La revisione del processo rappresenta un meccanismo giuridico il quale offre la possibilità di correggere errori giudiziari che hanno portato a condanne definitive e irrevocabili
Cos’è la revisione del processo? La revisione del processo rappresenta un meccanismo giuridico straordinario previsto dal codice di procedura penale italiano, il quale offre la possibilità di correggere errori giudiziari che hanno portato a condanne definitive e irrevocabili. Questa procedura, nota anche come “processo di revisione“, è riservata a casi eccezionali e richiede argomentazioni e prove estremamente solide per mettere in discussione la decisione di colpevolezza.
La richiesta di revisione segue un percorso definito dall’articolo 630 del codice di procedura penale italiano. In base all’articolo 632, la richiesta può provenire dalla persona condannata o dai suoi parenti stretti attraverso la difesa legale, oppure dal procuratore generale presso la Corte d’Appello nella cui circoscrizione è stata emessa la sentenza di condanna.
La revisione del processo può essere richiesta in 2 casi principali: se dopo la condanna emergono o vengono scoperte nuove prove che dimostrano l’innocenza del condannato, o se è provato che la condanna è stata emessa a seguito di falsità in atti o in giudizio, o di un altro fatto considerato dalla legge come reato. Dal 2011, la Corte Costituzionale ha stabilito che il processo di revisione può essere concesso anche dopo una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Le prove che esistevano prima della sentenza, ma che non sono state considerate nei processi precedenti per varie ragioni, possono sostenere la richiesta di revisione. Questi elementi rientrano nell’ambito delle “prove nuove“, insieme a quelle scoperte dopo la condanna. Va notato che l’unica richiesta ammessa in caso di revisione è il proscioglimento; non è possibile chiedere riduzioni di pena o sconti.
Se il processo di revisione porta a un’assoluzione e sovverte le sentenze dei tre gradi di giudizio, si parla di errore giudiziario, previsto dall’articolo 24 della Costituzione italiana. Il sistema giuridico prevede condizioni e modalità per la riparazione di errori giudiziari, e il ministero delle Finanze gestisce eventuali risarcimenti in caso di errori riconosciuti. In sostanza, l’errore giudiziario si verifica quando una persona, dopo aver espiato una pena per una condanna, viene successivamente riconosciuta innocente attraverso un nuovo processo di revisione.
La collocazione dell’istituto
La revisione, nel contesto del processo penale italiano, rappresenta un mezzo di impugnazione straordinario utilizzabile contro i provvedimenti di condanna passati in giudicato. La sua collocazione è oggetto di dibattito, in particolare nel campo penale, con diverse prospettive sull’adeguatezza del suo posizionamento.
Secondo il codice di procedura penale, la revisione è inserita nel titolo IX relativo alle impugnazioni, classificandola come un’impugnazione straordinaria. Questa visione è condivisa da diversi autori manualistici.
Tuttavia, un’altra corrente di pensiero non concorda con questa collocazione legislativa, considerando la revisione come un’azione di annullamento strettamente legata al giudicato e ai suoi effetti, più che una vera e propria impugnazione. Questa prospettiva sostiene che la revisione si concentra sulla parte endoprocessuale di una specifica questione entro determinati limiti di tempo e prescrizione, mentre l’oggetto della revisione è la cosa giudicata e non impugnabile.
Il diritto processuale penale
Nel diritto processuale penale, la revisione delle sentenze di condanna è contemplata dall’articolo 629 del codice di procedura penale e seguenti. Questa possibilità è concessa ai condannati in casi specifici determinati dalla legge, anche se la pena è già stata eseguita o è stata estinta.
Le motivazioni per richiedere una revisione sono elencate nell’articolo 630 del codice di procedura penale. L’organo competente per gestire la revisione è la Corte d’Appello.
La revisione non mira a ottenere diminuzioni di pena o sconti, ma a correggere decisioni giudiziarie palesemente errate. Solo il condannato o chi agisce nel suo interesse, come i congiunti o il Procuratore, possono proporre una domanda di revisione.
L’unico risultato che si può ottenere dalla revisione è il proscioglimento, e non sono ammessi altri tipi di richieste. La Corte d’Appello è l’organo competente per gestire la procedura di revisione.
La revisione non è considerata né devolutiva, perché non rimette il giudizio davanti a un organo superiore, né sospensiva, perché il giudice non è tenuto a sospendere l’esecuzione della pena.
La richiesta di revisione può essere avanzata solo per motivi espressamente previsti dalla legge e in presenza di elementi evidenti che possano giustificare il proscioglimento del condannato.
La revisione non costituisce una forma di bis in idem, vietata dall’ordinamento giuridico, poiché non comporta una persecuzione penale reiterata di un individuo già giudicato. Al contrario, si tratta di una richiesta avanzata dallo stesso soggetto per correggere un errore commesso nei precedenti giudizi.
In circostanze eccezionali, un soggetto che ha ottenuto attenuanti o agevolazioni per collaborazioni con la giustizia può subire un peggioramento della sua situazione, ad esempio mentendo o omettendo informazioni, o se viene condannato entro dieci anni per reati per i quali è previsto l’arresto in flagranza obbligatorio, come disciplinato dalla legge n. 82 del 15 marzo 1991.
I motivi della richiesta di revisione
La richiesta di revisione del processo può essere basata su diversi motivi, come stabilito dall’articolo 630 del codice di procedura penale. Questi motivi includono:
- Contraddizioni tra i fatti stabiliti nella sentenza o nel decreto penale di condanna e quelli stabiliti in un’altra sentenza penale irrevocabile emessa da un giudice ordinario o speciale.
- L’accettazione della colpevolezza del condannato sulla base di una decisione di un giudice civile o amministrativo, successivamente annullata, riguardante una delle questioni pregiudiziali previste dall’articolo 3 o una delle questioni previste dall’articolo 479.
- La scoperta o la sopravvenienza di nuove prove dopo la condanna, che, da sole o unite a quelle già valutate, dimostrano l’innocenza del condannato in base all’articolo 631.
- La dimostrazione che la condanna è stata pronunciata a causa di falsificazioni di documenti o testimoni, o di altri fatti considerati reato dalla legge.
La sentenza
Il giudice di revisione ha un ambito decisionale molto limitato: può dichiarare la richiesta inammissibile o accoglierla. Non può basarsi esclusivamente sulle prove del processo precedente per accogliere la richiesta.
Se il giudice accoglie la richiesta, annulla la sentenza in questione e stabilisce una riparazione conformemente all’articolo 643 del codice di procedura penale per il mal giudicato.
Se la richiesta viene rigettata, la sentenza precedente viene confermata e il richiedente è condannato al pagamento delle spese processuali.
La revisione dopo una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo
Il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha emesso la raccomandazione n. R (2000) 2 il 19 gennaio 2000 riguardante il riesame o la riapertura di casi a livello nazionale dopo sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. In diverse occasioni, il Comitato ha esposto la preoccupazione riguardante l’incapacità dell’Italia di riaprire procedimenti giudiziari in seguito a violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nonostante la Corte europea abbia riconosciuto violazioni procedurali nei casi Dorigo e F.C.B.
Poiché il legislatore non ha risposto a tali richieste del Consiglio d’Europa, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale la mancanza di un meccanismo per la revisione delle sentenze o dei decreti penali di condanna al fine di riaprire il processo, quando richiesto dalla Convenzione europea dei diritti umani.
Ci sono state proposte di revisione in seguito alle pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo.
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