Nel 2023, circa 200 mila bambini italiani di età compresa tra 0 e 5 anni hanno vissuto in condizioni di povertà alimentare, ovvero in famiglie che non riescono a garantire loro almeno un pasto proteico ogni due giorni
Nel 2023, circa 200 mila bambini italiani di età compresa tra 0 e 5 anni hanno vissuto in condizioni di povertà alimentare, ovvero in famiglie che non riescono a garantire loro almeno un pasto proteico ogni due giorni. Questo numero rappresenta l’8,5% del totale dei bambini di questa fascia d’età. La situazione è particolarmente grave nel Sud Italia e nelle isole, dove la percentuale sale al 12,9%, contro il 6,7% del Centro e il 6,1% del Nord.
Parallelamente, quasi un bambino su dieci della stessa fascia d’età (9,7%) ha sperimentato povertà energetica, vivendo in case non adeguatamente riscaldate durante l’inverno.
Questi dati emergono dalla XV edizione dell’Atlante dell’Infanzia (a rischio) di Save the Children, che quest’anno ha scelto di focalizzarsi sui primi anni di vita, un periodo fondamentale per lo sviluppo dei bambini.
Un Paese con sempre meno bambini e sempre più poveri
Il 2023 è stato un anno segnato da un nuovo record negativo per la natalità in Italia, con meno di 380 mila nuovi nati. Contemporaneamente, la povertà ha continuato a colpire in modo significativo i minori, in particolare i più piccoli. Secondo i dati, il 13,4% dei bambini tra 0 e 3 anni vive in povertà assoluta, mentre circa 748 mila famiglie con minori si trovano in condizioni di povertà assoluta, con un’incidenza pari al 12,4%.
Negli ultimi anni, le famiglie hanno dovuto affrontare aumenti significativi nei costi di beni essenziali per la prima infanzia. Tra il 2019 e il 2023, la spesa per prodotti alimentari come latte e pappe è aumentata del 19,1%, superando il tasso d’inflazione generale, che si è attestato al 16,2%. Anche i costi degli asili nido sono cresciuti, con un aumento dell’11,3% per le strutture private e dell’1,5% per quelle finanziate dai Comuni.
Accesso limitato ai servizi educativi
Un altro problema riguarda l’accesso agli asili nido. Attualmente, meno di un bambino su tre tra 0 e 2 anni (30%) ha accesso a questo servizio fondamentale per ridurre le disuguaglianze. Sono evidenti le disparità territoriali: in Campania e Sicilia, le regioni con i tassi di copertura più bassi, rispettivamente il 13,2% e il 13,9%, si prevede che nel 2026 la copertura raggiunga solo il 29,6% e il 25,6%, nonostante gli investimenti previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
A livello nazionale, si stima che entro il 2026 l’offerta di servizi educativi per la prima infanzia salirà al 41,3%, avvicinandosi al target europeo del 45% fissato per il 2030. Tuttavia, il divario territoriale resterà significativo, con alcune regioni del Sud come la Puglia e la Calabria che raggiungeranno rispettivamente il 38,4% e il 40,3%.
Le parole di Save the Children
L’Atlante di Save the Children evidenzia un’Italia fragile, segnata da profonde disuguaglianze sociali e territoriali. Claudio Tesauro, Presidente dell’organizzazione, ha dichiarato: “Abbiamo voluto dedicare questo XV Atlante dell’Infanzia ai bambini più piccoli, nella consapevolezza che i primi mille giorni di vita sono determinanti per la crescita e lo sviluppo di ciascuno. Troppi genitori oggi in Italia affrontano la nascita di un bambino in solitudine, senza poter contare su adeguate reti di sostegno. Il supporto alla prima infanzia è un obiettivo da mettere al centro di tutte le scelte della politica: nel campo della salute come in quello dei servizi educativi; nel contrasto alla povertà così come nella tutela dell’ambiente.”
Tesauro ha sottolineato l’importanza di rafforzare la rete di cura, soprattutto nei territori più deprivati, e ha concluso: “Quello sulla prima infanzia è l’investimento fondamentale per il presente e per il futuro del nostro Paese.”
LE ALTRE NOTIZIE IN EVIDENZA SU “ATTUALITA'”:
FAMIGLIA E NATALITA’:
ANSA – ISTAT: SOLO 379.890 BAMBINI NATI NEL 2023
Nel 2023 si è registrato un nuovo record negativo per le nascite in Italia. Sono venuti al mondo solo 379.890 bambini, 13mila in meno rispetto al 2022, con un calo del 3,4%. Questo è quanto emerge dai dati pubblicati dall’Istat su natalità e fecondità della popolazione residente relativi all’anno 2023. In particolare, nel 2023 sono nati poco più di sei bambini ogni mille residenti. Il calo delle nascite continua anche nel 2024: i dati provvisori indicano che, tra gennaio e luglio, le nascite sono state 4.600 in meno rispetto allo stesso periodo del 2023. “La diminuzione delle nascite, che comporta un nuovo superamento al ribasso del record di denatalità, si inserisce in un trend ormai di lungo corso”, si legge nel report. Rispetto al 2008, quando il numero dei nati vivi superava le 576mila unità, si osserva una perdita complessiva di 197mila bambini (-34,1%). In media, ogni anno sono nati circa 13mila bambini in meno, con un tasso di variazione medio annuo del 2,7 per mille. Nel 2023 si è osservato un calo del 3,1% nel numero di primogeniti rispetto al 2022, tornando ai livelli del 2021. Il lieve aumento dei primogeniti nel 2022 rispetto al 2021 è stato solo una breve parentesi di ripresa, legata al recupero dei progetti riproduttivi rinviati durante il periodo pandemico. Anche i secondi figli hanno registrato una diminuzione del 4,5%, mentre i figli di ordine successivo sono calati dell’1,7%. Nel 2023, l’età media delle madri al momento della nascita del primo figlio è salita a 31,7 anni, rispetto ai 28 anni registrati nel 1995. Questo è uno dei dati principali emersi dal rapporto Istat. Inoltre, considerando tutte le nascite, l’età media al parto è aumentata leggermente, passando da 32,4 anni nel 2022 a 32,5 anni nel 2023. L’età media delle madri italiane è più alta (33 anni) rispetto a quella delle madri straniere (29,7 anni). Rispetto al 1995, l’età media alla nascita dei figli è aumentata di oltre due anni e mezzo. Nonostante un leggero calo rispetto al 2022, le nascite fuori dal matrimonio continuano ad aumentare come incidenza sul totale delle nascite. Nel 2023, sono stati registrati 160.942 figli nati fuori dal matrimonio, circa 2mila in meno rispetto al 2022. Tuttavia, la loro incidenza sul totale è salita al 42,4%, con un aumento di 0,8 punti percentuali rispetto all’anno precedente, anche se questo incremento è inferiore alla crescita media registrata tra il 2008 e il 2022 (+1,5% all’anno). Nel 2023, il numero medio di figli per donna è sceso a 1,20, in flessione rispetto all’1,24 del 2022. La fecondità sembra non mostrare segni di ripresa nemmeno nel 2024. I dati provvisori relativi ai primi sette mesi dell’anno stimano una fecondità di 1,21 figli per donna, in linea con quella dell’anno precedente. Il tasso di fecondità del 2023 riporta l’Italia ai livelli minimi storici osservati nel 1995, quando il numero medio di figli per donna era di 1,19. Tuttavia, il report sottolinea che la composizione per cittadinanza della popolazione femminile è cambiata: nel 1995 il tasso di fecondità era attribuibile quasi esclusivamente alle donne italiane, mentre oggi il contributo delle donne straniere ha giocato un ruolo significativo nel tentativo di ripresa della fecondità negli anni Duemila. Dal secondo decennio degli anni 2000, però, il trend è tornato a peggiorare. Nel 2023, Leonardo e Sofia sono stati i nomi più scelti dai genitori italiani per i propri figli, secondo i dati Istat. Leonardo mantiene il primato che aveva conquistato nel 2018, seguito per la prima volta da Edoardo, che sale al secondo posto guadagnando due posizioni rispetto al 2022. Tommaso rimane stabile al terzo posto, mentre Francesco scende al quarto. Per le bambine, Sofia e Aurora confermano le prime due posizioni, seguite da Ginevra, che sale al terzo posto, e da Vittoria al quarto, che prende il posto di Giulia, scesa al quinto posto. Anche i nati da genitori stranieri sono in diminuzione. Nel 2023, le nascite da coppie in cui almeno uno dei genitori è straniero sono state 80.942, contro le 82.216 del 2022, con una diminuzione del 21,3%. Questo fenomeno segue un trend di calo iniziato nel 2012, anno in cui si è registrato l’ultimo aumento delle nascite da genitori stranieri. La regione italiana con la più alta incidenza di nascite da genitori stranieri è l’Emilia-Romagna (21,9%). Anche in altre regioni del Nord, come Liguria e Lombardia, un bambino su cinque ha almeno un genitore straniero. In Veneto, Piemonte e Friuli Venezia Giulia, la percentuale si attesta intorno al 18%, mentre al Centro spicca la Toscana con il 18,1%. Nel Mezzogiorno, la percentuale è decisamente più bassa, con un minimo del 3,9% in Sardegna e un massimo del 10% in Abruzzo.
Altre notizie:
GIOVANI:
L’INDIPENDENTE – DAL 2011 OLTRE MEZZO MILIONE DI GIOVANI HA SCELTO DI LASCIARE L’ITALIA
Negli ultimi 13 anni, più di mezzo milione di giovani ha scelto di lasciare l’Italia, cercando migliori opportunità di vita e lavoro all’estero. Questi dati sono stati elaborati dalla Fondazione Nord Est e presentati mercoledì 23 ottobre al CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro). Escludendo coloro che sono tornati, sono oltre 370.000 i giovani che hanno abbandonato il Paese. Questa emigrazione rappresenta una perdita economica significativa, pari a un capitale umano di oltre 130 miliardi di euro. I motivi per cui i giovani lasciano l’Italia sono diversi: alcuni per necessità, altri per scelta, ma la maggior parte trova effettivamente condizioni di vita migliori all’estero. Infatti, i giovani espatriati risultano essere più soddisfatti di coloro che sono rimasti, e quasi l’80% di loro ha un impiego, rispetto al 64% registrato nel nord Italia. Questa situazione è preoccupante, soprattutto considerando che l’Italia è all’ultimo posto tra i grandi Paesi europei per la capacità di attrarre giovani. Lo Stivale accoglie solo il 6% dei giovani in partenza dal continente europeo, un dato che riflette chiaramente come la “fuga dei giovani” rappresenti una vera e propria emergenza nazionale. Il rapporto della Fondazione Nord Est è stato pubblicato il 29 agosto scorso con il titolo “I giovani e la scelta di trasferirsi all’estero”, ma è stato presentato ufficialmente solo ieri, con alcuni aggiornamenti sui dati. Lo studio copre il periodo 2011-2023 e si concentra sui giovani italiani di età compresa tra i 18 e i 34 anni. Secondo l’analisi, sarebbero circa 550.000 i giovani che hanno deciso di trasferirsi all’estero. Al netto dei rientri, questo numero si riduce a circa 377.000 persone, un dato che corrisponde a una perdita di capitale sociale stimata in 134 miliardi di euro. Tale valore potrebbe addirittura triplicare, considerando una possibile sottostima nei dati ufficiali. Un elemento significativo che emerge dal rapporto è che per ogni giovane che arriva in Italia, otto la lasciano. La maggior parte degli emigrati (circa il 35%) proviene dal nord Italia, la metà è laureata e un terzo diplomato. Le motivazioni principali per cui i giovani decidono di espatriare includono la ricerca di migliori opportunità lavorative (25%), opportunità di studio e formazione (19,2%), e una qualità della vita più elevata (17,1%). Un altro 10% dei giovani lascia l’Italia per cercare condizioni salariali migliori. Il grado di soddisfazione dei giovani che vivono all’estero è molto più alto rispetto a chi è rimasto in Italia: il 56% degli espatriati si dichiara soddisfatto, contro solo il 22% dei residenti. Inoltre, il 69% dei giovani italiani all’estero crede in un futuro “felice”, rispetto al 45% di chi è rimasto; il 67% vede il futuro “ricco di opportunità”, contro il 34% dei residenti; e il 64% giudica il proprio futuro “migliore”, rispetto al 40% degli italiani rimasti nel Paese. Un fattore decisivo è la situazione lavorativa: il tasso di occupazione dei non diplomati all’estero arriva al 100%. Guardando alla situazione socio-economica dell’Italia, risulta evidente perché così tanti giovani scelgano di andarsene. L’ultimo rapporto Censis descrive la popolazione italiana come “sonnambula”, impaurita, sfiduciata e colpita dalle difficoltà del Paese. I dati sul reddito degli italiani evidenziano una distribuzione diseguale e una tendenza al ribasso. La situazione occupazionale è altrettanto critica: l’Italia rimane, da anni, fanalino di coda nell’Unione Europea in termini di tassi di occupazione. Un altro rapporto, realizzato dall’Associazione Italiana Ospedalità Privata (Aiop) in collaborazione con il Censis, mostra che il 42% delle persone con redditi bassi ha rinunciato a curarsi nel 2023. I dati Eurostat dipingono un quadro socio-economico in crisi su più fronti, evidenziando alti tassi di rischio povertà, costi abitativi insostenibili e livelli crescenti di insoddisfazione tra la popolazione.
Altre notizie:
IMMIGRAZIONE:
ANSA – AUMENTANO GLI ITALIANI CHE SI TRASFERISCONO ALL’ESTERO E DIMINUISCONO I RIMPATRI
Il numero di italiani che vivono fuori dai confini nazionali ha superato i 6 milioni, con una crescita dell’11,8% dal 2020. “Dal 2020 l’Italia conta circa 652 mila residenti in meno. Nello stesso periodo, invece, continua la crescita di chi ha deciso di risiedere fuori dei confini nazionali (+11,8% dal 2020). Oggi la comunità dei cittadini e delle cittadine residenti all’estero è composta da oltre 6 milioni 134 mila unità: da tempo, l’unica Italia a crescere continua ad essere soltanto quella che ha scelto l’estero per vivere”. Questo è quanto emerge dal 19° Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes, pubblicato oggi. Il rapporto evidenzia anche come l’emigrazione italiana non abbia impatti omogenei, ma rappresenti un problema per i territori già afflitti da fenomeni di spopolamento e depressione economica. “Che l’impatto sia differente ed eterogeno – si legge nel Rapporto – è di facile deduzione, ma quanto potente sia la ripercussione dell’attuale emigrazione sui territori già provati da criticità, quali lo spopolamento e la depressione economica, è materia importante da attenzionare a tutti i livelli per introdurre politiche finalizzate al sostegno della ‘riattrattività’ di cui diffusamente si discute oggi in molteplici contesti”. La Sicilia si conferma nel 2024 la regione con il maggior numero di cittadini iscritti all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) con oltre 826 mila iscritti, seguita da Lombardia (641 mila) e Veneto (563 mila). Il 45,8% degli iscritti all’AIRE è originario del Sud Italia (oltre 2,8 milioni, di cui 956 mila isolani). Gli iscritti provenienti dal Nord Italia sono invece oltre 2,3 milioni (19% sia per il Nord-Est che per il Nord-Ovest, con quest’ultimo leggermente in vantaggio di circa 23 mila iscritti). Dal Centro Italia provengono 966 mila iscritti (15,7%). Il rapporto evidenzia un cambiamento nella provenienza degli emigrati: in passato prevalentemente dal Sud, oggi interessa tutto il territorio nazionale. La comunità italiana all’estero comprende cittadini con “appartenenze territoriali complesse” per via di percorsi migratori plurimi, dai trasferimenti dal Sud al Centro-Nord fino all’espatrio. Le motivazioni della migrazione sono varie: famiglie che si spostano, mobilità per studio, lavoro o ricongiungimento familiare. Cambia anche l’età media di chi rientra in Italia dall’estero. “Nel 2023 e nel 2024 l’incidenza percentuale della fascia degli over 40 ha continuato a salire, con un trend che si è rafforzato nel 2024. La fascia dei giovanissimi 20-30 anni, dopo essere cresciuta nel 2023, diminuisce nel 2024, ma il calo è soprattutto concentrato nella fascia 30-40 anni, che per la prima volta in assoluto scende sotto al 50% (47%). Un fenomeno non positivo”. Questo fenomeno, si legge nel report, “si può leggere così: il ridimensionamento delle agevolazioni dal 2024 impatta prevalentemente sui più giovani, ai quali non conviene più trasferirsi sacrificando retribuzioni medie più elevate e prospettive di carriera, e sulle famiglie con figli minori (la fascia 30-40), che hanno visto azzerare il potenziamento delle agevolazioni legate al radicamento e alla natalità”. Il rapporto conclude che la nuova legge ha avuto l’effetto negativo di scoraggiare il rientro in Italia di persone giovani e di famiglie con figli, proprio mentre il Paese affronta sfide legate alla denatalità e all’invecchiamento demografico. “In quest’ottica, emerge uno degli effetti negativi della nuova legge: scoraggiare paradossalmente l’ingresso di soggetti giovani e con figli, proprio mentre il Paese è alle prese (da anni) con sfide quali la denatalità e l’inverno demografico”.
Altre notizie:
ILLEGALITA’:
TORINOCRONACA – LE MANI DELLE MAFIE SULLA SANITA’ DEL NORD ITALIA
Le mafie italiane, in particolare la ‘ndrangheta, hanno espanso le loro attività criminali nel settore della sanità nel Nord Italia, in particolare tra Torino e Milano. Dopo anni di coinvolgimento in traffico di droga, usura, estorsioni e appalti, i boss mafiosi hanno aperto un nuovo fronte, sfruttando relazioni e amicizie di alto livello. La Squadra Mobile di Milano ha evidenziato questo fenomeno in una lunga informativa, rivelando che oltre ai tradizionali boss e famiglie calabresi, sono coinvolti anche insospettabili professionisti, come alcuni medici di importanti ospedali del Nord. L’interesse della ‘ndrangheta per la sanità è cresciuto significativamente durante la pandemia, rappresentando una nuova opportunità per la criminalità organizzata. La struttura flessibile e la capacità di adattamento delle famiglie calabresi hanno permesso di colmare i vuoti creati dagli arresti delle operazioni Infinito-Crimine (luglio 2010) e Minotauro, e di altre indagini fino al 2024. Secondo la polizia, i clan a Torino e Milano si sono rapidamente riorganizzati, ricostruendo una gerarchia che consente loro di mantenere un forte legame con il territorio. Oggi i clan puntano a entrare nei settori imprenditoriale e politico-istituzionale, candidando affiliati di fiducia nelle amministrazioni locali. Vivendo al Nord da più generazioni, gli appartenenti alla ‘ndrangheta hanno acquisito una conoscenza approfondita del territorio, consolidando rapporti con le comunità locali e instaurando contatti privilegiati con rappresentanti della politica e delle istituzioni locali. Gli investigatori notano che le nuove generazioni hanno permesso alla ‘ndrangheta di diventare un’associazione con una certa indipendenza rispetto alla matrice calabrese, pur mantenendo stretti legami con essa.
Altre notizie:
DATI E STUDI:
ANSA – INCIDENTI STRADALI: NEL 2023 SI SONO REGISTRATI IN MEDIA 8 MORTI AL GIORNO
Nel 2023, in Italia, si sono registrati più di otto morti al giorno sulle strade, un bilancio allarmante che emerge dai dati raccolti da Aci e Istat. Ogni giorno, in media, si verificano 456 incidenti stradali, causando 8,3 morti e 615 feriti. Questo report evidenzia una situazione drammatica, con 3.039 decessi causati da incidenti stradali nel corso dell’anno. Sebbene questo numero sia in leggero calo rispetto ai 3.159 morti del 2022, la situazione rimane critica. Il numero degli incidenti stradali con lesioni a persone è in crescita: nel 2023 si sono verificati 166.525 incidenti, rispetto ai 165.889 del 2022. Anche il numero dei feriti è aumentato, con 224.634 persone che hanno riportato lesioni, rispetto ai 223.475 dell’anno precedente. L’Italia deve affrontare seriamente questi numeri preoccupanti. La Commissione Europea ha fissato l’obiettivo di ridurre del 50% il numero di vittime e feriti gravi entro il 2030, utilizzando il 2019 come anno di riferimento. Tuttavia, i risultati sono lontani da questo obiettivo: su 107 province italiane, 42 hanno registrato un aumento delle vittime, mentre solo in 8 province si è raggiunto il dimezzamento rispetto al 2019. Il Lazio è la regione con il maggior aumento di morti sulle strade: rispetto al 2019, ci sono stati 51 decessi in più. La Sardegna ha la più alta incidenza di mortalità stradale, con 7 morti ogni 100.000 abitanti, mentre la media nazionale è di 5,5. Altre regioni con tassi elevati includono Trentino Alto Adige (6,56), Veneto (6,36) ed Emilia-Romagna (6,26). L’indice di mortalità, ovvero il numero di decessi per 100 incidenti, è aumentato: in 12 province è risultato almeno doppio rispetto alla media nazionale di 1,82. Le province con le situazioni più critiche includono Nuoro (6,25) e Sud Sardegna (6,14). Al contrario, province come Prato e Milano hanno mostrato un indice di mortalità inferiore a 1. Questi dati evidenziano la necessità urgente di interventi efficaci per migliorare la sicurezza stradale in Italia. Nonostante alcuni progressi nella riduzione delle vittime rispetto al passato recente, l’aumento degli incidenti e dei feriti richiede un’attenzione costante e misure concrete per garantire la sicurezza sulle strade.
Altre notizie:
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