Qual è l’origine e il significato delle strofe dell’inno di Mameli, scritto da Goffredo Mameli e musicato da Michele Novaro
Inno di Mameli: storia e significato. Dal 12 ottobre 1946, l’inno nazionale d’Italia è l’Inno di Mameli, scritto nell’autunno del 1847 dallo studente e patriota genovese Goffredo Mameli, e musicato a Torino da un altro genovese, Michele Novaro. Per legge, è prescritto l’insegnamento dell’Inno di Mameli nelle scuole.
“La Marsigliese” (l’inno francese) fu tra le fonti di ispirazione di Goffredo Mameli, che morì a soli 21 anni combattendo in difesa della Repubblica Romana, nata dopo i moti rivoluzionari del 1848.
Dopo l’Unità d’Italia, l’inno scelto fu la “Marcia Reale” di Casa Savoia, la monarchia alla guida del Paese fino a dopo la seconda guerra mondiale quando, il 2 giugno 1946 tramite referendum, l’Italia divenne una Repubblica. Da allora, l’Inno di Mameli divenne l’inno nazionale provvisorio, un ruolo che ha conservato fino a oggi.
Il significato dell’Inno di Mameli, strofa per strofa
Il “Canto degli italiani” nacque in un clima di fervore patriottico che preludeva alla guerra contro l’Austria. L’inno presenta, però, numerosi riferimenti storici del passato che richiedono una attenta lettura per una più corretta comprensione del testo.
“Fratelli d’Italia
L’Italia s’è desta,
Dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa.”
Publio Cornelio Scipione, detto l’Africano (253-183 a. C.), fu il generale e uomo politico romano vincitore dei Cartaginesi e di Annibale nel 202 a. C. a Zama (attuale Algeria). La battaglia decretò la fine della seconda guerra punica, con la schiacciante vittoria dei Romani. L’Italia, ormai pronta alla guerra d’indipendenza dall’Austria, si cinge figurativamente la testa dell’elmo di Scipione come richiamo metaforico alle gesta eroiche e valorose degli antichi Romani.
“Dov’è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.”
Si riferisce all’uso antico di tagliare i capelli alle schiave per distinguerle dalle donne libere. Queste ultime, per sottolineare il loro stato, erano solite tenere i capelli lunghi. Quindi, la “dea Vittoria” rappresentata come una donna dai lunghi capelli, dovrebbe porgere la chioma perché le venga tagliata in segno di sottomissione a Roma.
“Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.”
La “coorte” era un’unità da combattimento dell’esercito romano, composta da 600 uomini: era la decima parte di una legione. “Stringiamci a coorte” è un’esortazione a presentarsi senza indugio alle armi, a rimanere uniti e compatti, disposti a morire, per la liberazione dall’oppressore straniero.
“Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica
Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l’ora suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.”
Si tratta di un richiamo al desiderio di raccogliersi sotto un’unica bandiera. Speranza (speme) di unità e di ideali condivisi per un’Italia ancora divisa in 7 Stati (Regno delle due Sicilie, Stato Pontificio, Regno di Sardegna, Granducato di Toscana, Regno Lombardo-Veneto, Ducato di Parma, Ducato di Modena).
“Uniamoci, amiamoci,
l’Unione, e l’amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore;
Giuriamo far libero
Il suolo natìo:
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.”
Mameli, che era un mazziniano convinto, in questa strofa interpreta il disegno politico del fondatore della “Giovine Italia“: quello di arrivare, attraverso l’unione di tutti gli Stati italiani, alla realizzazione della repubblica. “Per Dio” è un francesismo (e non un’imprecazione), che significa “attraverso Dio“.
“Dall’Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,”
La battaglia di Legnano, del 1176, è quella in cui la Lega Lombarda, al comando di Alberto da Giussano, sconfisse Federico I di Svevia, il Barbarossa. A seguito della sconfitta, l’imperatore fu costretto a rinunciare alle sue pretese di supremazia: scese a patti con le città lombarde, con cui stipulò una tregua di 6 anni, a cui seguì nel 1183 la pace di Costanza in cui dovette riconoscere le autonomie cittadine.
“Ogn’uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,”
Si fa riferimento all’eroica difesa della Repubblica di Firenze che tra il 12 ottobre del 1529 e il 12 agosto del 1530 venne assediata dall’esercito imperiale di Carlo V d’Asburgo. Nel corso dell’assedio, il capitano Francesco Ferrucci venne ferito a morte, e finito da Fabrizio Maramaldo, un capitano di ventura al soldo dell’esercito imperiale, il cui nome è diventato sinonimo di “vile” e al quale Ferrucci rivolse le parole “Tu uccidi un uomo morto“.
“I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla,”
Il richiamo a tutte le genti d’Italia è al valore e al coraggio del leggendario Balilla, il simbolo della rivolta popolare di Genova contro la coalizione austro-piemontese. Si tratta del soprannome del fanciullo (forse di un certo Giambattista Perasso) che il 5 dicembre 1746 scagliò una pietra contro un ufficiale, dando l’avvio alla rivolta che portò alla liberazione della città.
“Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.”
“Il suon d’ogni squilla” significa “il suono di ogni campana“. L’evento è quello dei “Vespri Siciliani“: nome dato al moto per cui la Sicilia insorse dopo 16 anni di dominio angioino (francese) e si diede agli aragonesi (spagnoli). All’ora dei vespri del lunedì di Pasqua del 31 marzo 1282 tutte le campane si misero a suonare per sollecitare il popolo di Palermo all’insurrezione contro i francesi.
“Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Già l’Aquila d’Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.”
L’Austria degli Asburgo (l’aquila era il simbolo imperiale) era in declino (le spade vendute sono le truppe mercenarie di cui erano piene le file dell’esercito imperiale). Mameli chiama un’ultima volta a raccolta le genti italiche per dare il colpo di grazia alla dominazione austriaca con un parallelismo con la Polonia. Tra il 1772 e il 1795, l’Impero austro-ungarico, assieme alla Russia (il “cosacco”) aveva invaso la Polonia. Ma il sangue dei 2 popoli oppressi, l’italiano e il polacco, può trasformarsi in veleno attraverso la sollevazione contro l’oppressore straniero.
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