Secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), tra gennaio e agosto del 2024, il numero di migranti arrivati via mare in Europa è diminuito rispetto allo stesso periodo del 2023
Tra gennaio e agosto del 2024, il numero di migranti arrivati via mare in Europa è diminuito rispetto allo stesso periodo del 2023. Secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), nel 2023 erano stati registrati 176.252 arrivi, mentre nel 2024 sono stati 114.537, segnando una riduzione di circa un terzo. Tuttavia, il calo varia a seconda della rotta seguita dai migranti.
Nel 2023, si era registrato un picco degli arrivi via mare, il più alto dal 2016, ma nel 2024 la tendenza sembra invertita, principalmente a causa dell’aumento delle misure di repressione nei paesi di partenza dei migranti. Un esempio è la Tunisia, dove nel 2023 l’Italia e l’Unione Europea avevano siglato un accordo controverso per fermare le partenze di migranti con l’uso della forza.
Nonostante la diminuzione generale, una rotta ha visto un aumento degli arrivi: quella dal Senegal e dalla Mauritania verso le isole Canarie, in Spagna. Questa rotta ha comportato un numero crescente di morti durante la traversata. La ONG spagnola Caminando Fronteras ha contato 5.054 morti tra gennaio e maggio 2024, rispetto ai 6.618 di tutto il 2023. Gli arrivi dalla costa occidentale dell’Africa alla Spagna sono aumentati significativamente: nel 2023, erano arrivati 11.439 migranti, mentre nello stesso periodo del 2024, sono stati 25.569. In Spagna, il dibattito su come gestire questi flussi migratori è acceso.
Le altre principali rotte verso l’Europa hanno invece registrato una diminuzione degli arrivi. La rotta del Mediterraneo centrale, che porta dal Nord Africa all’Italia, ha visto una riduzione del 63%. Tra gennaio e agosto del 2023, erano arrivati in Italia via mare 114.883 migranti, mentre nello stesso periodo del 2024, il numero è sceso a 42.102. Le autorità tunisine, in particolare, hanno intensificato la repressione, fermando molti migranti ancora a terra prima che potessero imbarcarsi.
Anche gli arrivi dalla Libia all’Italia sono diminuiti, passando da 33.844 tra gennaio e agosto del 2023 a 23.548 nello stesso periodo del 2024. Le autorità italiane ed europee hanno chiesto esplicitamente alla guardia costiera libica di fermare le imbarcazioni di migranti. Nei primi otto mesi del 2024, più di 15.000 migranti sono stati intercettati e riportati in Libia dalla guardia costiera, un numero leggermente superiore rispetto ai 14.977 dello stesso periodo del 2023.
Anche la rotta del Mediterraneo occidentale, che porta alle isole Baleari, alla Spagna continentale e alle exclavi spagnole di Ceuta e Melilla, ha registrato un calo degli arrivi, passando da 10.341 nel 2023 a 9.152 nel 2024. La riduzione nel Mediterraneo orientale, che include la Grecia, Cipro e la Bulgaria, è stata più contenuta, con un calo del 5%. Tuttavia, gli arrivi via mare in Grecia sono raddoppiati, passando da 14.651 nel 2023 a 28.362 nel 2024, mentre gli ingressi via terra in Bulgaria sono diminuiti drasticamente, passando da 7.860 nel 2023 a 3.200 nel 2024.
Le autorità turche, che hanno un accordo con l’Unione Europea per bloccare le partenze dei migranti, hanno intensificato i controlli lungo il confine con la Bulgaria. Il governatore della regione di Edirne ha dichiarato di aver aumentato le pattuglie e migliorato le infrastrutture per consentire un controllo più rapido e efficace del confine.
La riduzione degli arrivi nel Mediterraneo occidentale potrebbe essere dovuta al fatto che alcuni migranti che in passato avrebbero scelto quella rotta ora preferiscono partire dal Senegal o dalla Mauritania, diretti verso le Isole Canarie.
LE ALTRE NOTIZIE IN EVIDENZA SU “ATTUALITA'”:
FAMIGLIA E NATALITA’:
ILSOLE24ORE – ISTAT: NEI PRIMI 6 MESI DEL 2024 LE NASCITE SONO STATE 178 MILA (-1.4% RISPETTO AL 2023)
La diminuzione delle nascite in Italia prosegue, insieme a un calo della popolazione complessiva. Secondo l’ultimo aggiornamento della banca dati Istat riguardante il bilancio demografico, nei primi sei mesi del 2024 sono nati poco meno di 178.000 bambini, con una diminuzione dell’1,4% rispetto ai 180.000 dello stesso periodo dell’anno precedente. Nel 2023, le nascite totali hanno raggiunto un record storico negativo di 379.000, rispetto ai 393.000 del 2022. Gian Carlo Blangiardo, ex presidente dell’Istat e attualmente membro del consiglio, ha affermato: «se le variazioni finora verificate dovessero proiettarsi per l’intero anno, il 2024 si chiuderebbe con un ulteriore calo, a 374.000, quindi 5.000 in meno». Questo scenario suggerisce un calo simile a quello dell’anno precedente, senza segnali di inversione di tendenza. Blangiardo ha anche notato che circa un terzo del calo dell’1,4% è attribuibile alla struttura delle donne in età feconda, non solo per il loro numero, ma anche per la diversa composizione della loro età e per i comportamenti che ne derivano. Ha dichiarato: «Un dato salta agli occhi, i 178.000 nati nel primo semestre 2024 in sostanza segnano un “ritardo” di due mesi rispetto al 2008», anno in cui iniziò il calo della natalità. Per quanto riguarda i decessi, si osserva un calo rispetto al triennio 2020-2022, periodo in cui il Covid-19 ha avuto un impatto significativo. Nei primi sei mesi del 2024, le morti sono state 319.000, con una diminuzione di 15.000 rispetto allo stesso periodo del 2023, corrispondente a un calo del 4,6%. Questo dato è ben lontano dal picco di 374.000 registrato nel primo semestre del 2020, anno particolarmente difficile a causa della pandemia. Inoltre, i dati mostrano una ripresa nei movimenti migratori, sia in entrata che in uscita dall’Italia. Le iscrizioni dall’estero sono aumentate del 2,7% rispetto al 2023, raggiungendo 216.000, mentre le cancellazioni per l’estero sono aumentate del 6,2%, arrivando a 85.000. Questo ha portato a un saldo migratorio positivo pari a 131.000 unità, con un incremento dello 0,6% rispetto al primo semestre del 2023.
Altre notizie:
GIOVANI:
ADNKRONOS – REPORT UNICEF SU LAVORO MINORILE IN ITALIA: OLTRE 78 MILA UNDER 17ENNE OCCUPATI NEL 2023
In occasione della Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile, Unicef Italia ha presentato il secondo Rapporto statistico intitolato “Lavoro minorile in Italia: rischi, infortuni e sicurezza sui luoghi di lavoro”. Nel 2023, i lavoratori minorenni tra i 15 e i 17 anni sono stati 78.530, pari al 4,5% della popolazione totale di quella fascia d’età, in aumento rispetto ai 69.601 del 2022 e ai 51.845 del 2021. Se si considera la fascia fino ai 19 anni, nel 2022 i lavoratori erano 376.814, rispetto ai 310.400 del 2021, mostrando un incremento anche rispetto al periodo pre-pandemia del 2019. Il reddito medio settimanale stimato per i lavoratori maschi è passato dai 297 euro del 2018 ai 320 euro del 2022, mentre per le femmine è passato dai 235 euro del 2018 ai 259 euro del 2022, confermando una retribuzione costantemente più alta per i maschi. Tra il 2018 e il 2022, le denunce di infortunio presentate all’Inail per lavoratori sotto i 19 anni sono state 338.323, di cui 211.241 per minori fino a 14 anni e 127.082 per la fascia 15-19 anni. Le denunce di infortunio mortale sono state 83, di cui 9 per la fascia sotto i 14 anni e 74 per la fascia 15-19 anni. Il Rapporto, realizzato dall’Osservatorio Unicef per la prevenzione dei danni alla salute da lavoro minorile e coordinato da Domenico Della Porta, è stato curato dal “Laboratorio di Sanità Pubblica per l’analisi dei bisogni di Salute delle Comunità” dell’Università degli Studi di Salerno. Carmela Pace, Presidente di Unicef Italia, ha sottolineato l’importanza di monitorare il lavoro minorile come indicatore dello stato di salute della società e del benessere dei giovani. Le regioni con la percentuale più alta di minorenni occupati tra i 15 e i 17 anni sono Trentino-Alto Adige, Valle D’Aosta, Abruzzo e Marche. In Trentino-Alto Adige, il 21,7% dei 34.150 minorenni risulta impiegato. In Valle D’Aosta, il 17,8% dei 3.645 minorenni è occupato. In Abruzzo, il 7,6% dei 34.339 minorenni lavora, mentre nelle Marche la percentuale è del 7,2% su 41.672 minorenni. Queste regioni superano di gran lunga la media nazionale del 4,5%. Le regioni con il maggior numero di giovani lavoratori fino ai 19 anni tra il 2018 e il 2022 sono Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Lazio e Puglia. La maggior parte dei lavoratori maschi rispetto alle femmine riflette la tendenza nazionale degli adulti, con un tasso di occupazione femminile molto più basso rispetto a quello maschile (57,3% contro 78,0%), un divario che è aumentato nel 2022. Il divario di genere è particolarmente evidente nelle regioni del Sud Italia, mentre la Valle D’Aosta registra il minore divario. Nel quinquennio 2018-2022, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte hanno registrato il maggior numero di denunce di infortunio tra i lavoratori sotto i 19 anni, con quasi il 60% delle denunce totali in Italia. Delle 83 denunce di infortunio mortale, quasi il 53% è stato registrato in Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte.
Altre notizie:
MIGRANTI:
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ILGIORNALE – L’ITALIA E’ AL SECONDO POSTO IN EUROPA PER CITTADINANZE CONCESSE AGLI STRANIERI
Nel 2023, l’Italia ha rilasciato circa 200.000 nuove cittadinanze, rappresentando il 22% del totale dell’Unione Europea. Solo la Spagna ha fatto meglio, con 240.208 cittadinanze concesse nello stesso anno, mentre la Germania ha raggiunto numeri simili all’Italia, con poco più di 200.000. La Francia, invece, è rimasta indietro con meno della metà, concedendo 97.288 cittadinanze. Nel 2022, l’Italia ha guidato questa classifica europea con 213.716 nuove cittadinanze, superando la Spagna e la Germania. In termini di percentuali, l’Italia ha assorbito il 22% dei nuovi cittadini europei, seguita dalla Spagna con il 18% e dalla Germania con il 17%. La Francia ha contribuito con il 12%, mentre la Svezia con il 9%. Questi dati mostrano un’Italia che, nonostante le difficoltà, continua a integrare un gran numero di stranieri. Ogni anno, un piccolo “popolo” si unisce alla nostra nazione, e il trend è in crescita. Nel 2022, c’è stato un aumento del 76% rispetto al 2021, quando 121.457 persone hanno ottenuto la cittadinanza italiana. La cittadinanza, in Italia, è vista come il coronamento di un percorso che include legalità, lavoro, casa e comprensione della lingua. Mentre l’immigrazione illegale domina spesso le cronache, esistono anche flussi migratori regolari che seguono altre logiche e che contribuiscono alla crescita del numero di nuovi cittadini italiani. Nel 2022, la maggior parte dei nuovi italiani proveniva da Albania, Marocco, Romania e Brasile, con numeri significativi anche da India, Bangladesh e Pakistan. In Italia, è in vigore lo “ius sanguinis”, ma gli stranieri nati nel nostro Paese e cresciuti in una situazione di legalità possono richiedere la cittadinanza al compimento dei 18 anni. Il Ministero dell’Interno sottolinea inoltre la possibilità di “semplificare” il procedimento, permettendo ai giovani di diventare italiani anche in presenza di piccole lacune documentali.
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ILLEGALITA’:
TORINOCRONACA – LE MANI DELLE MAFIE SULLA SANITA’ DEL NORD ITALIA
Le mafie italiane, in particolare la ‘ndrangheta, hanno espanso le loro attività criminali nel settore della sanità nel Nord Italia, in particolare tra Torino e Milano. Dopo anni di coinvolgimento in traffico di droga, usura, estorsioni e appalti, i boss mafiosi hanno aperto un nuovo fronte, sfruttando relazioni e amicizie di alto livello. La Squadra Mobile di Milano ha evidenziato questo fenomeno in una lunga informativa, rivelando che oltre ai tradizionali boss e famiglie calabresi, sono coinvolti anche insospettabili professionisti, come alcuni medici di importanti ospedali del Nord. L’interesse della ‘ndrangheta per la sanità è cresciuto significativamente durante la pandemia, rappresentando una nuova opportunità per la criminalità organizzata. La struttura flessibile e la capacità di adattamento delle famiglie calabresi hanno permesso di colmare i vuoti creati dagli arresti delle operazioni Infinito-Crimine (luglio 2010) e Minotauro, e di altre indagini fino al 2024. Secondo la polizia, i clan a Torino e Milano si sono rapidamente riorganizzati, ricostruendo una gerarchia che consente loro di mantenere un forte legame con il territorio. Oggi i clan puntano a entrare nei settori imprenditoriale e politico-istituzionale, candidando affiliati di fiducia nelle amministrazioni locali. Vivendo al Nord da più generazioni, gli appartenenti alla ‘ndrangheta hanno acquisito una conoscenza approfondita del territorio, consolidando rapporti con le comunità locali e instaurando contatti privilegiati con rappresentanti della politica e delle istituzioni locali. Gli investigatori notano che le nuove generazioni hanno permesso alla ‘ndrangheta di diventare un’associazione con una certa indipendenza rispetto alla matrice calabrese, pur mantenendo stretti legami con essa.
Altre notizie:
DATI E STUDI:
SAVE THE CHILDREN – ITALIA: AUMENTA IL DIVARIO DEL SISTEMA SCOLASTICO TRA NORD E SUD
In Italia, il sistema scolastico è caratterizzato da profonde disuguaglianze nell’offerta dei servizi educativi, che compromettono il percorso di crescita di bambini e adolescenti, specialmente nelle regioni del Sud e delle Isole. Nonostante alcuni miglioramenti, in queste aree si registrano ancora tassi di dispersione scolastica tra i più alti in Europa. Le risorse e gli interventi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per l’istruzione, già avviati in queste zone, non sono sufficienti a colmare i gravi divari esistenti, nonostante gli sforzi compiuti. Questa è la preoccupazione sollevata da Save the Children, un’organizzazione che da oltre un secolo si impegna a garantire un futuro ai bambini. In occasione dell’inizio dell’anno scolastico, l’organizzazione ha diffuso il rapporto intitolato “Scuole disuguali. Gli interventi del PNRR su mense, tempo pieno e palestre”. Il documento analizza le disuguaglianze territoriali nell’offerta di servizi scolastici come la mensa, il tempo pieno e le palestre, confrontando la distribuzione delle risorse a livello provinciale e valutando se gli interventi del PNRR possano davvero ridurre queste differenze. Secondo l’analisi di Save the Children, c’è una distribuzione irregolare delle risorse del PNRR nelle province più svantaggiate. Per esempio, alle regioni del Sud e delle Isole è stato destinato il 38,1% dei fondi per l’ampliamento delle mense scolastiche, anche se queste aree ospitano circa il 50% dei progetti finanziati. Questo ha portato a un impatto disomogeneo nella riduzione delle disuguaglianze territoriali. Le province di Agrigento, Foggia, Catania, Palermo, Siracusa e Ragusa, dove meno del 10% degli studenti usufruisce del servizio mensa, hanno ricevuto fondi per 49 interventi legati alla costruzione o riqualificazione delle mense, per un valore complessivo di circa 21,5 milioni di euro. In confronto, le province con il maggior numero di studenti che utilizzano la mensa, come Trento, Biella, Monza e Brianza, Verbano-Cusio-Ossola, Udine e Milano, hanno ricevuto 30 milioni di euro per 34 interventi. L’analisi evidenzia inoltre che nelle province dove il servizio mensa è meno diffuso si concentra anche una maggiore percentuale di studenti provenienti da famiglie con bassi livelli socioeconomici. Ad esempio, a Palermo, dove solo l’8,7% degli studenti usufruisce della mensa, sono stati stanziati circa 2 milioni di euro per sei interventi, mentre a Foggia, con una percentuale simile di studenti che accedono al servizio, sono stati destinati quasi 6,5 milioni di euro per 18 interventi. Il PNRR ha stanziato oltre 17 miliardi di euro per il Ministero dell’Istruzione e del Merito, un’occasione unica per garantire pari opportunità a tutti gli studenti, soprattutto nei territori con maggiori difficoltà economiche e con una maggiore incidenza di povertà minorile. Tuttavia, dall’analisi di Save the Children emerge che le risorse, sebbene utili, non sono sufficienti per garantire a tutti l’accesso ai servizi essenziali, come la mensa e il tempo pieno nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, né la disponibilità di palestre scolastiche, soprattutto nelle aree più svantaggiate. In Italia, solo poco più della metà dei bambini della scuola primaria ha accesso alla mensa scolastica (55,2%) e solo il 10,5% degli studenti della scuola secondaria di primo grado. Le differenze territoriali sono evidenti: nelle regioni del Centro e del Nord oltre il 50% degli studenti accede al servizio mensa, con picchi che superano il 90% nella Provincia Autonoma di Trento. Al contrario, nelle province del Sud, come Agrigento e Foggia, meno del 10% degli studenti usufruisce del servizio. Un altro aspetto critico è la possibilità di praticare attività sportiva a scuola. Attualmente, meno della metà delle scuole statali italiane dispone di una palestra. Dall’analisi dei 433 interventi del PNRR per la costruzione o la riqualificazione di palestre, emerge che il 62,8% degli interventi è stato avviato nelle regioni del Sud e delle Isole, a cui è stato destinato il 52,7% dei fondi complessivi. Tuttavia, anche in questo caso, la distribuzione delle risorse non è omogenea. La situazione delle palestre scolastiche riflette un’altra importante disparità. Province come Crotone, dove meno del 27% delle scuole ha una palestra, hanno ricevuto 14 interventi, mentre Palermo, con un numero maggiore di studenti e scuole, ha ottenuto solo sei interventi. A livello nazionale, gli interventi del PNRR per le strutture sportive scolastiche rappresentano un passo avanti, ma restano insufficienti per garantire la copertura necessaria e per ridurre i divari territoriali. In molte aree del Paese, la scuola rappresenta l’unica opportunità per bambini e adolescenti di praticare attività sportiva, soprattutto per chi proviene da famiglie con risorse economiche limitate. “Il problema non è solo garantire che le risorse del PNRR vengano spese, ma anche fare in modo che queste raggiungano i territori dove i bambini affrontano maggiori difficoltà nel percorso educativo”, ha dichiarato Raffaela Milano, Direttrice di Save the Children Italia. Anche Giorgia D’Errico, Direttrice Affari pubblici e Relazioni istituzionali di Save the Children, ha sottolineato l’importanza di definire livelli essenziali delle prestazioni (LEP) per garantire a tutti uguali opportunità educative, a partire dalla mensa e dal tempo pieno nelle scuole primarie.
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