogni sei anziani. Inoltre, l’età media della popolazione italiana è salita a 46,6 anni, un aumento di 0,2 anni rispetto al 2022. Le donne hanno un’età media di 48 anni, mentre quella degli uomini è di 45,2 anni. Questo dato continua a salire, mostrando che l’invecchiamento della popolazione è un fenomeno in crescita. Rispetto all’anno scorso, la percentuale di bambini di età compresa tra 0 e 14 anni è scesa leggermente, passando dal 12,4% al 12,2%. La percentuale delle persone di età compresa tra 15 e 64 anni è rimasta stabile al 63,5%, mentre la percentuale di persone con più di 65 anni è aumentata, passando dal 24% al 24,3%. Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione riguarda tutta Italia, anche se si possono notare differenze tra le diverse regioni e comuni. Alcune zone del paese stanno vivendo questo processo più velocemente di altre. La Campania, che ha un’età media di 44,2 anni (era 43,9 nel 2022), è la regione più “giovane”, anche se l’invecchiamento sta comunque avanzando lentamente. Al contrario, la Liguria, con un’età media di 49,5 anni, rimane la regione con la popolazione più “anziana”, anche se non ci sono variazioni rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda i comuni, Platì, in provincia di Reggio Calabria, è il più “giovane” d’Italia, con un’età media di 37,2 anni, in leggero aumento rispetto al 2022 (era 37,0 anni). D’altro canto, Drenchia, un piccolo comune in provincia di Udine con solo 98 abitanti, ha l’età media più alta, che è di 65 anni, un valore leggermente superiore rispetto al 2022, quando l’età media era di 64,8 anni.

Altre notizie:

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ANSA – GLI ITALIANI FANNO SEMPRE MENO FIGLI

Il fenomeno del calo delle nascite in Italia continua a destare attenzione, e i dati provvisori relativi al 2024 confermano un ulteriore peggioramento. Secondo l’Istat, tra gennaio e luglio di quest’anno sono nati 4.600 bambini in meno rispetto allo stesso periodo del 2023. Francesco Chelli, presidente dell’Istat, ha evidenziato questa situazione intervenendo agli Stati Generali della Natalità, che si sono tenuti a Palazzo Lombardia. Durante il suo intervento, ha dichiarato: “Avremo un altro record negativo anche questo anno per il numero di nati in Italia”. Anche il 2023 aveva registrato un record negativo per quanto riguarda il numero di nuovi nati: in quell’anno sono venuti al mondo solo 379.000 bambini. Questo dato rappresenta un ulteriore ribasso rispetto agli anni precedenti e sottolinea come il problema si stia aggravando nel tempo. Analizzando un periodo più ampio, si nota una riduzione drastica delle nascite negli ultimi quindici anni. Dal 2008 al 2023, il numero di bambini nati in Italia è diminuito di quasi 200.000 unità, con una riduzione complessiva del 34%. La diminuzione delle nascite è attribuibile principalmente alle coppie di genitori entrambi italiani. Nel 2023, i bambini nati da coppie italiane sono stati 298.948, mentre nel 2008 erano 479.959. Questo significa che, nell’arco di quindici anni, c’è stato un calo di 181.081 nascite tra genitori di nazionalità italiana. Un altro dato significativo riguarda le nascite all’interno del matrimonio. Nel 2023, i bambini nati da genitori coniugati sono stati 218.948, un numero molto inferiore rispetto ai 259.823 del 2020 e ai 463.102 del 2008. Anche in questo caso, il calo è evidente e mostra come le dinamiche familiari stiano cambiando nel tempo.

ILMESSAGGERO – 3 MILA SCUOLE POTREBBERO SPARIRE A CAUSA DEL CALO DEMOGRAFICO

Il fenomeno del “degiovanimento”, ovvero la progressiva diminuzione dei giovani, mette a rischio la sopravvivenza di migliaia di scuole in Italia. È quanto emerge dal rapporto annuale della Svimez, presentato dal direttore generale Luca Bianchi. Il rapporto della Svimez analizza il futuro della fascia di età 5-14 anni, quella che costituisce il bacino principale per le scuole primarie. Nei prossimi dieci anni, il numero di bambini in questa fascia diminuirà drasticamente. Al 2035, si prevede un calo complessivo del 21,3% nel Mezzogiorno, del 26% nelle regioni del Centro e del 18% nel Nord Italia. Le cifre pubblicate sono allarmanti: Lazio: previsto un calo di 142.000 bambini. Campania: 122.000 in meno. Veneto: 96.000 in meno. Sicilia: 89.000 in meno. Puglia: 84.000 in meno. Abruzzo: 28.000 in meno. Marche: 32.000 in meno. Non ci sono regioni in cui il saldo risulta positivo. Secondo il rapporto, queste cifre avranno conseguenze dirette sulla scuola primaria: ben 3.000 istituti, localizzati soprattutto nei piccoli Comuni con meno di 125 bambini, rischiano di chiudere. Si tratta del 38% dei Comuni totali, molti dei quali situati nelle aree interne del Paese. Il fenomeno del “degiovanimento”, definito come “la perdita di giovani e di capitale umano necessario alla crescita del Paese”, si presenta quindi come uno degli effetti più gravi della crisi demografica in corso. Per affrontare questa situazione, la Svimez sottolinea l’urgenza di adottare politiche a lungo termine, mirate a sostenere il welfare familiare e a incentivare la genitorialità. Tra le proposte avanzate: Rafforzare i servizi per l’infanzia. Potenziare gli strumenti per la conciliazione tra vita lavorativa e familiare. Sostenere i redditi delle famiglie. Superare la frammentazione degli interventi attuali. Queste misure sono considerate fondamentali per contrastare il cosiddetto “gelo demografico” che sta colpendo l’Italia e per salvaguardare il futuro del sistema scolastico nazionale.

ANSA – ISTAT: SOLO 379.890 BAMBINI NATI NEL 2023

Nel 2023 si è registrato un nuovo record negativo per le nascite in Italia. Sono venuti al mondo solo 379.890 bambini, 13mila in meno rispetto al 2022, con un calo del 3,4%. Questo è quanto emerge dai dati pubblicati dall’Istat su natalità e fecondità della popolazione residente relativi all’anno 2023. In particolare, nel 2023 sono nati poco più di sei bambini ogni mille residenti. Il calo delle nascite continua anche nel 2024: i dati provvisori indicano che, tra gennaio e luglio, le nascite sono state 4.600 in meno rispetto allo stesso periodo del 2023. “La diminuzione delle nascite, che comporta un nuovo superamento al ribasso del record di denatalità, si inserisce in un trend ormai di lungo corso”, si legge nel report. Rispetto al 2008, quando il numero dei nati vivi superava le 576mila unità, si osserva una perdita complessiva di 197mila bambini (-34,1%). In media, ogni anno sono nati circa 13mila bambini in meno, con un tasso di variazione medio annuo del 2,7 per mille. Nel 2023 si è osservato un calo del 3,1% nel numero di primogeniti rispetto al 2022, tornando ai livelli del 2021. Il lieve aumento dei primogeniti nel 2022 rispetto al 2021 è stato solo una breve parentesi di ripresa, legata al recupero dei progetti riproduttivi rinviati durante il periodo pandemico. Anche i secondi figli hanno registrato una diminuzione del 4,5%, mentre i figli di ordine successivo sono calati dell’1,7%. Nel 2023, l’età media delle madri al momento della nascita del primo figlio è salita a 31,7 anni, rispetto ai 28 anni registrati nel 1995. Questo è uno dei dati principali emersi dal rapporto Istat. Inoltre, considerando tutte le nascite, l’età media al parto è aumentata leggermente, passando da 32,4 anni nel 2022 a 32,5 anni nel 2023. L’età media delle madri italiane è più alta (33 anni) rispetto a quella delle madri straniere (29,7 anni). Rispetto al 1995, l’età media alla nascita dei figli è aumentata di oltre due anni e mezzo. Nonostante un leggero calo rispetto al 2022, le nascite fuori dal matrimonio continuano ad aumentare come incidenza sul totale delle nascite. Nel 2023, sono stati registrati 160.942 figli nati fuori dal matrimonio, circa 2mila in meno rispetto al 2022. Tuttavia, la loro incidenza sul totale è salita al 42,4%, con un aumento di 0,8 punti percentuali rispetto all’anno precedente, anche se questo incremento è inferiore alla crescita media registrata tra il 2008 e il 2022 (+1,5% all’anno). Nel 2023, il numero medio di figli per donna è sceso a 1,20, in flessione rispetto all’1,24 del 2022. La fecondità sembra non mostrare segni di ripresa nemmeno nel 2024. I dati provvisori relativi ai primi sette mesi dell’anno stimano una fecondità di 1,21 figli per donna, in linea con quella dell’anno precedente. Il tasso di fecondità del 2023 riporta l’Italia ai livelli minimi storici osservati nel 1995, quando il numero medio di figli per donna era di 1,19. Tuttavia, il report sottolinea che la composizione per cittadinanza della popolazione femminile è cambiata: nel 1995 il tasso di fecondità era attribuibile quasi esclusivamente alle donne italiane, mentre oggi il contributo delle donne straniere ha giocato un ruolo significativo nel tentativo di ripresa della fecondità negli anni Duemila. Dal secondo decennio degli anni 2000, però, il trend è tornato a peggiorare. Nel 2023, Leonardo e Sofia sono stati i nomi più scelti dai genitori italiani per i propri figli, secondo i dati Istat. Leonardo mantiene il primato che aveva conquistato nel 2018, seguito per la prima volta da Edoardo, che sale al secondo posto guadagnando due posizioni rispetto al 2022. Tommaso rimane stabile al terzo posto, mentre Francesco scende al quarto. Per le bambine, Sofia e Aurora confermano le prime due posizioni, seguite da Ginevra, che sale al terzo posto, e da Vittoria al quarto, che prende il posto di Giulia, scesa al quinto posto. Anche i nati da genitori stranieri sono in diminuzione. Nel 2023, le nascite da coppie in cui almeno uno dei genitori è straniero sono state 80.942, contro le 82.216 del 2022, con una diminuzione del 21,3%. Questo fenomeno segue un trend di calo iniziato nel 2012, anno in cui si è registrato l’ultimo aumento delle nascite da genitori stranieri. La regione italiana con la più alta incidenza di nascite da genitori stranieri è l’Emilia-Romagna (21,9%). Anche in altre regioni del Nord, come Liguria e Lombardia, un bambino su cinque ha almeno un genitore straniero. In Veneto, Piemonte e Friuli Venezia Giulia, la percentuale si attesta intorno al 18%, mentre al Centro spicca la Toscana con il 18,1%. Nel Mezzogiorno, la percentuale è decisamente più bassa, con un minimo del 3,9% in Sardegna e un massimo del 10% in Abruzzo.

ILSOLE24ORE – ISTAT: NEI PRIMI 6 MESI DEL 2024 LE NASCITE SONO STATE 178 MILA (-1.4% RISPETTO AL 2023)

La diminuzione delle nascite in Italia prosegue, insieme a un calo della popolazione complessiva. Secondo l’ultimo aggiornamento della banca dati Istat riguardante il bilancio demografico, nei primi sei mesi del 2024 sono nati poco meno di 178.000 bambini, con una diminuzione dell’1,4% rispetto ai 180.000 dello stesso periodo dell’anno precedente. Nel 2023, le nascite totali hanno raggiunto un record storico negativo di 379.000, rispetto ai 393.000 del 2022. Gian Carlo Blangiardo, ex presidente dell’Istat e attualmente membro del consiglio, ha affermato: «se le variazioni finora verificate dovessero proiettarsi per l’intero anno, il 2024 si chiuderebbe con un ulteriore calo, a 374.000, quindi 5.000 in meno». Questo scenario suggerisce un calo simile a quello dell’anno precedente, senza segnali di inversione di tendenza. Blangiardo ha anche notato che circa un terzo del calo dell’1,4% è attribuibile alla struttura delle donne in età feconda, non solo per il loro numero, ma anche per la diversa composizione della loro età e per i comportamenti che ne derivano. Ha dichiarato: «Un dato salta agli occhi, i 178.000 nati nel primo semestre 2024 in sostanza segnano un “ritardo” di due mesi rispetto al 2008», anno in cui iniziò il calo della natalità. Per quanto riguarda i decessi, si osserva un calo rispetto al triennio 2020-2022, periodo in cui il Covid-19 ha avuto un impatto significativo. Nei primi sei mesi del 2024, le morti sono state 319.000, con una diminuzione di 15.000 rispetto allo stesso periodo del 2023, corrispondente a un calo del 4,6%. Questo dato è ben lontano dal picco di 374.000 registrato nel primo semestre del 2020, anno particolarmente difficile a causa della pandemia. Inoltre, i dati mostrano una ripresa nei movimenti migratori, sia in entrata che in uscita dall’Italia. Le iscrizioni dall’estero sono aumentate del 2,7% rispetto al 2023, raggiungendo 216.000, mentre le cancellazioni per l’estero sono aumentate del 6,2%, arrivando a 85.000. Questo ha portato a un saldo migratorio positivo pari a 131.000 unità, con un incremento dello 0,6% rispetto al primo semestre del 2023.

ANSA – ISTAT: CALANO ANCORA I NATI NEL 2023 IN ITALIA

Le nascite, nel nostro Paese, sono ancora in picchiata. Il dato emerge dagli indicatori demografici riferiti all’anno 2023 pubblicati oggi dall’Istat, che al primo gennaio 2024 registra un rapporto di 6 neonati e 11 decessi ogni 1.000 abitanti. I nuovi nati sono, infatti, appena 379.000. L’Istituto mette nero su bianco che i residenti in Italia sono 58 mln 990.000, 7.000 in meno rispetto all’anno prima (-0,1 X 1.000 abitanti). Si certifica dunque un rallentamento del calo demografico, che dal 2014 al 2021 (-2,8 X 1.000 in media annua) aveva contraddistinto la tendenza. La popolazione risulta in calo al Sud Italia, in aumento al Nord e stabile al Centro. Gli stranieri residenti sono 5 mln e 308.000 (+166.000).

ANSA – ISTAT: NEL 1951 IL RAPPORTO ERA 100 GIOVANI PER 31 ANZIANI. NEL 2024 IL RAPPORTO E’ 100 GIOVANI E 200 ANZIANI

In Italia, la tendenza demografica prosegue sulla traiettoria preoccupante di un Paese sempre più orientato verso una popolazione anziana e un declino costante delle nascite. I dati forniti dal report Istat delineano una situazione allarmante: nel 2050, ci sarà un giovane per ogni tre anziani, con soli 350.000 nuovi nati all’anno. Retrocedendo nel tempo fino al 1950, si evidenzia un drastico cambiamento nella struttura demografica italiana. Mentre nel 1951, ogni 100 giovani erano accompagnati da 31 anziani, nel corso degli anni, questa proporzione si è invertita drasticamente. Al 1° gennaio di quest’anno, per ogni 100 giovani, si contano ben 200 anziani. Ancora più preoccupante è la proiezione per il 2050, dove gli anziani supereranno i 300 per ogni 100 giovani. In parallelo, il numero di nascite, già al minimo storico di 379.000 nel 2023, è destinato a diminuire ulteriormente fino a 350.000 nel 2050. Questi dati allarmanti sono al centro della discussione nella prossima 4ª edizione degli Stati Generali della Natalità, dal tema “Esserci – più giovani più futuro”. L’evento, in programma per il 9 e 10 maggio all’Auditorium della Conciliazione a Roma e promosso dalla Fondazione per la Natalità, vedrà la partecipazione di figure chiave come il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e la ministra per la Famiglia e la Natalità Eugenia Roccella. Tra i temi in agenda, si affronteranno le cause alla base del calo delle nascite in Italia, evidenziando il fatto che solo 11,5 milioni di individui si trovano nella fascia di età fertile (15-49 anni). Questo numero rappresenta un netto calo rispetto ai 14 milioni registrati nel 2011. In particolare, più del due terzi dei giovani tra i 18 e i 34 anni continua a vivere con i genitori, una percentuale significativamente più alta rispetto ad altri paesi europei. A complicare ulteriormente la situazione, l’incapacità di molte coppie di realizzare il desiderio di avere figli: in otto casi su dieci, questo sogno rimane irrealizzato. Secondo l’organizzatore degli Stati Generali e presidente della Fondazione per la Natalità, De Palo, il problema della natalità in Italia non è solo di natura economica o culturale, ma riguarda soprattutto la libertà delle coppie di decidere sulla propria famiglia. In Italia, la nascita di un figlio rappresenta il secondo fattore più rilevante nell’incidenza della povertà. De Palo sottolinea che non bastano incentivi finanziari, ma sono necessarie riforme strutturali per invertire questa tendenza al declino demografico. Senza interventi significativi, la popolazione italiana è destinata non solo ad invecchiare, ma anche a diminuire drasticamente. Le proiezioni indicano un passaggio da 59 milioni di residenti nel 2022 a 58,1 milioni nel 2030 e infine a 54,4 milioni nel 2050. Questo significa una perdita di oltre 4,5 milioni di italiani nel giro di trent’anni, con gravi implicazioni per l’economia e la società nel suo complesso.

AGI – I PAPA’ ITALIANI SONO I PIU’ VECCHI D’EUROPA

I dati più recenti dell’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) rivelano che gli uomini italiani ritardano sempre di più l’esperienza della paternità, con un’età media del primo figlio che si attesta a 35,8 anni. Questo dato colloca l’Italia in cima alla classifica europea per età media del concepimento del primo bambino, superando paesi come Francia, Germania e Regno Unito. Il fenomeno del ritardo della paternità coinvolge circa il 70% dei nuovi papà italiani, con un terzo di essi che diventa padre oltre i 36 anni d’età. Questo ritardo nella decisione di avere figli non è privo di conseguenze, poiché numerose evidenze scientifiche indicano che le caratteristiche funzionali degli spermatozoi, come motilità, morfologia e integrità del DNA, peggiorano con l’avanzare dell’età maschile. Secondo Alessandro Palmieri, presidente della Società Italiana di Andrologia (Sia) e docente di Urologia all’Università Federico II di Napoli, l’età media in cui gli uomini italiani diventano padri è aumentata di 10 anni rispetto agli anni ’90, passando dai 25 anni a circa 36 anni attuali. Questo ritardo può essere attribuito a diversi fattori, tra cui motivi culturali, economici e biologici, oltre all’allungamento della vita che non influisce sulla fertilità femminile, rimasta stabile intorno ai 50 anni. Palmieri sottolinea l’importanza di educare le giovani generazioni sull’importanza di una fertilità sana e tempestiva, incoraggiando uno stile di vita salutare e, dove necessario, l’uso di integratori alimentari mirati. A tal proposito, la Sia ha sviluppato un nuovo integratore chiamato Drolessano, contenente sette sostanze naturali, tra cui escina e licopene, che possono favorire la salute maschile e preservare la fertilità. Secondo Tommaso Cai, direttore dell’U.O. di Urologia dell’ospedale di Trento e segretario della Sia, gli uomini che ritardano la paternità, soprattutto dopo i 45 anni, possono mettere a rischio non solo la propria fertilità, ma anche la salute dei loro futuri figli. Studi scientifici hanno dimostrato che ogni anno in più dell’età del padre comporta un aumento delle mutazioni genetiche nei figli, con un maggiore rischio di autismo e schizofrenia.

REPUBBLICA – IN ITALIA CI SONO 400MILA FIGLI NATI DA “MADRI SEGRETE”

In Italia, si stima che ci siano circa 400mila individui nati da “madri segrete”, donne che scelgono di non essere nominate al momento del parto, lasciando i loro figli senza la possibilità di conoscere le proprie origini. Questi figli, spesso adottati dopo la nascita, devono attendere il compimento dei cento anni per avere accesso al nome delle loro madri biologiche tramite i fascicoli tributari. La situazione attuale mette in luce una lacuna legislativa significativa, poiché né i medici né i tribunali hanno il potere di rivelare ai figli il nome delle madri segrete. Questa normativa, risalente a diversi decenni fa, non tiene conto dei rapidi progressi nella tecnologia del DNA, che oggi consentono alle persone di rintracciare facilmente le loro genealogie e parentele tramite banche dati online. Tuttavia, dopo una sentenza della Corte Costituzionale nel 2013 e vari tentativi legislativi, tra cui una legge approvata alla Camera nel 2015 e un disegno di legge presentato dalla Lega, la questione rimane irrisolta. Il tema è stato riportato all’attenzione pubblica grazie all’impegno del “Comitato Nazionale per il Diritto alle Origini Biologiche”, ma finora non ci sono state azioni concrete da parte del legislatore. Luisa Di Fiore, una persona non riconosciuta e adottata, condivide la sua esperienza, sottolineando che molti tribunali hanno accettato di fare un cosiddetto “interpello”, cercando di rintracciare le madri segrete e offrendo loro l’opportunità di incontrare i figli che hanno abbandonato. In molti casi, le madri hanno accettato di incontrare i loro figli, dimostrando un legame emotivo nonostante la separazione. La senatrice Elisa Pirro del Movimento 5 Stelle ha presentato una mozione parlamentare per affrontare questa questione, bilanciando i diritti dei figli di conoscere le proprie origini con quelli delle madri che hanno partorito in anonimato. Anche la magistratura si è espressa a favore di una soluzione legislativa, sottolineando la necessità di garantire l’eguaglianza tra i cittadini e uniformare le pratiche dei tribunali in tutta Italia.

LEGGO – “PIU’ SI E’ RICCHI E MENO FIGLI SI FANNO”

Il tasso di fertilità globale è in netto declino, e secondo uno studio internazionale condotto da un team di ricerca, entro il 2100 il “ricambio generazionale” sarà compromesso nel 97% dei Paesi del mondo. Questo preoccupante trend non riguarda solo l’Italia, che registra il minimo storico di nascite con meno di 7 neonati ogni 1.000 abitanti nel 2022 secondo i dati dell’Istat. Il declino delle nascite non è solo dovuto alla scelta spontanea o indotta delle coppie di rinunciare ad avere figli, ma è influenzato da molteplici fattori. Dai risultati dello studio emerge che i tassi di fertilità sono in diminuzione in tutto il mondo, con una riduzione del tasso di fertilità globale di oltre la metà dall’immediato dopoguerra a oggi, passando da 4,84 a 2,23 punti. Questo declino ha portato la popolazione mondiale a superare gli 8 miliardi di abitanti lo scorso novembre. Un elemento chiave che sembra influenzare il declino delle nascite è il reddito. Gli esperti prevedono che la maggior parte delle future nascite, circa il 75%, avverrà nei Paesi a basso reddito, soprattutto nell’Africa subsahariana. Ciò significa che il crollo della natalità riguarda soprattutto i Paesi con redditi più alti e medi. In particolare, i ricercatori hanno individuato due fattori principali che influenzano la classe più borghese: la crescente istruzione femminile e l’accesso ai moderni contraccettivi. Si stima che entro il 2095, una donna avrà solo 25 parenti, sottolineando l’impatto significativo di questi cambiamenti sulla struttura familiare e sociale.

ILGIORNALE – SOLO UNA PICCOLA PERCENTUALE DI GENITORI HA SCELTO IL DOPPIO COGNOME PER I FIGLI

La Commissione Giustizia del Senato inizierà a esaminare a gennaio dei disegni di legge per permettere il doppio cognome o il cognome della madre ai neonati, rispecchiando una sentenza della Corte Costituzionale del 2022. Nonostante questo, l’uso del cognome materno resta limitato. La Consulta ha stabilito che il cognome non deriva automaticamente da quello del padre, bensì si decide con un accordo tra genitori. In caso di disaccordo, si opta per il doppio cognome, e se la controversia persiste, il giudice stabilisce l’ordine. Queste sentenze hanno valore di legge da un anno e mezzo, ma la sinistra politica non ha ottenuto grande impatto. Il Ministero dell’Interno ha invitato i sindaci a seguire questa normativa. Fino a novembre, solo 36 neonati a Roma hanno il cognome materno, mentre a Milano solo l’11% lo ha scelto, preferendo spesso il cognome paterno o il doppio cognome. La battaglia per una maggiore equità nei cognomi non ha ancora preso piede.

ISTAT: IN ITALIA UN BIMBO OGNI 5 ANZIANI. MATRIMONI E UNIONI CIVILI IN CRESCITA

Secondo il censimento dell’Istat, l’Italia mostra un profilo demografico in evoluzione: la popolazione diminuisce e invecchia. Al 31 dicembre 2022, il numero degli italiani si attestava a 58.997.201, in calo rispetto agli anni precedenti. Nonostante la presenza degli stranieri, la popolazione complessiva declina. Le donne superano gli uomini del 51,2% e l’età media è di 46,4 anni. La natalità registra un forte declino: nel 2022 sono nati solamente 393.000 bambini, mostrando una diminuzione del 31,8% rispetto al 2008. Questo tende a posizionare gli anziani in rapporto ai bambini con un rapporto di più di 5 a 1. In controtendenza, i matrimoni aumentano. Nel 2022 ne sono stati celebrati 189.140, con un incremento del 4,8% rispetto al 2021, ma dati provvisori indicano un calo nei primi otto mesi del 2023. Si è registrato un significativo incremento delle unioni civili tra persone dello stesso sesso: nel 2021 ne sono state celebrate 2.813, segnando un aumento del 31% rispetto all’anno precedente e superando addirittura i dati del 2016, anno di entrata in vigore della legge. Il rito civile guadagna terreno: nel 2022 il 56,4% dei matrimoni è stato celebrato senza funzione religiosa, in crescita rispetto al 54,1% del 2021. Questo trend coinvolge sia seconde nozze (95%) sia matrimoni con almeno uno sposo straniero, ma si sta diffondendo anche tra i primi matrimoni, arrivando al 45,1%.

ANSA – ISTAT: POPOLAZIONE ITALIANA SCESA SOTTO I 59 MILIONI

L’Istat ha confermato che al 31 dicembre 2022 la popolazione italiana è scesa a 58.997.201 residenti. Il censimento evidenzia una diminuzione della popolazione, con un’età media sempre più avanzata nonostante il contributo degli stranieri. Le donne costituiscono il 51,2%, mentre il 48,8% sono uomini. Il rapporto generazionale continua a sbilanciarsi: per ogni bambino sotto i 6 anni, si contano oltre 5 anziani, precisamente il 5,6%. L’indice di vecchiaia è notevolmente cambiato: se nel 1971 c’erano 46 anziani ogni 100 giovani, ora ne troviamo 193. La natalità conferma un trend negativo, registrando nel 2022 393.000 nati, circa 7.000 in meno rispetto al 2021 (-1,7%), segnando un nuovo record basso.

ANSA – CENSIS: NEL 2040 SOLO 1 COPPIA SU 4 AVRA’ FIGLI

Il 57esimo rapporto del Censis, presentato oggi, delinea uno scenario preoccupante per l’Italia del futuro. Secondo le previsioni, nel 2040 solo il 25,8% delle famiglie sarà composto da coppie con figli. Questo significa che una coppia su quattro non avrà figli. Nel frattempo, gli italiani sembrano sempre più preoccupati per il futuro del paese. Le principali paure riguardano il cambiamento climatico, le crisi economiche e le guerre. In particolare, l’84% degli italiani teme un cambiamento climatico fuori controllo. Il 73,4% è preoccupato per una possibile crisi economica e sociale, con diffusa povertà e violenza. Il 73% dubita che l’Italia sarà in grado di gestire l’arrivo di milioni di persone fuggite da guerre o impatti climatici. Nel contesto sociale, emerge un sostegno significativo a tematiche progressiste. Il 74% degli italiani si dichiara favorevole all’eutanasia, il 70% approva l’adozione da parte dei single, e il 54% sostiene l’adozione da parte di coppie omogenitoriali.

GIOVANI:

AGI – SAVE THE CHILDREN: IN ITALIA 200 MILA BAMBINI SOTTO I5 ANNI SONO QUASI ALLA FAME

Nel 2023, circa 200 mila bambini italiani di età compresa tra 0 e 5 anni hanno vissuto in condizioni di povertà alimentare, ovvero in famiglie che non riescono a garantire loro almeno un pasto proteico ogni due giorni. Questo numero rappresenta l’8,5% del totale dei bambini di questa fascia d’età. La situazione è particolarmente grave nel Sud Italia e nelle isole, dove la percentuale sale al 12,9%, contro il 6,7% del Centro e il 6,1% del Nord. Parallelamente, quasi un bambino su dieci della stessa fascia d’età (9,7%) ha sperimentato povertà energetica, vivendo in case non adeguatamente riscaldate durante l’inverno. Questi dati emergono dalla XV edizione dell’Atlante dell’Infanzia (a rischio) di Save the Children, che quest’anno ha scelto di focalizzarsi sui primi anni di vita, un periodo fondamentale per lo sviluppo dei bambini. Il 2023 è stato un anno segnato da un nuovo record negativo per la natalità in Italia, con meno di 380 mila nuovi nati. Contemporaneamente, la povertà ha continuato a colpire in modo significativo i minori, in particolare i più piccoli. Secondo i dati, il 13,4% dei bambini tra 0 e 3 anni vive in povertà assoluta, mentre circa 748 mila famiglie con minori si trovano in condizioni di povertà assoluta, con un’incidenza pari al 12,4%. Negli ultimi anni, le famiglie hanno dovuto affrontare aumenti significativi nei costi di beni essenziali per la prima infanzia. Tra il 2019 e il 2023, la spesa per prodotti alimentari come latte e pappe è aumentata del 19,1%, superando il tasso d’inflazione generale, che si è attestato al 16,2%. Anche i costi degli asili nido sono cresciuti, con un aumento dell’11,3% per le strutture private e dell’1,5% per quelle finanziate dai Comuni. Un altro problema riguarda l’accesso agli asili nido. Attualmente, meno di un bambino su tre tra 0 e 2 anni (30%) ha accesso a questo servizio fondamentale per ridurre le disuguaglianze. Sono evidenti le disparità territoriali: in Campania e Sicilia, le regioni con i tassi di copertura più bassi, rispettivamente il 13,2% e il 13,9%, si prevede che nel 2026 la copertura raggiunga solo il 29,6% e il 25,6%, nonostante gli investimenti previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). A livello nazionale, si stima che entro il 2026 l’offerta di servizi educativi per la prima infanzia salirà al 41,3%, avvicinandosi al target europeo del 45% fissato per il 2030. Tuttavia, il divario territoriale resterà significativo, con alcune regioni del Sud come la Puglia e la Calabria che raggiungeranno rispettivamente il 38,4% e il 40,3%. L’Atlante di Save the Children evidenzia un’Italia fragile, segnata da profonde disuguaglianze sociali e territoriali. Claudio Tesauro, Presidente dell’organizzazione, ha dichiarato: “Abbiamo voluto dedicare questo XV Atlante dell’Infanzia ai bambini più piccoli, nella consapevolezza che i primi mille giorni di vita sono determinanti per la crescita e lo sviluppo di ciascuno. Troppi genitori oggi in Italia affrontano la nascita di un bambino in solitudine, senza poter contare su adeguate reti di sostegno. Il supporto alla prima infanzia è un obiettivo da mettere al centro di tutte le scelte della politica: nel campo della salute come in quello dei servizi educativi; nel contrasto alla povertà così come nella tutela dell’ambiente.” Tesauro ha sottolineato l’importanza di rafforzare la rete di cura, soprattutto nei territori più deprivati, e ha concluso: “Quello sulla prima infanzia è l’investimento fondamentale per il presente e per il futuro del nostro Paese.”

Altre notizie:

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L’INDIPENDENTE – DAL 2011 OLTRE MEZZO MILIONE DI GIOVANI HA SCELTO DI LASCIARE L’ITALIA

Negli ultimi 13 anni, più di mezzo milione di giovani ha scelto di lasciare l’Italia, cercando migliori opportunità di vita e lavoro all’estero. Questi dati sono stati elaborati dalla Fondazione Nord Est e presentati mercoledì 23 ottobre al CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro). Escludendo coloro che sono tornati, sono oltre 370.000 i giovani che hanno abbandonato il Paese. Questa emigrazione rappresenta una perdita economica significativa, pari a un capitale umano di oltre 130 miliardi di euro. I motivi per cui i giovani lasciano l’Italia sono diversi: alcuni per necessità, altri per scelta, ma la maggior parte trova effettivamente condizioni di vita migliori all’estero. Infatti, i giovani espatriati risultano essere più soddisfatti di coloro che sono rimasti, e quasi l’80% di loro ha un impiego, rispetto al 64% registrato nel nord Italia. Questa situazione è preoccupante, soprattutto considerando che l’Italia è all’ultimo posto tra i grandi Paesi europei per la capacità di attrarre giovani. Lo Stivale accoglie solo il 6% dei giovani in partenza dal continente europeo, un dato che riflette chiaramente come la “fuga dei giovani” rappresenti una vera e propria emergenza nazionale. Il rapporto della Fondazione Nord Est è stato pubblicato il 29 agosto scorso con il titolo “I giovani e la scelta di trasferirsi all’estero”, ma è stato presentato ufficialmente solo ieri, con alcuni aggiornamenti sui dati. Lo studio copre il periodo 2011-2023 e si concentra sui giovani italiani di età compresa tra i 18 e i 34 anni. Secondo l’analisi, sarebbero circa 550.000 i giovani che hanno deciso di trasferirsi all’estero. Al netto dei rientri, questo numero si riduce a circa 377.000 persone, un dato che corrisponde a una perdita di capitale sociale stimata in 134 miliardi di euro. Tale valore potrebbe addirittura triplicare, considerando una possibile sottostima nei dati ufficiali. Un elemento significativo che emerge dal rapporto è che per ogni giovane che arriva in Italia, otto la lasciano. La maggior parte degli emigrati (circa il 35%) proviene dal nord Italia, la metà è laureata e un terzo diplomato. Le motivazioni principali per cui i giovani decidono di espatriare includono la ricerca di migliori opportunità lavorative (25%), opportunità di studio e formazione (19,2%), e una qualità della vita più elevata (17,1%). Un altro 10% dei giovani lascia l’Italia per cercare condizioni salariali migliori. Il grado di soddisfazione dei giovani che vivono all’estero è molto più alto rispetto a chi è rimasto in Italia: il 56% degli espatriati si dichiara soddisfatto, contro solo il 22% dei residenti. Inoltre, il 69% dei giovani italiani all’estero crede in un futuro “felice”, rispetto al 45% di chi è rimasto; il 67% vede il futuro “ricco di opportunità”, contro il 34% dei residenti; e il 64% giudica il proprio futuro “migliore”, rispetto al 40% degli italiani rimasti nel Paese. Un fattore decisivo è la situazione lavorativa: il tasso di occupazione dei non diplomati all’estero arriva al 100%. Guardando alla situazione socio-economica dell’Italia, risulta evidente perché così tanti giovani scelgano di andarsene. L’ultimo rapporto Censis descrive la popolazione italiana come “sonnambula”, impaurita, sfiduciata e colpita dalle difficoltà del Paese. I dati sul reddito degli italiani evidenziano una distribuzione diseguale e una tendenza al ribasso. La situazione occupazionale è altrettanto critica: l’Italia rimane, da anni, fanalino di coda nell’Unione Europea in termini di tassi di occupazione. Un altro rapporto, realizzato dall’Associazione Italiana Ospedalità Privata (Aiop) in collaborazione con il Censis, mostra che il 42% delle persone con redditi bassi ha rinunciato a curarsi nel 2023. I dati Eurostat dipingono un quadro socio-economico in crisi su più fronti, evidenziando alti tassi di rischio povertà, costi abitativi insostenibili e livelli crescenti di insoddisfazione tra la popolazione.

ADNKRONOS – REPORT UNICEF SU LAVORO MINORILE IN ITALIA: OLTRE 78 MILA UNDER 17ENNE OCCUPATI NEL 2023

In occasione della Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile, Unicef Italia ha presentato il secondo Rapporto statistico intitolato “Lavoro minorile in Italia: rischi, infortuni e sicurezza sui luoghi di lavoro”. Nel 2023, i lavoratori minorenni tra i 15 e i 17 anni sono stati 78.530, pari al 4,5% della popolazione totale di quella fascia d’età, in aumento rispetto ai 69.601 del 2022 e ai 51.845 del 2021. Se si considera la fascia fino ai 19 anni, nel 2022 i lavoratori erano 376.814, rispetto ai 310.400 del 2021, mostrando un incremento anche rispetto al periodo pre-pandemia del 2019. Il reddito medio settimanale stimato per i lavoratori maschi è passato dai 297 euro del 2018 ai 320 euro del 2022, mentre per le femmine è passato dai 235 euro del 2018 ai 259 euro del 2022, confermando una retribuzione costantemente più alta per i maschi. Tra il 2018 e il 2022, le denunce di infortunio presentate all’Inail per lavoratori sotto i 19 anni sono state 338.323, di cui 211.241 per minori fino a 14 anni e 127.082 per la fascia 15-19 anni. Le denunce di infortunio mortale sono state 83, di cui 9 per la fascia sotto i 14 anni e 74 per la fascia 15-19 anni. Il Rapporto, realizzato dall’Osservatorio Unicef per la prevenzione dei danni alla salute da lavoro minorile e coordinato da Domenico Della Porta, è stato curato dal “Laboratorio di Sanità Pubblica per l’analisi dei bisogni di Salute delle Comunità” dell’Università degli Studi di Salerno. Carmela Pace, Presidente di Unicef Italia, ha sottolineato l’importanza di monitorare il lavoro minorile come indicatore dello stato di salute della società e del benessere dei giovani. Le regioni con la percentuale più alta di minorenni occupati tra i 15 e i 17 anni sono Trentino-Alto Adige, Valle D’Aosta, Abruzzo e Marche. In Trentino-Alto Adige, il 21,7% dei 34.150 minorenni risulta impiegato. In Valle D’Aosta, il 17,8% dei 3.645 minorenni è occupato. In Abruzzo, il 7,6% dei 34.339 minorenni lavora, mentre nelle Marche la percentuale è del 7,2% su 41.672 minorenni. Queste regioni superano di gran lunga la media nazionale del 4,5%. Le regioni con il maggior numero di giovani lavoratori fino ai 19 anni tra il 2018 e il 2022 sono Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Lazio e Puglia. La maggior parte dei lavoratori maschi rispetto alle femmine riflette la tendenza nazionale degli adulti, con un tasso di occupazione femminile molto più basso rispetto a quello maschile (57,3% contro 78,0%), un divario che è aumentato nel 2022. Il divario di genere è particolarmente evidente nelle regioni del Sud Italia, mentre la Valle D’Aosta registra il minore divario. Nel quinquennio 2018-2022, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte hanno registrato il maggior numero di denunce di infortunio tra i lavoratori sotto i 19 anni, con quasi il 60% delle denunce totali in Italia. Delle 83 denunce di infortunio mortale, quasi il 53% è stato registrato in Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte.

ILSOLE24ORE – IN ITALIA IL NUMERO DI GIOVANI E’ DIMINUITO DI 3 MILIONI NEGLI ULTIMI 20 ANNI

Negli ultimi 20 anni, in Italia, il numero dei giovani è diminuito drasticamente di 3 milioni, e sono più a rischio povertà rispetto agli anziani. L’ISTAT, nel suo rapporto annuale, evidenzia come la natalità sia ai minimi storici e il calo demografico sia particolarmente significativo. Nel 2023 si è registrato un ulteriore minimo storico di nascite e una perdita di oltre 3 milioni di individui tra i 18 e i 34 anni dal 2002, con un calo del 32,3% rispetto al baby boom del 1994. La riduzione della popolazione giovane è stata più pronunciata nel Mezzogiorno, con un calo del 28,6%, influenzato dalla bassa natalità e dalla ripresa dei flussi migratori. Nel Centro-Nord, invece, il calo è stato del 19,3%, mitigato da saldi migratori positivi e maggiore fecondità tra i genitori stranieri. Anche nelle aree interne e rurali, la riduzione è stata più ampia rispetto ai centri urbani. La diminuzione delle nascite è legata anche alla riduzione della fecondità: il numero medio di figli per donna è sceso da 1,24 nel 2022 a 1,20 nel 2023, vicino al minimo storico di 1,19 figli del 1995. La fecondità delle italiane è di 1,18 figli per donna, mentre quella delle straniere è di 1,86. I giovani tendono a rimandare sempre più le tappe verso l’età adulta, come dimostra il fatto che nel 2022 il 67,4% dei 18-34enni vive ancora in famiglia, rispetto al 59,7% nel 2002. La povertà è un problema crescente soprattutto per le nuove generazioni. Nel 2023, 1,3 milioni di minorenni sono in condizioni di povertà assoluta, con un’incidenza del 14%. Anche tra i 18-34enni e i 35-44enni i tassi di povertà sono elevati, rispettivamente all’11,9% e all’11,8%. In confronto, le fasce più anziane presentano tassi di povertà più bassi, con il 5,4% per i 65-74enni e il 7% per gli over 75. Negli ultimi dieci anni, il divario economico tra le generazioni è aumentato, con la grande recessione che ha penalizzato maggiormente i giovani. L’aumento dell’inflazione negli ultimi tre anni ha ridotto il potere d’acquisto delle famiglie, aumentando la distanza tra quelle più ricche e quelle più povere. Dal 2014 al 2023, l’incidenza della povertà assoluta è aumentata di 2,9 punti percentuali, colpendo maggiormente le fasce di età in età lavorativa e i loro figli, mentre gli anziani hanno visto un peggioramento più contenuto.

REPUBBLICA – UNO STUDENTE SU 5 E’ COSTRETTO A LAVORARE PER PAGARE L’UNIVERSITA’

Uno studente universitario su cinque in Italia deve lavorare per pagarsi gli studi. Ad esempio, Stella, 25 anni, studentessa di Biologia a Viterbo, lavora come cameriera, lavapiatti e caregiver, guadagnando meno di 5 euro l’ora. La sua famiglia non può sostenerla, quindi deve coprire da sola le spese per cibo, libri e affitto. Le spese universitarie annuali, tra tasse, mensa, materiali, trasporti e alloggio, variano tra 9 mila e 17 mila euro, rendendo necessario il lavoro per molti studenti provenienti da famiglie con difficoltà economiche. Stella racconta di aver lavorato tutti i giorni lo scorso anno senza riuscire a sostenere esami. Ora, lavora 3 o 4 volte a settimana in un ristorante o assistendo una signora in difficoltà. Nonostante il lavoro sia in nero, ha bisogno dei soldi e il suo aiuto è prezioso per la signora. In Italia, circa 365 mila studenti universitari lavorano per sostenere i costi degli studi, una cifra che non si vedeva dal 2008. Molti di loro non lavorano per scelta, ma per necessità economiche e a causa delle carenze nel sistema di diritto allo studio. Solo il 40% degli studenti potrebbe permettersi di frequentare l’università senza lavorare. Le difficoltà economiche influiscono sulla possibilità di frequentare le lezioni e sostenere gli esami. Luca Spanò, 23 anni, studente al quarto anno di Scienze storiche e cooperazione internazionale, ha chiesto la carriera part-time e sostiene gli esami da non frequentante. Nonostante una buona media, procede lentamente negli studi a causa del lavoro durante il weekend, che lo lascia esausto il lunedì. Luca vive con la sua famiglia composta da sette persone in un appartamento dove il salotto funge da camera da letto. Sua madre gli ha detto che se voleva frequentare l’università, doveva pagarsela da solo. Ha lavorato come cameriere, addetto alla sicurezza nei musei, banconista e stagista. Gli stage spesso non rispettano i contratti e le condizioni di lavoro sono difficili. Molti studenti lavoratori hanno contratti a tempo determinato, interinali, a chiamata o part-time involontari. Michelangelo, 21 anni, studente di Scienze politiche a Roma, è dipendente di un’agenzia interinale che fornisce camerieri agli alberghi. Questo è stato il suo primo contratto regolare.

SCENARIECONOMICI – ANALISI DELLA SPESA PUBBLICA PER L’ISTRUZIONE DEGLI ULTIMI 20 ANNI

Negli ultimi vent’anni, l’Italia ha attraversato varie fasi in termini di spesa pubblica per l’istruzione, con conseguenze significative sul sistema educativo del paese. L’analisi dei dati mostra un andamento altalenante che riflette le vicissitudini economiche e politiche dell’Italia nel corso degli anni. Dal 2000 al 2008, la spesa pubblica per l’istruzione è cresciuta costantemente, raggiungendo il suo picco nel 2009. Questo periodo di crescita coincide con un periodo di relativa stabilità politica ed economica. Tuttavia, a partire dal 2009, con la grande crisi finanziaria globale, l’Italia ha iniziato a sperimentare una drastica riduzione della spesa in istruzione, con un minimo toccato nel 2014. Questo declino è stato influenzato negativamente dall’instabilità politica e dalle misure di austerità adottate per fronteggiare la crisi economica. La situazione è iniziata a migliorare solo a partire dal 2015, con una leggera ripresa della spesa in istruzione, seppur su livelli ancora inferiori rispetto al periodo precedente alla crisi. Questa tendenza è continuata fino al 2022, con una stabilizzazione della spesa su livelli più bassi rispetto al passato, e solo una lieve crescita nell’ultimo anno. Tuttavia, il declino della spesa pubblica per l’istruzione ha avuto conseguenze negative sulla qualità complessiva del sistema educativo italiano. Le classi sovraffollate, i docenti sottopagati e le infrastrutture obsolete sono solo alcuni dei problemi che il sistema ha dovuto affrontare. Inoltre, l’Italia ha registrato un calo nella classifica internazionale rispetto ad altri paesi dell’OCSE, evidenziando una perdita di competitività nel campo dell’istruzione. Le disuguaglianze educative si sono accentuate, con i giovani provenienti da famiglie più abbienti che hanno accesso a un’istruzione di migliore qualità rispetto ai loro coetanei provenienti da contesti più svantaggiati. La responsabilità di questo declino ricade principalmente sulla classe politica italiana, con particolare riferimento alla sinistra, che ha governato il paese per gran parte del periodo in esame. Le politiche di austerità e i tagli alla spesa pubblica adottati durante la crisi hanno compromesso gli investimenti nel futuro delle nuove generazioni. Per invertire questa tendenza negativa, sono necessarie azioni concrete. È fondamentale aumentare la spesa pubblica per l’istruzione, garantendo risorse adeguate per ogni singolo studente. Inoltre, è importante migliorare la qualità dell’istruzione, differenziando i percorsi educativi in base alle capacità e alle inclinazioni degli studenti. È necessario anche reintrodurre una certa forma di selettività nei percorsi educativi, per garantire un sistema più efficiente e adatto alle esigenze individuali.

ANSA – CALA L’ETA’ DI CHI BEVE VINO: IL 53,7% E’ SOTTO I 34 ANNI

Secondo uno studio dell’Osservatorio del mondo agricolo Enpaia-Censis presentato a Vinitaly, il consumo di vino in Italia sta diventando più giovane. Nel 2002, il 48,7% dei giovani, il 65,1% degli adulti e il 59,9% degli anziani consumava vino. Nel 2022, questi numeri sono cambiati: il 53,7% dei giovani, il 61,4% degli adulti e il 57,4% degli anziani sono consumatori di vino. L’analisi evidenzia che il vino è considerato un veicolo di relazioni e convivialità, soprattutto tra i giovani. Il 67,7% di loro ama consumarlo in compagnia, il 45,3% nei luoghi pubblici e il 34,4% durante i pasti. Anche per gli adulti e gli anziani, il vino è associato alla socialità e al consumo durante i pasti. La preferenza per il vino nazionale è alta, con il 96,5% degli italiani che lo preferisce. Inoltre, l’83,1% dei consumatori predilige vini Dop e Igp. La maggior parte degli italiani (87,9%) apprezza le variazioni territoriali dei vini italiani e riconosce l’impatto del cambiamento climatico sulla produzione di vino. Tuttavia, c’è fiducia nella capacità delle imprese del settore di affrontare queste sfide, con l’84,4% degli italiani che ritiene che il vino italiano rappresenti la sostenibilità.

WIRED – SOLO 1 SCUOLA SU 5 HA ATTIVATO IL LICEO DEL MADE IN ITALY

Il nuovo liceo del Made in Italy, fortemente voluto dal governo Meloni, ha preso il via in sordina: solo 92 scuole su quasi 900 hanno scelto di attivare il nuovo indirizzo di studi. Le 92 scuole che hanno attivato il liceo del Made in Italy si trovano in 16 regioni italiane: 17 in Sicilia; 12 in Lombardia e Lazio; 9 in Puglia; 8 nelle Marche e Calabria; 6 in Abruzzo; 5 in Toscana; 3 in Liguria, Piemonte e Veneto; 2 in Molise; 1 in Basilicata, Emilia Romagna, Sardegna e Umbria. Altre 22 scuole in Campania hanno presentato domanda, ma la Regione non ha ancora dato l’autorizzazione, mentre ad altre 6 è stato negato l’accesso perché prive dei requisiti necessari. Le iscrizioni al liceo del Made in Italy sono aperte fino al 10 febbraio 2024. I corsi dovrebbero partire a settembre 2024. Bisognerà aspettare l’autunno per capire se il nuovo liceo del Made in Italy avrà successo. Il numero di iscritti e l’effettiva implementazione del programma saranno i primi indicatori del suo futuro.

REPUBBLICA – SEXTORTION: I RICATTI SESSUALI ONLINE DILAGANO TRA I MINORENNI

Il fenomeno della sextortion, il ricatto sessuale online, sta colpendo sempre più i minorenni, con un notevole aumento registrato nel 2023, secondo la Polizia postale. I casi trattati hanno coinvolto principalmente ragazzi tra i 14 e i 17 anni, con 137 segnalazioni nel solo anno scorso. La dirigente Maria Rosaria Romano ha sottolineato che l’accesso alla sessualità online rende i giovani più vulnerabili, soprattutto le ragazze, e la condivisione di materiale intimo può avere conseguenze devastanti. Molti ragazzi, sopraffatti dalla vergogna e dalla paura, non si rivolgono ai genitori e rischiano gravi disturbi emotivi. Le denunce di sextortion rappresentano solo la punta dell’iceberg, con molti casi non segnalati. Tuttavia, quando il ricatto coinvolge coetanei, spesso è più gestibile perché il rapporto è noto e si può intervenire tempestivamente. La situazione diventa più grave quando i minorenni cadono vittime di adulti o organizzazioni criminali, che possono diffondere materiale compromettente sui social o su piattaforme estere difficili da controllare. Si segnalano anche i “predatori sentimentali”, professionisti che sfruttano siti di incontri come Tinder per ingannare ragazze sempre più giovani, manipolando le loro emozioni e ottenendo materiale intimo tramite l’inganno e la coercizione.

ANSA – DROGA: 2 GIOVANI SU 3 IN CURA PER DIPENDENZE DA CANNABIS

Secondo il “Rapporto tossicodipendenze 2022″, elaborato dal Ministero della Salute, nel corso del 2022 i servizi pubblici per le dipendenze hanno offerto supporto a 129.259 individui affetti da dipendenza da sostanze. Tra questi, il 13,5%, pari a 17.497 persone, rappresentano nuovi utenti del servizio. Il rapporto evidenzia un cambiamento nel tipo di sostanze maggiormente responsabili della dipendenza. L’eroina, che era la causa principale della dipendenza per circa il 65% dei pazienti precedenti, cede il passo alla cocaina, che attualmente risulta essere la sostanza primaria d’abuso nel 38,5% dei casi. Tra i giovani, la dipendenza dalla cannabis prevale in due casi su tre. Nel 2022, i nuovi utenti in trattamento sono principalmente legati alla cocaina, coinvolgendo 6.718 persone, seguita dall’eroina (5.652 persone) e dai cannabinoidi (4.336). Tuttavia, le sostanze d’abuso più frequenti variano in base all’età del paziente. Tra i giovani (under 25), la cannabis rappresenta oltre il 70% dei casi di dipendenza trattati. Gli individui oltre i 55 anni, invece, mostrano una prevalenza di dipendenza dagli oppiacei. Nel 2022, si sono verificati 16.779 ricoveri per diagnosi correlate all’uso di sostanze, per un totale di quasi 200.000 giornate di degenza. Gli accessi al Pronto Soccorso sono stati 8.152; in circa il 12,4% dei casi, è stato necessario un ricovero, richiesto principalmente per psicosi indotta da droghe”, coinvolgendo tre pazienti su quattro. Secondo il rapporto, in Italia operano attualmente 573 Servizi Pubblici per le Dipendenze (Ser.D), che impiegano un totale di 6.397 professionisti. Di questi, il 31,5% sono infermieri, il 20,7% medici, il 14,7% psicologi, il 13,5% assistenti sociali, il 10,3% educatori professionali, il 2,1% operatori tecnici dell’assistenza e operatori socio-sanitari.

ILSOLE24ORE – TRA IL 2010 E IL 2022 SONO CRESCIUTI DEL 15,34% I REATI COMMESSI DA MINORI

Il recente rapporto “Criminalità minorile in Italia 2010-2022” del Servizio Analisi Criminale rivela un aumento del 15,34% delle segnalazioni di minori tra i 14 e i 17 anni. Nel 2022, sono state segnalate 32.522 violazioni, simili al picco del 2015 (32.566). Le segnalazioni per minori di 16-17 anni crescono dell’8,99%, raggiungendo il picco nel 2015 con 21.886 segnalazioni. Nel 2022 (20.719), scendono del 5,37%. Le segnalazioni per minori di 14-15 anni aumentano del 28,46%, raggiungendo il picco nel 2022 con 11.812 segnalazioni. Furto diminuisce dell’11,9%, ma le rapine crescono del +65,62%. Lesioni aumentano del 58,4%, mentre minacce e risse registrano significativi incrementi. Le segnalazioni per violenza sessuale hanno un aumento del 6,5% dal 2010 al 2022, raggiungendo 291 nel 2022.

IMMIGRAZIONE:

ANSA – AUMENTANO GLI ITALIANI CHE SI TRASFERISCONO ALL’ESTERO E DIMINUISCONO I RIMPATRI

Il numero di italiani che vivono fuori dai confini nazionali ha superato i 6 milioni, con una crescita dell’11,8% dal 2020. “Dal 2020 l’Italia conta circa 652 mila residenti in meno. Nello stesso periodo, invece, continua la crescita di chi ha deciso di risiedere fuori dei confini nazionali (+11,8% dal 2020). Oggi la comunità dei cittadini e delle cittadine residenti all’estero è composta da oltre 6 milioni 134 mila unità: da tempo, l’unica Italia a crescere continua ad essere soltanto quella che ha scelto l’estero per vivere”. Questo è quanto emerge dal 19° Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes, pubblicato oggi. Il rapporto evidenzia anche come l’emigrazione italiana non abbia impatti omogenei, ma rappresenti un problema per i territori già afflitti da fenomeni di spopolamento e depressione economica. “Che l’impatto sia differente ed eterogeno – si legge nel Rapporto – è di facile deduzione, ma quanto potente sia la ripercussione dell’attuale emigrazione sui territori già provati da criticità, quali lo spopolamento e la depressione economica, è materia importante da attenzionare a tutti i livelli per introdurre politiche finalizzate al sostegno della ‘riattrattività’ di cui diffusamente si discute oggi in molteplici contesti”. La Sicilia si conferma nel 2024 la regione con il maggior numero di cittadini iscritti all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) con oltre 826 mila iscritti, seguita da Lombardia (641 mila) e Veneto (563 mila). Il 45,8% degli iscritti all’AIRE è originario del Sud Italia (oltre 2,8 milioni, di cui 956 mila isolani). Gli iscritti provenienti dal Nord Italia sono invece oltre 2,3 milioni (19% sia per il Nord-Est che per il Nord-Ovest, con quest’ultimo leggermente in vantaggio di circa 23 mila iscritti). Dal Centro Italia provengono 966 mila iscritti (15,7%). Il rapporto evidenzia un cambiamento nella provenienza degli emigrati: in passato prevalentemente dal Sud, oggi interessa tutto il territorio nazionale. La comunità italiana all’estero comprende cittadini con “appartenenze territoriali complesse” per via di percorsi migratori plurimi, dai trasferimenti dal Sud al Centro-Nord fino all’espatrio. Le motivazioni della migrazione sono varie: famiglie che si spostano, mobilità per studio, lavoro o ricongiungimento familiare. Cambia anche l’età media di chi rientra in Italia dall’estero. “Nel 2023 e nel 2024 l’incidenza percentuale della fascia degli over 40 ha continuato a salire, con un trend che si è rafforzato nel 2024. La fascia dei giovanissimi 20-30 anni, dopo essere cresciuta nel 2023, diminuisce nel 2024, ma il calo è soprattutto concentrato nella fascia 30-40 anni, che per la prima volta in assoluto scende sotto al 50% (47%). Un fenomeno non positivo”. Questo fenomeno, si legge nel report, “si può leggere così: il ridimensionamento delle agevolazioni dal 2024 impatta prevalentemente sui più giovani, ai quali non conviene più trasferirsi sacrificando retribuzioni medie più elevate e prospettive di carriera, e sulle famiglie con figli minori (la fascia 30-40), che hanno visto azzerare il potenziamento delle agevolazioni legate al radicamento e alla natalità”. Il rapporto conclude che la nuova legge ha avuto l’effetto negativo di scoraggiare il rientro in Italia di persone giovani e di famiglie con figli, proprio mentre il Paese affronta sfide legate alla denatalità e all’invecchiamento demografico. “In quest’ottica, emerge uno degli effetti negativi della nuova legge: scoraggiare paradossalmente l’ingresso di soggetti giovani e con figli, proprio mentre il Paese è alle prese (da anni) con sfide quali la denatalità e l’inverno demografico”.

Altre notizie:

APRI/CHIUDI
CORRIERE – ISTAT: IL NUMERO DI CITTADINI ESTRACOMUNITARI CON PERMESSO DI SOGGIORNO IN ITALIA E’ IN CALO

Il numero di cittadini extracomunitari con permesso di soggiorno in Italia è in calo. Secondo un report dell’Istat, nel corso del 2023 si è registrata una diminuzione di circa il 3%, portando il totale a 3.607.160 permessi al 31 dicembre. L’Istat ha fornito una panoramica sulle collettività di migranti, evidenziando che le diminuzioni più significative riguardano i cittadini albanesi (-7,8%), indiani (-6,9%), marocchini (-6,8%) e cinesi (-6,1%). In particolare, per albanesi e marocchini, questo calo è collegato alle numerose acquisizioni di cittadinanza, che permettono ai nuovi cittadini di risiedere in Italia senza necessità di un permesso di soggiorno. In controtendenza, si osserva un aumento dei cittadini del Bangladesh e dell’Egitto, che sono cresciuti di circa il 3%. Una situazione particolare riguarda i cittadini ucraini, che a fine 2023 sono diventati la prima collettività per numero di permessi di soggiorno, con 386mila permessi rilasciati. Questo aumento è dovuto all’elevato numero di permessi speciali per protezione temporanea concessi dall’inizio del conflitto russo-ucraino, ammontanti a 161mila. Inoltre, il 32,8% dei nuovi permessi rilasciati – quasi 13mila – si riferisce a quelli emessi a seguito della regolarizzazione avvenuta nel 2020. Nel 2023 si è registrato un crollo del 42,2% dei permessi di soggiorno per lavoro rispetto all’anno precedente; ne sono stati rilasciati quasi 39mila, rappresentando solo l’11,8% dei nuovi permessi. Al contrario, si è registrato un lieve incremento dei permessi concessi per ricongiungimenti familiari. La diminuzione dei permessi per lavoro è attribuibile anche alla minore quota di permessi per emersione; nel 2022 questi costituivano il 72,6% dei permessi per lavoro, ma nel 2023 il loro effetto sui flussi in ingresso sta svanendo.

ILPOST – GLI ARRIVI DI MIGRANTI VIA MARE IN EUROPA STANNO DIMINUENDO

Tra gennaio e agosto del 2024, il numero di migranti arrivati via mare in Europa è diminuito rispetto allo stesso periodo del 2023. Secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), nel 2023 erano stati registrati 176.252 arrivi, mentre nel 2024 sono stati 114.537, segnando una riduzione di circa un terzo. Tuttavia, il calo varia a seconda della rotta seguita dai migranti. Nel 2023, si era registrato un picco degli arrivi via mare, il più alto dal 2016, ma nel 2024 la tendenza sembra invertita, principalmente a causa dell’aumento delle misure di repressione nei paesi di partenza dei migranti. Un esempio è la Tunisia, dove nel 2023 l’Italia e l’Unione Europea avevano siglato un accordo controverso per fermare le partenze di migranti con l’uso della forza. Nonostante la diminuzione generale, una rotta ha visto un aumento degli arrivi: quella dal Senegal e dalla Mauritania verso le isole Canarie, in Spagna. Questa rotta ha comportato un numero crescente di morti durante la traversata. La ONG spagnola Caminando Fronteras ha contato 5.054 morti tra gennaio e maggio 2024, rispetto ai 6.618 di tutto il 2023. Gli arrivi dalla costa occidentale dell’Africa alla Spagna sono aumentati significativamente: nel 2023, erano arrivati 11.439 migranti, mentre nello stesso periodo del 2024, sono stati 25.569. In Spagna, il dibattito su come gestire questi flussi migratori è acceso. Le altre principali rotte verso l’Europa hanno invece registrato una diminuzione degli arrivi. La rotta del Mediterraneo centrale, che porta dal Nord Africa all’Italia, ha visto una riduzione del 63%. Tra gennaio e agosto del 2023, erano arrivati in Italia via mare 114.883 migranti, mentre nello stesso periodo del 2024, il numero è sceso a 42.102. Le autorità tunisine, in particolare, hanno intensificato la repressione, fermando molti migranti ancora a terra prima che potessero imbarcarsi. Anche gli arrivi dalla Libia all’Italia sono diminuiti, passando da 33.844 tra gennaio e agosto del 2023 a 23.548 nello stesso periodo del 2024. Le autorità italiane ed europee hanno chiesto esplicitamente alla guardia costiera libica di fermare le imbarcazioni di migranti. Nei primi otto mesi del 2024, più di 15.000 migranti sono stati intercettati e riportati in Libia dalla guardia costiera, un numero leggermente superiore rispetto ai 14.977 dello stesso periodo del 2023. Anche la rotta del Mediterraneo occidentale, che porta alle isole Baleari, alla Spagna continentale e alle exclavi spagnole di Ceuta e Melilla, ha registrato un calo degli arrivi, passando da 10.341 nel 2023 a 9.152 nel 2024. La riduzione nel Mediterraneo orientale, che include la Grecia, Cipro e la Bulgaria, è stata più contenuta, con un calo del 5%. Tuttavia, gli arrivi via mare in Grecia sono raddoppiati, passando da 14.651 nel 2023 a 28.362 nel 2024, mentre gli ingressi via terra in Bulgaria sono diminuiti drasticamente, passando da 7.860 nel 2023 a 3.200 nel 2024. Le autorità turche, che hanno un accordo con l’Unione Europea per bloccare le partenze dei migranti, hanno intensificato i controlli lungo il confine con la Bulgaria. Il governatore della regione di Edirne ha dichiarato di aver aumentato le pattuglie e migliorato le infrastrutture per consentire un controllo più rapido e efficace del confine. La riduzione degli arrivi nel Mediterraneo occidentale potrebbe essere dovuta al fatto che alcuni migranti che in passato avrebbero scelto quella rotta ora preferiscono partire dal Senegal o dalla Mauritania, diretti verso le Isole Canarie.

ILGIORNALE – L’ITALIA E’ AL SECONDO POSTO IN EUROPA PER CITTADINANZE CONCESSE AGLI STRANIERI

Nel 2023, l’Italia ha rilasciato circa 200.000 nuove cittadinanze, rappresentando il 22% del totale dell’Unione Europea. Solo la Spagna ha fatto meglio, con 240.208 cittadinanze concesse nello stesso anno, mentre la Germania ha raggiunto numeri simili all’Italia, con poco più di 200.000. La Francia, invece, è rimasta indietro con meno della metà, concedendo 97.288 cittadinanze. Nel 2022, l’Italia ha guidato questa classifica europea con 213.716 nuove cittadinanze, superando la Spagna e la Germania. In termini di percentuali, l’Italia ha assorbito il 22% dei nuovi cittadini europei, seguita dalla Spagna con il 18% e dalla Germania con il 17%. La Francia ha contribuito con il 12%, mentre la Svezia con il 9%. Questi dati mostrano un’Italia che, nonostante le difficoltà, continua a integrare un gran numero di stranieri. Ogni anno, un piccolo “popolo” si unisce alla nostra nazione, e il trend è in crescita. Nel 2022, c’è stato un aumento del 76% rispetto al 2021, quando 121.457 persone hanno ottenuto la cittadinanza italiana. La cittadinanza, in Italia, è vista come il coronamento di un percorso che include legalità, lavoro, casa e comprensione della lingua. Mentre l’immigrazione illegale domina spesso le cronache, esistono anche flussi migratori regolari che seguono altre logiche e che contribuiscono alla crescita del numero di nuovi cittadini italiani. Nel 2022, la maggior parte dei nuovi italiani proveniva da Albania, Marocco, Romania e Brasile, con numeri significativi anche da India, Bangladesh e Pakistan. In Italia, è in vigore lo “ius sanguinis”, ma gli stranieri nati nel nostro Paese e cresciuti in una situazione di legalità possono richiedere la cittadinanza al compimento dei 18 anni. Il Ministero dell’Interno sottolinea inoltre la possibilità di “semplificare” il procedimento, permettendo ai giovani di diventare italiani anche in presenza di piccole lacune documentali.

AGI – DIMINUITI GLI SBARCHI DI MIGRANTI IN ITALIA E AUMENTATI IN SPAGNA E GRECIA

Nei primi sette mesi del 2024, gli sbarchi di migranti in Italia sono diminuiti, con 33.480 arrivi via mare, un calo del 62,3% rispetto ai 88.939 dello stesso periodo del 2023 e del 19,2% rispetto ai 41.435 del 2022. Il Ministero dell’Interno, nel “Dossier Viminale” pubblicato oggi, sottolinea che, parallelamente a questa riduzione, si è registrato un aumento degli sbarchi in Spagna e in Grecia, con un incremento rispettivamente del 153% e del 57%. Nel medesimo periodo, la Libia ha bloccato 12.548 partenze di migranti irregolari, mentre la Tunisia ne ha fermate 46.030. I rimpatri effettuati sono stati 3.079, in aumento rispetto ai 1.989 di due anni fa e ai 2.572 dell’anno scorso. Dal 21 ottobre 2023 al 4 ottobre scorso, i controlli alla frontiera con la Slovenia hanno portato all’individuazione di 3.846 stranieri irregolari, con 211 arresti, di cui 108 per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Tra gennaio 2023 e luglio 2024, sono state emesse 130 espulsioni per motivi di sicurezza dello Stato, 36 estremisti sono stati arrestati e 298 foreign fighters sono stati monitorati dal C.a.s.a. Le domande di asilo presentate in Italia nei primi sette mesi del 2024 sono state 98.353, con un aumento del 35,7% rispetto alle 72.460 del 2023. Sono state esaminate 51.797 domande, con 32.011 dinieghi, un aumento del 91,7% rispetto all’anno precedente. Sono stati riconosciuti 3.522 status di rifugiato (+17,9%) e 5.905 protezioni sussidiarie (+58,5%). I permessi di soggiorno rilasciati nello stesso periodo sono stati 1.210.943, con un incremento dell’11%. Tra gennaio 2023 e luglio 2024, in Italia sono stati commessi 3.650.875 delitti, di cui 499 omicidi, con solo 28 legati alla criminalità organizzata. Si sono registrate 44.166 rapine e 1.605.812 furti. Le persone denunciate sono state 1.259.799, con 241.769 arresti. Le operazioni ad alto impatto, avviate inizialmente a Roma, Milano e Napoli e successivamente estese ad altre aree metropolitane, hanno permesso di controllare 229.931 persone, di cui 403 sono state arrestate, e 47.717 veicoli. Le operazioni antidroga sono state 32.275, con oltre 112.603 kg di sostanze stupefacenti sequestrate. Nel 2024, gli omicidi volontari con vittime donne sono stati 174, con una media di uno ogni 3,3 giorni. Di questi, 145 sono avvenuti in ambito familiare o affettivo e 92 per mano del partner o dell’ex partner. Durante lo stesso periodo, sono state presentate 29.946 denunce per stalking, con 8.738 ammonimenti del questore, di cui 5.379 per violenza domestica, e 1.166 allontanamenti. Le operazioni di polizia contro la criminalità organizzata tra gennaio e luglio 2024 sono state 70, un aumento del 14,7% rispetto al 2023, con l’arresto di 18 latitanti di rilievo. I beni sequestrati e/o confiscati alle mafie sono stati 7.118, in diminuzione del 36%. Otto comuni sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose e sono stati effettuati 6 accessi ispettivi antimafia. Sono state emesse 1.273 certificazioni interdittive. Tra gennaio 2023 e luglio 2024, si sono tenute 19.428 manifestazioni di piazza, di cui 6.112 di carattere sindacale o occupazionale, con 633 considerate critiche. Si sono registrati 267 feriti tra le forze di polizia. Nello stesso periodo, le manifestazioni calcistiche che hanno visto l’intervento delle forze di polizia sono state 3.903, con 434 disordini e 170 feriti, di cui 283 tra le forze dell’ordine. Il Centro nazionale anticrimine informatico ha rilevato 19.364 cyber attacchi tra gennaio 2023 e luglio 2024, con una media di 33,5 al giorno, e ha indagato 333 persone. Sono aumentate le truffe online (28.001 casi con 5.711 indagati) e le frodi informatiche (16.077 casi con 1.536 indagati). I vigili del fuoco hanno effettuato 531.302 interventi nei primi sette mesi del 2024, di cui 135.653 per incendi ed esplosioni, con un aumento del 6%, inclusi 50.912 incendi di vegetazione (+27%). Sono stati inoltre censiti 885 reati discriminatori, di cui 180 legati a razza o etnia, 520 alla religione, 58 alla disabilità, 111 all’orientamento sessuale e 16 all’identità di genere. Infine, tra gennaio 2023 e giugno 2024, sono stati rilevati 144 atti intimidatori contro giornalisti e 880 contro amministratori locali.

L’INDIPENDENTE – MIGRANTI: NEL MEDITERRANEO MORTE 28 MILA PERSONE NEGLI ULTIMI 10 ANNI

Secondo il rapporto dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), più di 63.000 migranti sono morti o dispersi nel mondo nel decennio tra il 2014 e il 2024. Questo dato allarmante emerge dal rapporto “Un Decennio di Documentazione delle Morti dei Migranti” dell’OIM, che ha evidenziato il 2023 come l’anno più mortale con oltre 8.500 decessi registrati, un aumento del 20% rispetto all’anno precedente. Il Mediterraneo è rimasto il teatro più pericoloso per i migranti nel corso degli anni, con un totale di circa 28.000 casi di morte o dispersione. Nel 2023, le vittime nel Mediterraneo sono state 3.129, un numero in linea con il 2017 e inferiore solo rispetto al 2015 e al 2016. La maggior parte delle vittime, circa 2.500 persone su 3.129, sono morte lungo la rotta che va dalla Tunisia, dalla Libia e dall’Algeria fino alle coste italiane. Il rapporto evidenzia che un terzo dei migranti morti stavano fuggendo da conflitti e persecuzioni nei loro paesi d’origine, mentre gli altri due terzi erano migranti economici alla ricerca di migliori opportunità. In Africa, il numero di decessi è aumentato, con oltre 1.800 morti registrati nel 2023, mentre in Asia sono stati documentati oltre 2.100 decessi. Le cause principali di morte sono state annegamento, incidenti legati a trasporti pericolosi e violenza. Metà dei decessi totali sono avvenuti per annegamento, con oltre 2.800 persone dichiarate disperse in mare. L’OIM sottolinea che questi dati potrebbero essere solo una frazione delle vere perdite di vite umane durante le migrazioni, poiché molti altri potrebbero essere dispersi o aver subito violenze e abusi. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni lancia un appello per un’azione urgente basata su dati concreti per affrontare il problema delle morti dei migranti lungo le rotte irregolari. Attraverso il Progetto Migranti Scomparsi, l’OIM cerca di utilizzare dati e analisi migliori per salvare vite umane e facilitare percorsi migratori sicuri e regolari.

ANSA – FINO AL 50% DI MANODOPERA STRANIERA DIETRO IL MADE IN ITALY ALIMENTARE

Il rapporto “Made in Immigritaly” della Fai-Cisl ha evidenziato che fino al 50% della manodopera impiegata nel settore agroalimentare italiano è straniera. Anche se i dati ufficiali indicano che gli immigrati occupati nel settore rappresentano circa il 31,7% delle giornate lavorative, il numero reale è presumibilmente molto più alto se si considerano anche le attività sommerse. Questo fenomeno evidenzia la significativa presenza di lavoratori stranieri nel settore agroalimentare, che contribuiscono attivamente alla produzione di prodotti alimentari italiani di eccellenza. Nonostante ciò, molti di questi lavoratori rimangono invisibili agli occhi della società italiana, nonostante il loro contributo essenziale. Il rapporto ha anche evidenziato distorsioni nei dati istituzionali riguardanti il numero di immigrati impiegati nell’agricoltura, considerando anche il lavoro non dichiarato e le registrazioni fittizie. L’agricoltura rimane uno dei settori più a rischio di sfruttamento lavorativo, con quasi la metà dei provvedimenti giudiziari e delle inchieste condotte tra il 2017 e il 2021, con un aumento significativo anche nelle regioni del Centro-Nord. Le principali nazionalità dei lavoratori immigrati nell’agroalimentare provengono principalmente da Romania, Marocco, India, Albania e Senegal. Tuttavia, le nazionalità dei rifugiati non figurano tra le prime posizioni, e l’Africa subsahariana è sottorappresentata in generale. Il Ministro dell’Agricoltura, Sovranità Alimentare e Foreste, Francesco Lollobrigida, ha sottolineato la necessità di pianificare e gestire le migrazioni in modo adeguato, fornendo opportunità di sviluppo nei territori di origine e puntando sulla formazione professionale dei migranti. Il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, ha invitato a smantellare gli stereotipi negativi sulle migrazioni e a spoliticizzare il dibattito. Il rapporto ha anche analizzato nove casi studio territoriali in otto regioni italiane, evidenziando l’importante contributo dei lavoratori stranieri in settori chiave come la frutticoltura, la produzione lattiero-casearia, la viticoltura e la lavorazione delle carni. In particolare, sono emerse criticità legate alle condizioni di lavoro e di vita degli immigrati, con edifici al di sotto degli standard di vivibilità, soprattutto in regioni come la Puglia. Complessivamente, gli imprenditori agricoli stranieri in Italia sono circa 28.029, rappresentando il 3% del totale nazionale, con una significativa presenza femminile pari al 43%.

ANSA – DIMEZZATO IL NUMERO DI MIGRANTI SBARCATI NEL 2024

Gli sbarchi di migranti in Italia nel 2024 sono significativamente diminuiti nei primi tre mesi rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. I dati del Viminale mostrano che, dal primo gennaio al 22 marzo, sono giunti sulle coste italiane 9.479 migranti, rispetto ai 20.364 registrati nello stesso arco temporale nel 2023. Inoltre, il numero di minori stranieri non accompagnati è notevolmente diminuito, passando da circa 2.000 nel 2023 a 688 nel 2024.

AGI – NEL 2023 SONO MORTI 8.565 MIGRANTI NEL MONDO

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) ha reso noto che nel corso del 2023 sono morte almeno 8.565 persone lungo le rotte migratorie in tutto il mondo. Questo dato rappresenta il numero più alto degli ultimi dieci anni, con un netto aumento rispetto al 2022. Nel 2016, il numero di vittime fu di 8.084, rimanendo il più alto fino allo scorso anno. Secondo l’OIM, il bilancio delle vittime nel 2023 è aumentato del 20% rispetto all’anno precedente, sottolineando l’urgente necessità di adottare misure per prevenire ulteriori perdite di vite umane lungo le rotte migratorie.

L’INDIPENDENTE – LE INDAGINI PER MALTRATTAMENTI E SEDAZIONI FORZATE NEL CPR DI POTENZA

Un ispettore di polizia, i rappresentanti legali della cooperativa che gestiva il CPR fino pochi mesi fa, Engel Italia srl, oltre che del medico della struttura, sono stati indagati per maltrattamenti, sedazioni forzate e altri reati. L’inchiesta, coordinata dalla Procura di Potenza, è partita dopo la trasmissione di un video da parte di Striscia la Notizia, in cui si vede un poliziotto costringere un recluso ad assumere psicofarmaci di cui non aveva bisogno contro la sua volontà. Sono stati 35 i casi di maltrattamenti ai danni delle persone ristrette nel CPR potentino accertati nell’ambito dell’inchiesta. L’ispettore della Polizia Rosario Olivieri è accusato di violenza privata pluriaggravata, falso ideologico, calunnia e truffa aggravata ai danni dello Stato. Ai gestori del centro e di un medico (accusato di maltrattamenti, falso ideologico e violenza privata pluriaggravata) è stato invece disposto il divieto per un anno ad esercitare imprese o uffici direttivi operanti in rapporti con la pubblica amministrazione. L’indagine si riferisce a fatti accaduti tra il 2018 e il 2022. Oltre ai maltrattamenti, si indaga anche sulle nomine dei difensori dei trattenuti, che sarebbero state pilotate sempre ai soliti uffici in cambio di favori o regali. «Era un inferno là dentro, e solo chi si trovava a viverlo di persona lo può capire», ha detto un’infermiera in servizio nel CPR. Le accuse sono gravissime e mettono nuovamente in discussione il sistema dei CPR, che sono stati accusati di essere luoghi di detenzione inumane e degradanti. «I CPR – denuncia anche il segretario generale della Cgil di Potenza, Vincenzo Esposito – sono frutto di una politica migratoria che guarda esclusivamente a operazioni di controllo e contenimento e non alla gestione del fenomeno migratorio, ai diritti e alla necessità di guardare alle persone che arrivano come nuovi europei e pezzi già esistenti della nostra società».

ANSA – MIGRANTI: NEL 2023 ARRIVI AUMENTATI DEL 50%

Il flusso migratorio verso le coste italiane nel 2023 registra un aumento significativo del 50% rispetto all’anno precedente, con 155.754 persone giunte nel Paese, di cui oltre 17.000 minori non accompagnati. Le cifre, comunicate dal Viminale, evidenziano un incremento rispetto alle 103.846 arrivate nel 2022, con un picco di 25.673 sbarchi in agosto. La crisi in Tunisia ha accentuato questo fenomeno, diventando la principale rotta di fuga dall’Africa. L’impiego dei mercenari della Wagner per esasperare il flusso migratorio è stato denunciato anche dal governo italiano. Il Patto su migranti in Europa, mirante a una distribuzione equa dei richiedenti asilo, potrebbe mitigare questo impatto nel 2024. Le recenti arrivate includono 244 persone a Bari, provenienti da Eritrea, Sudan, Bangladesh, Pakistan e Siria, con due donne incinte e minori non accompagnati. A Lampedusa, 79 persone sono state salvate da una motovedetta di Frontex, mentre 13 tunisini sono giunti nella Sardegna meridionale. La Open Arms con sessanta migranti è attesa a Genova, mentre la Geo Barents con 336 migranti arriverà a Ravenna.

ANSA – FRONTEX: 331 MILA ARRIVI DI MIGRANTI IN UE

Frontex rivela un aumento del 18% negli attraversamenti irregolari delle frontiere UE nei primi dieci mesi del 2023, raggiungendo il picco di 331.600 arrivi, il più alto dal 2015. L’Africa occidentale segna un notevole incremento, con 27.000 arrivi, quasi il doppio dell’anno precedente. Il Mediterraneo centrale resta la rotta più trafficata, con oltre 143.600 individui rilevati dalle autorità nazionali nel 2023. Questi dati indicano una tendenza in crescita degli arrivi irregolari, mettendo in evidenza le sfide dell’UE nel gestire il flusso migratorio attraverso le sue frontiere esterne.

L’INDIPENDENTE – OIM: NEL 2023 SONO MORTI 2271 PERSONE ATTRAVERSANDO IL MEDITERRANEO

Secondo l’OIM, almeno 2.271 persone sono morte attraversando il Mediterraneo Centrale nel 2023, un aumento del 60% rispetto al 2022. Le cifre sono ancora provvisorie, ma la tendenza è chiara: il numero di morti in mare è in aumento, nonostante le politiche anti-migratorie messe in atto da molti governi europei. Nel corso del 2023, ci sono stati 188.510 tentativi di attraversamento nella rotta centrale del Mediterraneo, di cui il 71% non è riuscito. In Italia, sono arrivate via mare 153.531 persone, il numero più alto degli ultimi nove anni. La maggior parte dei migranti che arrivano in Italia sono siriani, bengalesi, tunisini ed egiziani. Le politiche migratorie messe in atto dal governo italiano, come il decreto in contrasto alle ONG, non hanno avuto l’effetto sperato di ridurre gli arrivi e le partenze. Al contrario, hanno contribuito all’aumento dei morti in mare. L’Unione Europea ha recentemente trovato un nuovo accordo sul Patto Migranti, che obbliga i Paesi membri alla solidarietà verso i luoghi di primo approdo. L’accordo è stato criticato da varie ONG, che ne denunciano il processo di esternalizzazione, volto più che a una reale gestione dei migranti, a una loro “criminalizzazione”.

ILLEGALITA’:

TORINOCRONACA – LE MANI DELLE MAFIE SULLA SANITA’ DEL NORD ITALIA

Le mafie italiane, in particolare la ‘ndrangheta, hanno espanso le loro attività criminali nel settore della sanità nel Nord Italia, in particolare tra Torino e Milano. Dopo anni di coinvolgimento in traffico di droga, usura, estorsioni e appalti, i boss mafiosi hanno aperto un nuovo fronte, sfruttando relazioni e amicizie di alto livello. La Squadra Mobile di Milano ha evidenziato questo fenomeno in una lunga informativa, rivelando che oltre ai tradizionali boss e famiglie calabresi, sono coinvolti anche insospettabili professionisti, come alcuni medici di importanti ospedali del Nord. L’interesse della ‘ndrangheta per la sanità è cresciuto significativamente durante la pandemia, rappresentando una nuova opportunità per la criminalità organizzata. La struttura flessibile e la capacità di adattamento delle famiglie calabresi hanno permesso di colmare i vuoti creati dagli arresti delle operazioni Infinito-Crimine (luglio 2010) e Minotauro, e di altre indagini fino al 2024. Secondo la polizia, i clan a Torino e Milano si sono rapidamente riorganizzati, ricostruendo una gerarchia che consente loro di mantenere un forte legame con il territorio. Oggi i clan puntano a entrare nei settori imprenditoriale e politico-istituzionale, candidando affiliati di fiducia nelle amministrazioni locali. Vivendo al Nord da più generazioni, gli appartenenti alla ‘ndrangheta hanno acquisito una conoscenza approfondita del territorio, consolidando rapporti con le comunità locali e instaurando contatti privilegiati con rappresentanti della politica e delle istituzioni locali. Gli investigatori notano che le nuove generazioni hanno permesso alla ‘ndrangheta di diventare un’associazione con una certa indipendenza rispetto alla matrice calabrese, pur mantenendo stretti legami con essa.

Altre notizie:

APRI/CHIUDI
ANSA – DATI ISTAT SU CORRUZIONE IN ITALIA: CALO DI RICHIESTE DI DENARO IN CAMBIO DI FAVORI

Secondo il report dell’Istat sulla corruzione in Italia (anno 2022-2023), si registra un calo delle richieste alle famiglie di denaro o altro in cambio di agevolazioni, beni o servizi. Negli ultimi tre anni, le richieste ricevute dalle famiglie sono diminuite dal 2,7% al 1,3% rispetto al triennio precedente. La corruzione è in calo anche in altri settori come il lavoro, gli uffici pubblici, la sanità e la giustizia. Tuttavia, rimane stabile al 1,4% nel settore assistenziale. Si sono osservati notevoli cali nelle richieste in ambito sanitario e giuridico. Inoltre, il report indica che oltre un milione 166mila cittadini (il 2,7% della popolazione tra i 18 e gli 80 anni) sono stati offerti denaro, favori o regali in cambio del loro voto alle elezioni amministrative, politiche o europee. Tuttavia, questa percentuale è in diminuzione rispetto al 3,7% del 2015-2016. Il rapporto sottolinea anche che la corruzione sembra essere più accettata se serve a garantire lavoro a un figlio, con il 20,1% dei cittadini di età compresa tra i 18 e gli 80 anni che lo ritiene accettabile. Questo è seguito dall’idea di farsi raccomandare da familiari o amici per essere assunti, ritenuta accettabile dal 15,9% dei cittadini. Solo il 4,5% considera accettabile ottenere regali, favori o denaro in cambio del proprio voto alle elezioni.

ANSA – FURTI DI VEICOLI IN ITALIA CRESCIUTI DEL 7% NEL 2023

Il 2023 ha registrato una nuova crescita dei furti di veicoli in Italia: +7%, 131mila in totale. Dal 2013 sono 1 milione e mezzo: di quasi 940mila si sono perse le tracce, instradati su mercati esteri o utilizzati per pezzi di ricambio. In tutti gli altri Stati Ue si rubano meno di 40mila veicoli l’anno. Aumentano i furti di tutte le categorie, anche le moto, ma il boom più significativo riguarda gli autoveicoli (+11%), ritornati vicini alle 100mila “sottrazioni” annue. 5 regioni da bollino rosso: Campania, Lazio, Puglia, Sicilia e Lombardia. 1 autoveicolo rubato su 10 è una Fiat Panda.

REPUBBLICA – ITALIA CROCEVIA DEL TRAFFICO DI DROGHE SINTETICHE DALLA SIRIA ALL’EUROPA

Il dipartimento al Tesoro degli Stati Uniti ha annunciato sanzioni contro 11 individui e entità legate al regime del presidente siriano Bashar Al-Assad, accusati di facilitare trasferimenti finanziari illeciti e il traffico di droghe illegali, in particolare Captagon. Questa sostanza, nota per essere utilizzata anche dai terroristi di Hamas, è diventata una delle principali fonti di reddito per il regime siriano, le sue forze armate e paramilitari. Il principale produttore ed esportatore di Captagon è la Siria, con il traffico che coinvolge anche l’Europa attraverso l’Italia e la Grecia. Taher al-Kayali, cittadino siriano, è stato individuato come figura chiave di questo traffico, gestendo la Neptunus Llc in Siria per l’acquisto di navi utilizzate per contrabbandare Captagon e hashish, entrambi utilizzati come fonti di finanziamento per il regime di Assad. La nave mercantile Noka, acquistata da al-Kayali tramite Neptunus, è stata intercettata nel 2018 dalle autorità greche mentre trasportava droghe per un valore superiore a 100 milioni di dollari. Le azioni di al-Kayali non si limitano al traffico di droghe, ma includono anche il supporto ai trafficanti di Captagon nel tentativo di distribuire la droga in Europa, con la Grecia e l’Italia come punti cruciali di transito. In risposta a queste attività illegali, Washington ha imposto sanzioni contro al-Kayali e le sue società, insieme a Mahmoud Abulilah Al-Dj, sospettato di gestire un canale di traffico che attraversa il Nordafrica.

ANSA – 95 EPISODI INTIMIDATORI NEI CONFRONTI DEI GIORNALISTI

Nel 2023 sono stati censiti 98 episodi intimidatori nei confronti di giornalisti (con un calo dell’11,7% rispetto ai 111 segnalati nel 2022). 40 dei casi sono riconducibili a contesti politico/sociali (il 40,8% del totale), 12 alla criminalità organizzata (12,2%). I numeri emergono dal report del Servizio analisi criminale del Dipartimento della pubblica sicurezza presentato presso la Scuola superiore di Polizia nel corso del meeting dei Focal Points nazionali nell’ambito del Progetto Osce sulla sicurezza dei giornalisti. Gli episodi consumati tramite i canali web sono stati 30 (corrispondenti al 30,6% del totale degli eventi), pari al numero di quelli registrati nel 2022; i mezzi più utilizzati sono risultati Facebook (con 13 episodi) e le e-mail (con 8). Ci sono poi state 19 aggressioni fisiche, 17 minacce verbali, 12 danneggiamenti, 9 scritte ingiuriose/minacciose, 7 lettere, 4 invii di oggetti/proiettili/parti di animali. La regione in testa per numero di casi è il Lazio (21), seguita da Lombardia (16), Campania (11), Calabria e Sicilia (10). Quanto alle aree metropolitane, il maggior numero di episodi è stato segnalato a Roma (17), seguita da Milano (15), Reggio Calabria (8) e Napoli (6). Per alcuni atti intimidatori non risulta che la vittima abbia presentato denuncia-querela. Nel complesso, negli eventi rilevati nel 2023 appaiono coinvolti, in qualità di vittime, 92 professionisti dell’informazione, tra i quali 21 donne (22,8%) e 71 uomini (77,2%). L’8% delle segnalazioni totali è relativo ad intimidazioni perpetrati nei confronti di sedi giornalistiche o di troupe non meglio specificate.

CORRIERE – NEGLI ULTIMI 10 ANNI 3 VITTIME DI INCIDENTI PROVOCATI DA GUIDA SENZA PATENTE O REVOCATA

In dieci anni, quasi 3000 vittime per incidenti provocati da chi guida senza patente o con essa revocata, una cifra equivalente all’intera popolazione di un piccolo comune italiano. Oltre 53.000 feriti, equiparabile al totale dei residenti di Siena o Agrigento. Non avere la patente e causare gravi incidenti è un’aggravante dal 2016, ma le sanzioni sembrano non bastare. Nel 2020, 342 morti e 7.568 feriti, un aumento significativo rispetto al 2019, riflettendo un fenomeno in crescita nonostante le pene più severe. Una ricerca rivela che il 10% dei guidatori filma con il cellulare mentre guida, con trasgressori principalmente tra i 24 e i 44 anni, senza distinzione di genere.

DATI E STUDI:

SKYTG24 – UN ITALIANO ADULTO SU DIECI POSSIEDE LEGALMENTE UN’ARMA

Secondo un’indagine condotta da Sky TG24, basata su dati ottenuti dal ministero dell’Interno, nel 2023 in Italia erano 4.659.082 le persone che possedevano legalmente almeno un’arma registrata. Questo dato rappresenta circa un italiano maggiorenne su dieci e, in termini di nuclei familiari, potrebbe significare che fino a una famiglia su cinque vive con un’arma in casa. Nonostante il numero di armi detenute sia notevole, è leggermente in calo rispetto ai 4,8 milioni del 2019. Tuttavia, la cifra è significativamente più alta rispetto al numero di licenze valide, che nel 2023 erano circa 1,2 milioni. La discrepanza si spiega con una normativa che consente di mantenere il possesso di un’arma anche in assenza di una licenza attiva, a patto di sottoporsi a visite mediche e psicologiche ogni cinque anni. Sky TG24 spiega: «Un italiano maggiorenne su dieci è in possesso legalmente di un’arma. Se ragioniamo in termini di famiglie, probabilmente fino a un nucleo familiare su cinque vive con un’arma in casa». I dati sulle armi registrate sono custoditi in un database del Centro elaborazione dati interforze, che fa capo al dipartimento della pubblica sicurezza del ministero dell’Interno. Sky TG24 ha ottenuto questi numeri aggiornati attraverso una richiesta di accesso civico, aggiornando così il precedente dato ufficiale disponibile, relativo principalmente alle licenze. Nel conteggio fornito dal ministero, tuttavia, non sono incluse le armi detenute illegalmente, di cui non esiste una stima precisa. In Italia ci sono diverse autorizzazioni per l’acquisto, il possesso e l’utilizzo delle armi. La più basilare è il nulla osta all’acquisto, che consente di comprare e detenere un’arma ma non di utilizzarla. Per ottenerlo è necessario: un certificato rilasciato da un medico legale che attesti il pieno possesso delle facoltà mentali, un attestato di idoneità al maneggio delle armi, ottenuto tramite un corso riconosciuto presso un poligono. Secondo Sky TG24, però, questa modalità è sempre meno utilizzata: nel 2023 sono stati rilasciati solo 5.284 nulla osta. Le altre forme di autorizzazione includono: porto d’armi per caccia, porto d’armi per difesa personale, licenze per uso sportivo, l’aumento dell’uso sportivo e il calo delle altre categorie. Le richieste di licenze per uso sportivo sono in forte crescita: negli ultimi dieci anni sono aumentate del 38%. In controtendenza, le richieste di porto d’armi per caccia e di licenze per difesa personale sono in significativo calo. Un aspetto interessante, sottolineato da Sky TG24, riguarda il rapporto tra le licenze sportive e l’effettiva partecipazione alle attività sportive: «Probabilmente molti di coloro che hanno la licenza sportiva desiderano semplicemente avere un’arma in casa per dormire sonni più tranquilli, quindi per scopi di difesa personale». Nel 2022, gli iscritti alle federazioni di tiro erano cinque volte meno rispetto al numero di licenze sportive attive, suggerendo che per molti si tratta di una motivazione legata alla sicurezza domestica piuttosto che a un interesse sportivo.

Altre notizie:

APRI/CHIUDI
REPUBBLICA – LA SCRITTURA A MANO È IN VIA D’ESTINZIONE

La scrittura a mano, una delle abilità fondamentali dell’essere umano, sta lentamente scomparendo. Gli studenti di oggi, abituati a digitare su tastiere e schermi, fanno sempre più fatica a scrivere in corsivo e, quando ci provano, i risultati sono spesso incomprensibili. A denunciarlo è un’indagine riportata da diverse fonti, che evidenzia come il corsivo sia ormai paragonabile a un panda: in via d’estinzione. Un esempio della calligrafia del passato arriva da una lettera del 1955 scritta da Carlo, oggi re Carlo III, quando aveva appena sette anni. «Cara nonna, mi spiace che tu non stia bene. Ti auguro di riprenderti presto», scrisse alla Regina Madre, in una grafia ordinata, tonda e spaziosa. Il Telegraph utilizza questa lettera per sottolineare un problema: «I bambini di oggi non sanno più scrivere a mano. E se lo fanno, le parole sono incomprensibili. Non si capisce nulla». Con l’aumento dell’uso della tecnologia, molti bambini perdono gradualmente la capacità di scrivere in corsivo. Come afferma un recente rapporto, «a furia di battere sui tasti e digitare sugli schermi si è perso il fiocco della “f”, il nodo della “g” e le gobbe della “m”». Paolo D’Achille, presidente della Crusca, definisce questa tendenza come un “grave errore”. Secondo lui, la scrittura manuale coinvolge tutto il corpo, permettendo un’interiorizzazione del linguaggio che non è possibile ottenere con una tastiera. La situazione è preoccupante: uno studente su cinque delle scuole primarie ha difficoltà a uscire dalla scrittura in stampatello, secondo l’Osservatorio carta, penna e digitale della Fondazione Einaudi. Inoltre, i casi di disgrafia, un disturbo specifico che rende difficoltoso scrivere in modo leggibile e fluido, sono aumentati del 163% negli ultimi dieci anni. Oltre alla leggibilità, il declino della scrittura a mano ha implicazioni più profonde. Come spiega l’Accademia della Crusca, se si scrive peggio, si legge anche peggio, e questo porta a una comprensione meno efficace dei testi e a un impoverimento del linguaggio. Antonio Suppa, neurologo, aggiunge che la scrittura a mano «promuove lo sviluppo cerebrale, l’apprendimento e la creatività». Questo perché scrivere manualmente è un’azione che coinvolge sia il corpo sia la mente, migliorando la memoria. In paesi come Norvegia, Stati Uniti e Giappone, studi scientifici hanno confermato che scrivere a mano è un’azione cognitivo-motoria che richiede maggiore attenzione rispetto alla digitazione. «Quando si usa una penna, si memorizzano più facilmente le nozioni», evidenziano le ricerche. Infine, c’è un aspetto più personale e unico. La grafologa Valeria Angelini sottolinea come la scrittura manuale sia «un’espressione unica e irripetibile di una persona». Ogni tratto di penna racconta qualcosa di chi scrive: la pressione della mano, il ritmo, la fluidità e persino lo stile variano da individuo a individuo, rendendo ogni scrittura un piccolo ritratto della personalità.

ANSA – INCIDENTI STRADALI: NEL 2023 SI SONO REGISTRATI IN MEDIA 8 MORTI AL GIORNO

Nel 2023, in Italia, si sono registrati più di otto morti al giorno sulle strade, un bilancio allarmante che emerge dai dati raccolti da Aci e Istat. Ogni giorno, in media, si verificano 456 incidenti stradali, causando 8,3 morti e 615 feriti. Questo report evidenzia una situazione drammatica, con 3.039 decessi causati da incidenti stradali nel corso dell’anno. Sebbene questo numero sia in leggero calo rispetto ai 3.159 morti del 2022, la situazione rimane critica. Il numero degli incidenti stradali con lesioni a persone è in crescita: nel 2023 si sono verificati 166.525 incidenti, rispetto ai 165.889 del 2022. Anche il numero dei feriti è aumentato, con 224.634 persone che hanno riportato lesioni, rispetto ai 223.475 dell’anno precedente. L’Italia deve affrontare seriamente questi numeri preoccupanti. La Commissione Europea ha fissato l’obiettivo di ridurre del 50% il numero di vittime e feriti gravi entro il 2030, utilizzando il 2019 come anno di riferimento. Tuttavia, i risultati sono lontani da questo obiettivo: su 107 province italiane, 42 hanno registrato un aumento delle vittime, mentre solo in 8 province si è raggiunto il dimezzamento rispetto al 2019. Il Lazio è la regione con il maggior aumento di morti sulle strade: rispetto al 2019, ci sono stati 51 decessi in più. La Sardegna ha la più alta incidenza di mortalità stradale, con 7 morti ogni 100.000 abitanti, mentre la media nazionale è di 5,5. Altre regioni con tassi elevati includono Trentino Alto Adige (6,56), Veneto (6,36) ed Emilia-Romagna (6,26). L’indice di mortalità, ovvero il numero di decessi per 100 incidenti, è aumentato: in 12 province è risultato almeno doppio rispetto alla media nazionale di 1,82. Le province con le situazioni più critiche includono Nuoro (6,25) e Sud Sardegna (6,14). Al contrario, province come Prato e Milano hanno mostrato un indice di mortalità inferiore a 1. Questi dati evidenziano la necessità urgente di interventi efficaci per migliorare la sicurezza stradale in Italia. Nonostante alcuni progressi nella riduzione delle vittime rispetto al passato recente, l’aumento degli incidenti e dei feriti richiede un’attenzione costante e misure concrete per garantire la sicurezza sulle strade.

ANSA – SEMPRE PIU’ DONNE ITALIANE EMIGRANO

Sempre più donne italiane emigrano, dati e storie. Alla data del primo gennaio 2023, i connazionali iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero erano quasi 6 milioni, pari al 10,1% dei 58,8 milioni di residenti in Italia. La presenza di italiani all’estero è aumentata dal 2006 del 91%, mentre quella delle donne è cresciuta del 99%. Questi dati sono parte del libro “Sulle ali del cambiamento. Narrazioni femminili dell’emigrazione italiana contemporanea” (Tau editrice) di Loredana Cornero, che esplora come nel XXI secolo le italiane continuino a emigrare, ma con motivazioni diverse rispetto al passato, come la ricerca di migliori opportunità lavorative e la fuga da discriminazioni di genere. Cornero spiega: “C’è una grandissima differenza tra l’emigrazione del ‘900 dove in prevalenza si partiva per sfuggire dalla povertà e per seguire il marito, e quella degli anni 2000. Oggi la motivazione principale della decisione di partire non è più quella della ricerca di un lavoro qualsiasi; si tratta di un’emigrazione più ragionata: la novità è che le donne partono per cercare un lavoro che rispetti maggiormente i loro studi, le esperienze, la professionalità e il merito. Sono tutti temi che qui in Italia non sono calcolati tanto che accade spesso che le donne laureate si trovano negli studi professionali a fare le passacarte”. Le donne che emigrano non fuggono più da una povertà estrema come accadeva in passato. “Si cerca fuori dai nostri confini la possibilità di essere pagate per quello che si vale. Ma non partono solo le donne con studi universitari. Quando ho chiesto a una ragazza a Berlino che puliva le stanze perché non fare lo stesso lavoro nel suo paese, mi ha spiegato che ‘qui non pagano in nero e non devo pregare per farmi pagare gli straordinari'”, continua Cornero, saggista ed esperta di media gender. Secondo il Global Gender Gap Report del 2023, l’Italia è passata dal 66esimo al 79esimo posto su 146 Paesi classificati, con un gap di genere del 70%. Questo peggioramento è dovuto principalmente a un calo significativo della presenza delle donne in politica. “Solo nel settore dell’economia, nel 2011 con la legge Golfo-Mosca, che imponeva quote di genere nei CDA delle società quotate, la presenza delle donne è aumentata. A dimostrazione che quello delle quote rosa è un meccanismo che può comunque incentivare la presenza delle donne nella società”, osserva Cornero. Il cuore del libro è rappresentato dalle storie di dieci donne con esperienze diverse che raccontano la loro scelta di emigrare e il loro inserimento nelle nuove realtà. Una giovane donna di Torino, ora in Australia, afferma: “Mi sento un’emigrata e non expat perché sono partita senza lasciarmi una casa a cui fare ritorno”. Un’altra donna, cinquantenne in Arizona da venticinque anni, ama l’Italia ma non vi tornerebbe perché trova l’ambiente universitario poco meritocratico. Anche altre storie evidenziano come molte abbiano lasciato il proprio paese con il focus su una leadership femminile ancora carente in Italia. “Nessuna delle dieci donne intervistate dice ‘vorrei tanto tornare in Italia’ – sottolinea Cornero – qualcuna dice magari in un futuro legato alla pensione: l’unico tema forte risulta l’invecchiamento dei genitori; altrimenti neanche quando si hanno i figli o quando si vuole lasciare il posto di lavoro si pensa a tornare nel paese d’origine”. Una ragazza di Napoli che fa l’imprenditrice nel settore alimentare in Costa Azzurra ha dichiarato di essere partita a 25 anni per uscire da situazioni difficili e ha seguito il marito in Francia senza sapere una parola di francese: “Mi voglio andare non per tornare a casa; forse andrò in Australia”. Cornero spiega: “Non pensano che l’Italia possa cambiare o riconoscere il loro lavoro. Questo è un dato comune a tutta l’emigrazione che parte da tutto il paese, soprattutto dalla provincia. Ho cercato di fare una lettura di genere sia attraverso i dati sia attraverso le storie, perché dietro i dati ci sono sempre le persone. L’emigrazione non ha mai avuto finora una lettura di genere”, afferma l’autrice, sottolineando l’importanza della storia dell’emigrazione femminile nel ventesimo secolo.

ANSA – IN ITALIA SI SPRECANO 4,2 MILIARDI DI PASTI OGNI ANNO (CIBO PER 4 MILIONI DI POVERI)

Nel mondo si sprecano 1.260 miliardi di pasti ogni anno, di cui 4,26 miliardi in Italia. Questi sono i dati riportati dall’Osservatorio Waste Watcher International in occasione della 5ª Giornata Mondiale di Consapevolezza degli Sprechi e delle Perdite Alimentari, che si celebra oggi. Secondo l’Osservatorio, in Italia si registra una preoccupante tendenza all’aumento degli sprechi alimentari da parte delle famiglie. L’Osservatorio ha calcolato che, basandosi su un peso medio di 500 grammi per pasto, come stimato dal Food Waste Index Report 2024 dell’Unep, il numero di pasti sprecati nel Paese potrebbe sfamare quasi 4 milioni di persone. Questo è più della metà delle persone in povertà alimentare in Italia, che, secondo i dati Caritas-Istat, sono salite a 6 milioni, pari al 10% della popolazione. “È scandaloso che di fronte alla povertà alimentare in aumento nel mondo e in Italia”, ha dichiarato Andrea Segrè, direttore scientifico di Waste Watcher International, “si sprechino tanti pasti, questi numeri toccano le nostre coscienze. Se questo trend si mantiene, sarà impossibile per l’Italia raggiungere l’obiettivo Onu di sviluppo sostenibile che impone di dimezzare lo spreco domestico entro il 2030”. Andrea Segrè, fondatore della campagna di sensibilizzazione Spreco Zero, insieme alla chef Cristina Bowerman, ambasciatrice di sostenibilità della campagna, ha lanciato un appello attraverso un video. Entrambi chiedono con forza l’introduzione dell’educazione alimentare nelle scuole di tutto il mondo, per contrastare il problema degli sprechi alimentari.

SAVE THE CHILDREN – ITALIA: AUMENTA IL DIVARIO DEL SISTEMA SCOLASTICO TRA NORD E SUD
In Italia, il sistema scolastico è caratterizzato da profonde disuguaglianze nell’offerta dei servizi educativi, che compromettono il percorso di crescita di bambini e adolescenti, specialmente nelle regioni del Sud e delle Isole. Nonostante alcuni miglioramenti, in queste aree si registrano ancora tassi di dispersione scolastica tra i più alti in Europa. Le risorse e gli interventi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per l’istruzione, già avviati in queste zone, non sono sufficienti a colmare i gravi divari esistenti, nonostante gli sforzi compiuti. Questa è la preoccupazione sollevata da Save the Children, un’organizzazione che da oltre un secolo si impegna a garantire un futuro ai bambini. In occasione dell’inizio dell’anno scolastico, l’organizzazione ha diffuso il rapporto intitolato “Scuole disuguali. Gli interventi del PNRR su mense, tempo pieno e palestre”. Il documento analizza le disuguaglianze territoriali nell’offerta di servizi scolastici come la mensa, il tempo pieno e le palestre, confrontando la distribuzione delle risorse a livello provinciale e valutando se gli interventi del PNRR possano davvero ridurre queste differenze. Secondo l’analisi di Save the Children, c’è una distribuzione irregolare delle risorse del PNRR nelle province più svantaggiate. Per esempio, alle regioni del Sud e delle Isole è stato destinato il 38,1% dei fondi per l’ampliamento delle mense scolastiche, anche se queste aree ospitano circa il 50% dei progetti finanziati. Questo ha portato a un impatto disomogeneo nella riduzione delle disuguaglianze territoriali. Le province di Agrigento, Foggia, Catania, Palermo, Siracusa e Ragusa, dove meno del 10% degli studenti usufruisce del servizio mensa, hanno ricevuto fondi per 49 interventi legati alla costruzione o riqualificazione delle mense, per un valore complessivo di circa 21,5 milioni di euro. In confronto, le province con il maggior numero di studenti che utilizzano la mensa, come Trento, Biella, Monza e Brianza, Verbano-Cusio-Ossola, Udine e Milano, hanno ricevuto 30 milioni di euro per 34 interventi. L’analisi evidenzia inoltre che nelle province dove il servizio mensa è meno diffuso si concentra anche una maggiore percentuale di studenti provenienti da famiglie con bassi livelli socioeconomici. Ad esempio, a Palermo, dove solo l’8,7% degli studenti usufruisce della mensa, sono stati stanziati circa 2 milioni di euro per sei interventi, mentre a Foggia, con una percentuale simile di studenti che accedono al servizio, sono stati destinati quasi 6,5 milioni di euro per 18 interventi. Il PNRR ha stanziato oltre 17 miliardi di euro per il Ministero dell’Istruzione e del Merito, un’occasione unica per garantire pari opportunità a tutti gli studenti, soprattutto nei territori con maggiori difficoltà economiche e con una maggiore incidenza di povertà minorile. Tuttavia, dall’analisi di Save the Children emerge che le risorse, sebbene utili, non sono sufficienti per garantire a tutti l’accesso ai servizi essenziali, come la mensa e il tempo pieno nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, né la disponibilità di palestre scolastiche, soprattutto nelle aree più svantaggiate. In Italia, solo poco più della metà dei bambini della scuola primaria ha accesso alla mensa scolastica (55,2%) e solo il 10,5% degli studenti della scuola secondaria di primo grado. Le differenze territoriali sono evidenti: nelle regioni del Centro e del Nord oltre il 50% degli studenti accede al servizio mensa, con picchi che superano il 90% nella Provincia Autonoma di Trento. Al contrario, nelle province del Sud, come Agrigento e Foggia, meno del 10% degli studenti usufruisce del servizio. Un altro aspetto critico è la possibilità di praticare attività sportiva a scuola. Attualmente, meno della metà delle scuole statali italiane dispone di una palestra. Dall’analisi dei 433 interventi del PNRR per la costruzione o la riqualificazione di palestre, emerge che il 62,8% degli interventi è stato avviato nelle regioni del Sud e delle Isole, a cui è stato destinato il 52,7% dei fondi complessivi. Tuttavia, anche in questo caso, la distribuzione delle risorse non è omogenea. La situazione delle palestre scolastiche riflette un’altra importante disparità. Province come Crotone, dove meno del 27% delle scuole ha una palestra, hanno ricevuto 14 interventi, mentre Palermo, con un numero maggiore di studenti e scuole, ha ottenuto solo sei interventi. A livello nazionale, gli interventi del PNRR per le strutture sportive scolastiche rappresentano un passo avanti, ma restano insufficienti per garantire la copertura necessaria e per ridurre i divari territoriali. In molte aree del Paese, la scuola rappresenta l’unica opportunità per bambini e adolescenti di praticare attività sportiva, soprattutto per chi proviene da famiglie con risorse economiche limitate. “Il problema non è solo garantire che le risorse del PNRR vengano spese, ma anche fare in modo che queste raggiungano i territori dove i bambini affrontano maggiori difficoltà nel percorso educativo”, ha dichiarato Raffaela Milano, Direttrice di Save the Children Italia. Anche Giorgia D’Errico, Direttrice Affari pubblici e Relazioni istituzionali di Save the Children, ha sottolineato l’importanza di definire livelli essenziali delle prestazioni (LEP) per garantire a tutti uguali opportunità educative, a partire dalla mensa e dal tempo pieno nelle scuole primarie.

LASTAMPA – NEL 2050 GLI OVER 65 SARANNO IL 35% DELLA POPOLAZIONE ITALIANA

Gabriele Fava, neo presidente dell’INPS, ha rilasciato un’intervista in cui ha delineato alcune priorità per l’Istituto. Fava ha sottolineato l’importanza di allargare la base contributiva per garantire la sostenibilità del sistema previdenziale, in particolare per i giovani under 35. Secondo Fava, circa il 20% dei 7 milioni di giovani lavoratori italiani risulta precario o senza copertura assicurativa. Per assicurare loro un adeguato scenario pensionistico, è necessario garantire opportunità di lavoro ben retribuite e tutelate dal punto di vista previdenziale, supportandoli con misure di politiche attive del lavoro. Uno degli obiettivi dell’INPS sarà coinvolgere le giovani generazioni sulla “questione previdenziale” e aiutarli a costruire il proprio “salvadanaio previdenziale”. Fava ha anche affrontato il tema dell’invecchiamento della popolazione, sottolineando che nel 2050 gli over 65 rappresenteranno il 35% della popolazione italiana. Ciò richiede di ripensare l’attuale sistema di welfare, considerando gli anziani non più come un costo ma come una risorsa, sostenendo la “silver economy”. Per quanto riguarda il personale, l’INPS ha assunto oltre 5.000 persone lo scorso anno e entro fine 2024 bandirà concorsi per oltre 2.500 unità, di cui quasi 2.000 per competenze sanitarie e 400 ispettori di vigilanza previdenziale. Infine, Fava ha espresso il suo accordo sull’idea di devolvere obbligatoriamente parte del TFR dei dipendenti pubblici ai fondi pensione complementari, ritenendo questo il momento più opportuno per farlo.

ANSA – ISTAT: NEL 2050 IN ITALIA 4 MILIONI DI RESIDENTI IN MENO

Secondo i dati dell’Istat, la popolazione residente in Italia è destinata a diminuire significativamente nei prossimi decenni. Attualmente, nel gennaio 2023, la popolazione è di circa 59 milioni di persone, ma è prevista una riduzione a 58,6 milioni entro il 2030, a 54,8 milioni nel 2050 e a 46,1 milioni nel 2080. Il rapporto tra le persone in età lavorativa (15-64 anni) e quelle non in età lavorativa (0-14 anni e 65 anni e oltre) passerà da circa tre a due nel 2023, fino a diventare uno a uno entro il 2050. L’età media della popolazione aumenterà a circa 51,5 anni entro il 2050, con una crescita ancora più rapida nel Mezzogiorno. Tra vent’anni, si prevede che ci saranno circa un milione di famiglie in più rispetto ad oggi, ma queste saranno più piccole e frammentate. Il numero medio di persone per famiglia scenderà da 2,25 nel 2023 a 2,08 nel 2043. Inoltre, l’aumento della speranza di vita e l’instabilità coniugale porteranno a un incremento delle “micro-famiglie”, cioè delle persone che vivono da sole. Questi individui cresceranno del 15%, passando da 9,3 milioni nel 2023 a 10,7 milioni nel 2043. Si prevede anche una continua diminuzione delle famiglie con figli. Attualmente, quasi tre famiglie su dieci hanno figli (29,8%), ma questa percentuale potrebbe scendere a meno di un quarto (23,0%) nel 2043. Più di una famiglia su cinque non avrà figli tra vent’anni.

ANSA – IN ITALIA OGNI ANNO 40 MINORI MUOIONO ANNEGATI

In Italia, circa 400 persone perdono la vita ogni anno per annegamento, di cui circa 40 sono minori. Negli ultimi dieci anni, l’ospedale Bambino Gesù ha registrato circa 80 bambini e ragazzi vittime di incidenti di balneazione. In occasione della Giornata mondiale per la prevenzione dell’annegamento, il 25 luglio, gli esperti dell’ospedale forniscono indicazioni per ridurre i rischi legati a questo fenomeno. Il dottor Sebastian Cristaldi, responsabile del DEA II Livello del nosocomio romano, sottolinea l’importanza di sorveglianza, prevenzione e rispetto delle regole per evitare incidenti. Secondo i dati dell’ISTAT, negli ultimi dieci anni in Italia si sono registrati 3.760 decessi per annegamento, di cui 429 riguardano bambini e ragazzi, con una media di circa 43 all’anno. Nel Lazio, la media annuale di decessi per annegamento è stata di 16. Tra il 2012 e il 2021, nel centro Italia sono morti 55 minori. Il rapporto dell’Osservatorio per la prevenzione degli annegamenti dell’Istituto Superiore di Sanità indica che ogni anno in Italia ci sono circa 800 ospedalizzazioni per annegamento, 60.000 salvataggi sulle spiagge e oltre 600.000 interventi di prevenzione da parte dei bagnini. La prevenzione è fondamentale per ridurre il rischio di annegamento tra bambini e ragazzi. Per garantire la sicurezza, è importante eliminare gli accessi non controllati all’acqua, utilizzando barriere fisiche e mantenendo chiuse porte e cancelli che conducono a mare o piscina. Le piscine devono essere coperte quando non sono in uso, e la temperatura dell’acqua deve essere controllata per evitare malori. È consigliato l’uso di braccioli e ciambelle per aiutare i bambini a rimanere a galla, e farli familiarizzare con l’acqua fin dai sei mesi, iniziando corsi di nuoto dai 2-3 anni. La sorveglianza è la forma di prevenzione più efficace. Questo significa non solo tenere d’occhio i bambini, ma anche essere pronti a intervenire in caso di imprevisti. Anche in pochi centimetri d’acqua, come in una vasca da bagno o in una piccola piscina gonfiabile, un bambino può trovarsi in difficoltà. È fondamentale che, fino ai 5-6 anni, ci sia sempre un genitore in acqua con i bambini, poiché anche i più grandi possono essere trascinati sott’acqua da un’onda o da una risacca.

WIRED – I CASI DI ANTISEMITISMO IN ITALIA SONO IN AUMENTO

Secondo l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, i casi di antisemitismo in Italia sono in aumento. Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, gli episodi di discriminazione contro le persone di origine ebrea sono aumentati del 300%. Questo è stato sottolineato dal generale Pasquale Angelosanto, coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo, durante una presentazione alla Commissione Segre, guidata dalla senatrice Liliana Segre. Dal 7 ottobre 2023 al 30 giugno 2024, sono stati registrati 406 incidenti discriminatori, un aumento significativo rispetto ai 98 del periodo precedente. Angelosanto ha evidenziato che, se in passato la maggior parte degli atti antisemiti avveniva online, ora vi è un aumento di quelli con partecipazione diretta, quindi offese personali. L’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad) ha documentato 235 episodi antisemiti nel 2023, che hanno portato a 51 denunce e 2 arresti. Dopo l’attacco di Hamas, sono stati registrati 406 casi, suddivisi in crimini d’odio, discorsi d’odio, hate speech online e hate incidents. In particolare, 369 casi riguardavano discriminazioni antisemite, prevalentemente tramite media e web. La senatrice Liliana Segre ha commentato di essere spesso accusata di vittimismo, ma ha ricordato che come sopravvissuta all’Olocausto, ha il dovere di testimoniare contro l’antisemitismo. Ha anche espresso preoccupazione per il riemergere dell’antisemitismo, evidenziato da recenti episodi nella sezione giovanile di Fratelli d’Italia, e ha apprezzato l’intervento della premier Meloni. I dati del Centro di documentazione ebraica mostrano che un quinto degli italiani è antisemita, con il 9% moderatamente e il 10% fortemente. Inoltre, il 30% minimizza l’Olocausto. Una ricerca dell’Unione giovani ebrei d’Italia ha rivelato che molti studenti ebrei delle scuole superiori e delle università si sentono insicuri, con oltre la metà degli intervistati che ritiene che la propria identità ebraica possa essere motivo di discriminazione in ambito lavorativo o accademico. Molti hanno anche cambiato alcune abitudini quotidiane per sentirsi più al sicuro. Il generale Angelosanto ha sottolineato che il 79% degli ebrei intervistati non ha segnalato l’episodio più grave di cui è stato vittima, indicando la necessità di offrire più canali per aumentare le segnalazioni.

ANSA – NEL 2025 LE FAMIGLIE ITALIANE AVRANNO BISOGNO DI CIRCA 2,3 MILIONI DI COLF E BADANTI

Nel 2025, le famiglie italiane avranno bisogno di circa 2 milioni e 288mila lavoratori domestici per soddisfare le loro esigenze di assistenza. Questa stima è contenuta nel 3° Paper del Rapporto 2024 “Family (Net) Work – Laboratorio su casa, famiglia e lavoro domestico”, presentato da Assindatcolf e dal Centro Studi e Ricerche Idos. Il fabbisogno include sia le famiglie con lavoratori regolari sia quelle con colf e badanti non contrattualizzati, oltre a coloro che vorrebbero assumere ma non possono farlo per vari motivi, inclusi quelli economici. Nel dettaglio, si prevede un fabbisogno di circa 1 milione e 25mila badanti, di cui 713mila straniere e 312mila italiane. La Lombardia è la regione con il maggior numero di lavoratori domestici, seguita da Campania, Sicilia, Lazio e Puglia. In Sardegna, Molise, Calabria e Sicilia, la percentuale di badanti straniere è inferiore al 50%, mentre in Emilia-Romagna e Lombardia supera l’85%. Per quanto riguarda le colf, nel 2025 si stima che saranno necessarie oltre 1 milione e 262mila unità, di cui 811mila straniere e 452mila italiane. Le regioni con il maggior fabbisogno sono Lombardia, Lazio, Sicilia, Campania e Puglia. Andrea Zini, presidente di Assindatcolf, sottolinea l’importanza di fornire al Governo, Parlamento e Regioni un quadro chiaro delle esigenze delle famiglie in termini di assistenza domestica e welfare. Zini richiama l’attenzione sulla necessità di misure universali per sostenere i costi del personale domestico, sia contributivi sia retributivi. Luca Di Sciullo, presidente del Centro Studi e Ricerche Idos, evidenzia come l’aumento della domanda di assistenza domestica sia legato alla crisi demografica e all’invecchiamento della popolazione italiana. Di Sciullo suggerisce che una gestione più razionale delle politiche di ingresso e permanenza degli stranieri in Italia potrebbe migliorare la situazione, facilitando l’inserimento occupazionale degli immigrati.

ANSA – ISTAT: L’81% DELLE PERSONE MOLESTATE SUL LAVORO E’ DONNA

Secondo il report dell’Istat “Le molestie: vittime e contesto”, relativo agli anni 2022-2023, sono circa 2 milioni e 322mila le persone tra i 15 e i 70 anni che hanno subito una forma di molestia sul lavoro nel corso della vita. Di questi, l’81,6% sono donne (pari a circa 1 milione 895mila, il 13,5% del totale delle donne tra i 15 e i 70 anni). A queste si aggiungono le donne che hanno subito ricatti sessuali sul lavoro, pari a 298mila. Le donne tra i 15 e i 70 anni che hanno subito una qualche forma di molestia o un ricatto per ottenere un lavoro o avere un avanzamento di carriera costituiscono circa il 15% del totale delle donne tra i 15 e i 70 anni (circa 2 milioni 68mila donne), mentre gli uomini che hanno subito molestie sessuali nel mondo del lavoro (ad eccezione dei ricatti) sono il 2,4% (circa 427mila). Nel 2022-2023 si stima che il 13,5% delle donne di 15-70 anni, che lavorano o hanno lavorato, abbia subito molestie sul lavoro a sfondo sessuale nel corso dell’intera vita (soprattutto le più giovani di 15-24 anni, 21,2%) e il 2,4% degli uomini di 15-70 anni. In particolare si tratta di sguardi offensivi, offese, proposte indecenti, fino ad atti più gravi come la molestia fisica. Limitatamente agli ultimi tre anni precedenti la rilevazione del 2022-2023, le quote si fermano al 4,2% per le donne e l’1% per gli uomini. Negli ultimi dodici mesi i tassi sono pari rispettivamente a 2,1% e 0,5%.

ANSA – IN UN ANNO CI SONO STATE 113 AGGRESSIONI AGLI INSEGNANTI (70 COMMESSE DA STUDENTI)

Nel periodo dall’1 gennaio 2023 al febbraio 2024, sono stati segnalati 133 casi di aggressioni fisiche all’interno delle scuole medie superiori, con insegnanti che hanno dovuto recarsi in ospedale per visite mediche. Secondo il capo della polizia, Vittorio Pisani, durante l’evento conclusivo dell’iniziativa “Nei panni di Caino per capire e difendere le ragioni di Abele” presso la scuola superiore di polizia a Roma, ben 70 di questi casi sono stati commessi da studenti, mentre un numero significativo è stato attribuito a genitori. Pisani ha sottolineato la gravità della situazione, suggerendo che il numero di casi denunciati potrebbe non riflettere completamente l’entità del problema, considerando le possibili aggressioni non segnalate dai docenti o quelle che non hanno richiesto cure ospedaliere.

ANSA – OMICIDI VOLONTARI IN ITALIA AUMNETATI DEL 15%

Gli omicidi volontari in Italia, nel quadriennio 2020-2023, sono aumentati del 15% (da 287 a 329). Le vittime femminili nel 2023 sono state 119 (numero stabile rispetto a 4 anni prima). Per quanto riguarda la violenza di genere (violenza fisica, sessuale, psicologica o economica contro una donna in quanto tale), si evidenzia nel quadriennio 2020-2023 un leggero decremento per le violenze sessuali e i maltrattamenti contro familiari e conviventi. In calo anche gli atti persecutori.

ANSA – APPROVATO IL DECRETO LEGGE PER LA PREVENZIONE DEL RISCHIO SISMICO NELL’AREA DEI CAMPI FLEGREI

Il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legge per la prevenzione del rischio sismico nell’area dei Campi Flegrei e per interventi di protezione civile. Il ministro della Protezione Civile, Nello Musumeci, ha annunciato che il decreto prevede circa 440 milioni di euro per interventi pubblici e 20 milioni per privati, oltre all’istituzione di un commissario. È prevista anche un’attenzione particolare per gli edifici compromessi e per evitare abusi. Musumeci ha sottolineato che il governo non intende finanziare case abusive o seconde case, e che le persone costrette a lasciare le loro abitazioni riceveranno un contributo mensile variabile tra 400 e 900 euro. Ha ribadito che non ci saranno interventi per le proprietà private abusive e ha annunciato il divieto di costruzione di nuove abitazioni civili nell’area. Il ministro ha evidenziato le responsabilità della Regione Campania e dei comuni di Napoli, Pozzuoli e Bacoli per la gestione urbanistica disordinata e l’abusivismo edilizio, accusando gli enti territoriali di negligenza nella vigilanza e nella prevenzione dei rischi. La gestione degli interventi sarà affidata a un commissario straordinario, che sarà nominato entro 15 giorni. Il decreto rappresenta un passo significativo per affrontare le problematiche legate al fenomeno bradisismico nei Campi Flegrei e per garantire la sicurezza dei cittadini.

CORRIERE – UN SUICIDIO OGNI 6 GIORNI NELLE FORZE DELL’ORDINE

Un’Osservatorio permanente interforze sui suicidi, istituito nel 2019 dal prefetto Franco Gabrielli, ha rivelato che negli ultimi 5 anni si sono verificati 207 suicidi tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e agenti penitenziari, salendo a 275 considerando anche la polizia locale e le Forze Armate. Questi dati indicano una media di un suicidio ogni sei giorni, sollevando gravi preoccupazioni sul benessere mentale dei membri delle forze di polizia e di difesa. In particolare, i carabinieri registrano la situazione più grave, con 78 suicidi dal gennaio 2019 a dicembre 2023, mentre altri corpi come l’Esercito, la Marina e l’Aeronautica riportano numeri più bassi ma comunque significativi. La Polizia di Stato ha segnalato 75 suicidi negli ultimi cinque anni, con un aumento significativo nel 2023, mentre la Polizia Penitenziaria e le Fiamme Gialle hanno registrato rispettivamente 26 e 28 casi. Anche i vigili urbani, pur non facendo parte dell’Osservatorio, hanno segnalato 25 suicidi in cinque anni. Uno studio condotto da esperti ha identificato problemi personali e familiari come principali fattori scatenanti dei suicidi, insieme all’insorgenza di disturbi fisici o psichici. Tuttavia, l’ambiente lavorativo stressante e la totale disponibilità delle armi possono aggravare la situazione, portando a una sindrome da burnout e al distacco emotivo dagli altri. Per affrontare questo problema, le forze di polizia stanno implementando misure di prevenzione e sostegno, tra cui l’assunzione di psicologi aggiuntivi e progetti per il sostegno psicologico del personale. Tuttavia, c’è ancora molto da fare per eliminare lo stigma associato al chiedere aiuto e per garantire un ambiente di lavoro più sano e inclusivo per i membri delle forze dell’ordine e della difesa.

L’INDIPENDENTE – ISTAT: IL SUD ITALIA HA PERSO CIRCA 550 MILA RESIDENTI IN 10 ANNI

Il Sud Italia continua a perdere residenti: in dieci anni, dal 2014 al 2023, ha visto un calo di circa 550 mila persone rispetto al Nord Italia. Durante questo periodo, ci sono stati circa 1,15 milioni di spostamenti verso le regioni del Centro-Nord e circa 600 mila nella direzione opposta. Inoltre, si sono registrati 1,8 milioni di espatri e 515 mila rimpatri. Anche gli stranieri trovano il Nord Italia attraente, con un aumento del 5,2 per mille dei residenti esteri. Secondo un nuovo rapporto dell’Istat, nel biennio 2022-23 sono stati particolarmente significativi gli arrivi di cittadini stranieri in Italia, con un totale di 697 mila immigrati. Il numero degli espatri è cresciuto del 10% rispetto al 2021, raggiungendo 207 mila unità. Anche la mobilità interna è aumentata leggermente, con una media annua di circa 1,45 milioni di trasferimenti, segnando un incremento del 2,4%. Nel 2023, i trasferimenti di residenza tra Comuni hanno coinvolto 1 milione e 444 mila cittadini, con un leggero calo dell’1,8% rispetto al 2022. La maggior parte di questi trasferimenti riguarda cittadini italiani, ma la propensione a spostarsi degli stranieri è più del doppio rispetto a quella degli italiani. Nel decennio scorso, il tasso medio di mobilità interna degli italiani è stato del 20,7 per mille, contro il 49,0 per mille degli stranieri. Un dato rilevante è che un trasferimento di residenza su tre avviene dal Mezzogiorno al Centro-Nord. Nel biennio 2022-23, si sono registrati 253 mila trasferimenti dal Sud al Centro-Nord, con una media annua di 127 mila movimenti, in aumento del 13,3% rispetto al 2021. Nello stesso periodo, i trasferimenti in senso opposto sono stati 124 mila. Tre partenze dal Mezzogiorno su dieci sono dirette in Lombardia, la meta preferita dai residenti del Sud. La Campania è la regione con il maggior numero di partenze verso il Centro-Nord, seguita da Sicilia e Puglia. Il Nord-Est continua a essere la zona più attrattiva della Penisola, con un tasso migratorio medio annuo di +2,4 per mille nel periodo 2022-2023. L’Emilia-Romagna primeggia in quest’area con un tasso migratorio interno netto di +3,6 per mille. Il Nord-Ovest registra un tasso migratorio interno inferiore (+1,8 per mille), con la Lombardia che da sola contribuisce con un +2 per mille. Il Centro ha un tasso migratorio positivo ma basso (+0,6 per mille), mentre il Sud e le Isole riportano tassi negativi, rispettivamente -3,5 e -2,7 per mille. Le regioni con le performance più negative sono Basilicata (-5,7 per mille), Calabria (-5,3 per mille), Molise (-4,4 per mille) e Campania (-4 per mille). La provincia con il più alto tasso di migrazione interna è Pavia (+5,1 per mille), seguita da Bologna (+4,4 per mille) e Ferrara (+4,3 per mille). Le province meno attrattive sono Caltanissetta (-7,1 per mille), Reggio di Calabria (-6,7 per mille) e Crotone (-6,3 per mille).

PAGELLAPOLITICA – GLI ITALIANI CON LA LICENZA PER IL PORTO D’ARMI SONO IL 2,5% DELLA POPOLAZIONE

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha dichiarato in televisione che solo lo 0,02% della popolazione adulta in Italia possiede un’arma. Tuttavia, questo dato non è corretto. Attualmente non esiste un modo preciso per determinare il numero esatto di armi detenute legalmente e illegalmente nel paese. I dati relativi al numero effettivo di armi registrate e in circolazione o presenti nelle case degli italiani non sono disponibili. Possiamo, tuttavia, fare riferimento alle licenze per il porto d’armi, che autorizzano i cittadini a possedere e trasportare armi al di fuori delle proprie abitazioni. Nel 2022, il numero di licenze valide per il porto d’armi era di circa 1,2 milioni. Questo rappresenta circa il 2,5% della popolazione adulta, non lo “0,02%” indicato dal ministro Piantedosi. Le licenze per il porto d’armi possono essere concesse per vari motivi, tra cui la caccia, lo sport e la difesa personale. La maggioranza delle licenze è per la caccia e lo sport, mentre solo una piccola percentuale è per la difesa personale. Inoltre, oltre alle licenze per il porto d’armi, esiste anche il “nulla-osta”, che consente l’acquisto e il trasporto di armi al domicilio. Tuttavia, non sono disponibili dati pubblici sul numero di licenze approvate ogni anno. Infine, una singola licenza per il porto d’armi può consentire l’acquisto di più armi. Questo fattore aggiunge ulteriore incertezza nel determinare il numero totale di armi detenute legalmente. Alcune stime suggeriscono che il numero reale di armi in Italia, incluse quelle detenute illegalmente, potrebbe essere superiore a 1,2 milioni. Queste includono armi non registrate, armi con licenza scaduta e armi coinvolte nel traffico illegale gestito dalle organizzazioni criminali.

ANSA – LA RETE IDRICA ITALIANA DISPERDE UNA QUANTITA’ D’ACQUA TALE DA SODDISFARE LE ESIGENZE DI 43,4 MILIONI DI PERSONE

Il più recente rapporto dell’ISTAT sulla rete idrica italiana ha rivelato che nel 2022 è stata dispersa una quantità d’acqua tale da soddisfare le esigenze di 43,4 milioni di persone per un intero anno. Questi dati, resi pubblici dall’Istituto Nazionale di Statistica, riflettono le sfide significative che il sistema idrico italiano deve affrontare, come evidenziato anche nel Libro Bianco Valore Acqua 2024, redatto da The European House – Ambrosetti (TEHA). Secondo TEHA, nell’anno precedente all’analisi ISTAT, l’infrastruttura idrica italiana, descritta come “inefficiente ed obsoleta”, avrebbe disperso il 41% dell’acqua prelevata durante la distribuzione, pari a 8308m3/km, posizionando l’Italia all’ultimo posto in Europa per perdite idriche. Il rapporto di ISTAT è stato pubblicato in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 e celebrata ogni anno il 22 marzo. Secondo l’ISTAT, nel 2022, sono stati prelevati 9,14 miliardi di metri cubi di acqua per uso potabile in Italia, corrispondenti a 25 milioni di metri cubi al giorno, pari a 424 litri per abitante. Tuttavia, solo 214 litri di acqua sono stati effettivamente erogati. L’Italia si classifica come il terzo paese dell’Unione Europea per il prelievo di acqua potabile pro capite. Questo approvvigionamento non riguarda solo la popolazione, ma anche istituzioni pubbliche, piccole imprese, alberghi, servizi, attività commerciali, produttive, agricole e industriali collegate direttamente alla rete urbana. La fornitura è stata resa possibile grazie a oltre 37.000 fonti di approvvigionamento d’acqua attive, con una media di 12 fonti ogni 100 km2. Nel 2022, si è confermato un leggero calo nel prelievo d’acqua per uso potabile, accompagnato da un aumento della dispersione delle risorse idriche al 42,4%. Secondo l’ISTAT, nel 2021, il 21,8% della spesa per la protezione dell’ambiente è stato destinato ai servizi di gestione delle acque reflue, con una quantità di acqua trattata negli impianti di depurazione di tipo avanzato pari a 4,7 miliardi di metri cubi. La gestione delle acque reflue potrebbe rappresentare una importante fonte di approvvigionamento d’acqua “non convenzionale”, utile per integrare i volumi utilizzati per diverse finalità, escluso l’uso potabile, come ad esempio l’irrigazione dei campi. Il Libro Blu sottolinea l’importanza di investire in tecnologie avanzate per migliorare il processo di depurazione delle acque reflue, stimando una spesa complessiva di circa 5-6 miliardi di euro per l’implementazione di tali miglioramenti. Il miglioramento della gestione delle acque reflue potrebbe contribuire a limitare gli sprechi e a rendere più efficiente il sistema idrico italiano. Tuttavia, sono necessari cambiamenti più ampi nel modello di sfruttamento e consumo della risorsa idrica, che attualmente è strutturalmente poco sostenibile in Italia. L’Italia risulta al primo posto in Europa per consumo di acqua minerale in bottiglia, con 249 litri pro capite al giorno, e al terzo posto per consumo domestico pro capite. Inoltre, il paese investe solo 59 euro pro capite nel settore idrico, ben al di sotto della media di 82 euro pro capite nell’area UE-UK.

ANSA – L’ITALIA E’ PRIMA AL MONDO PER PRODUZIONE DI PASTA

L’Italia rimane in vetta alla produzione mondiale di pasta, con una produzione di 3,6 milioni di tonnellate e un fatturato che si avvicina ai 7 miliardi di euro. Questo dato conferma il ruolo preminente del paese nel settore alimentare. Gli italiani mantengono anche il primato nel consumo di pasta, con una media di circa 23 chili pro-capite all’anno e un consumo totale di 1,3 milioni di tonnellate. Tuttavia, è il settore dell’export a evidenziare la forza del Made in Italy nel mondo: oltre il 61% della produzione nazionale di pasta viene esportata all’estero. I dati raccolti da Unione Italiana Food su base Istat per il periodo gennaio-dicembre 2023 mostrano un’export di oltre 2,2 milioni di tonnellate di pasta, con un leggero calo dei volumi (-3,7% rispetto al 2022), ma un aumento del valore del 3% rispetto all’anno precedente, arrivando a 3,8 miliardi di euro. Le destinazioni principali dell’export italiano di pasta includono i paesi dell’Unione Europea, con circa 1,5 milioni di tonnellate, e i paesi terzi, con quasi 780.000 tonnellate. La domanda di pasta Made in Italy è in crescita in molte parti del mondo, con aumenti significativi in paesi come Brasile, Israele, Finlandia, e numerosi altri. Anche in alcuni paesi africani, come Camerun, Ruanda, Mozambico e Nigeria, si registra un aumento dei consumi, possibilmente favorito da un incremento del turismo in queste regioni.

ANSA – AUMENTANO LE DENUNCIE DI SCOMPARSI IN ITALIA: 29 MILA NEL 2023

Nel corso del 2023, le denunce di scomparsa hanno registrato un aumento significativo, arrivando a un totale di 29.315 segnalazioni, rispetto alle 24.369 dell’anno precedente. Quasi il 75% delle denunce riguardava minori, con 21.951 segnalazioni complessive. Di queste, 4.416 coinvolgevano minori italiani e 17.535 minori stranieri. Questi dati evidenziano un incremento soprattutto nelle segnalazioni riguardanti i minori stranieri rispetto all’anno precedente. Il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha sottolineato l’impegno del Viminale nel fronteggiare questo fenomeno complesso, che coinvolge migliaia di persone ogni anno, soprattutto minori e soggetti vulnerabili, con ripercussioni significative sulle famiglie coinvolte. Piantedosi ha ringraziato il Commissario straordinario, le Prefetture e tutte le altre agenzie coinvolte, inclusi le Forze di Polizia, i Vigili del Fuoco e la Protezione Civile, per il loro contributo nel sistema di ricerca delle persone scomparse e ha ribadito l’impegno del governo nel potenziare e migliorare continuamente gli strumenti di intervento per affrontare questo problema.

AGERSIR – NEL 2023 IN ITALIA SONO MORTE 415 PERSONE SEWNZA FISSA DIMORA

Un rapporto pubblicato dalla fio.PSD ha rivelato che nel 2023 sono decedute 415 persone senza fissa dimora in Italia. La tragedia colpisce in particolare durante i mesi invernali, con oltre 130 decessi registrati. Tuttavia, la Federazione ha sottolineato che questa “strage di invisibili” si verifica tutto l’anno, coinvolgendo 215 comuni italiani. La Lombardia e il Lazio hanno registrato il maggior numero di morti, rispettivamente il 21% e il 18%, seguite dall’Emilia Romagna, Campania e Veneto. Le città più colpite includono Roma, Milano, e Bergamo. Le vittime sono principalmente uomini (93%) di nazionalità straniera (58%), con un’età media di 47.3 anni. Le cause dei decessi sono varie: il 40% per problemi fisici e ipotermia, il 42% per eventi traumatici come aggressioni e cadute. I corpi vengono trovati per strada (33% dei casi), lungo corsi d’acqua, negli ospedali e nelle carceri. La presidente della Federazione, Cristina Avonto, ha sottolineato la necessità di un cambiamento politico e culturale. Le risorse disponibili devono essere utilizzate per implementare politiche abitative che forniscono una base stabile e sicura per chi è senza casa.

ILFATTOQUOTIDIANO – AUTO E SUV SEMPRE PIU’ GRANDI: SI ALLARGANO DI 1 CM OGNI 2 ANNI

Le nuove auto immatricolate in Europa sono sempre più grandi. Secondo uno studio realizzato dall’organizzazione Transport & Environment, si allargano mediamente di 1 centimetro ogni due anni. La tendenza è destinata a continuare, anche per l’aumento delle vendite di SUV, che rappresentano il 54% delle automobili acquistate in Italia. Il risultato è che, già ora, “circa la metà delle auto nuove vendute sono troppo larghe per lo spazio minimo di parcheggio su strada”, ha affermato il direttore di Transport & Environment, Julia Poliscanova. Secondo l’analisi, la larghezza media delle auto nuove è aumentata a 180,3 cm nella prima metà del 2023, in confronto ai 177,8 cm del 2018. Questa tendenza ha diversi risvolti negativi, tra cui: Difficoltà di parcheggio: le auto più grandi occupano più spazio, rendendo più difficile parcheggiare nelle strade strette e nei parcheggi sotterranei. Inquinamento: le auto più grandi consumano più carburante e quindi producono più emissioni di gas serra. Sicurezza stradale: le auto più grandi sono più difficili da controllare e quindi aumentano il rischio di incidenti. Transport & Environment ha invitato i governi europei a prendere provvedimenti per ridurre le dimensioni delle auto nuove, ad esempio attraverso misure fiscali o regolamentari.

TGCOM24 – IN ITALIA OLTRE 3,1 MILIONI DI PERSONE CHIEDE AIUTO PER MANGIARE

In Italia, la richiesta di sostegno alimentare è esplosa, superando i 3,1 milioni di individui che si affidano a mense per i bisognosi o a pacchi di viveri. Secondo le stime della Coldiretti, questa allarmante cifra è stata rilevata attraverso i dati del Fondo per l’Aiuto Europeo agli Indigenti (Fead), in concomitanza con la Giornata Mondiale dei Poveri promossa dal Papa. La situazione, basata su dati ufficiali, sottolinea una crisi crescente che impatta pesantemente sulla sicurezza alimentare di un numero sempre maggiore di cittadini italiani.

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