La Costituzione italiana, i trattati internazionali e le leggi prevedono questa eventualità e stabiliscono quali sono le condizioni necessarie per realizzare un intervento armato
L’Italia può entrare in guerra? L’invasione della Russia in Ucraina ha colto di sorpresa i governi dei Paesi occidentali, convinti che il presidente russo, Vladimir Putin, non sarebbe arrivato a tanto. Così, l’ipotesi di una guerra è diventata attuale. La guerra mondiale, infatti, potrebbe scoppiare davvero e il conflitto armato potrebbe coinvolgere anche l’Italia. Le nostre forze armate esistono proprio per proteggerci in caso di minacce e aggressioni esterne.
La Costituzione italiana, i trattati internazionali e le leggi prevedono questa eventualità e stabiliscono quali sono le condizioni necessarie per realizzare un intervento armato. Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha però detto che “l’Italia non entrerà nel conflitto armato tra Ucraina e Russia“.
La situazione internazionale
L’Ucraina si trova tra la Russia e i Paesi dell’Unione Europea. Un tempo L’Ucraina apparteneva al “blocco sovietico“. Poi, dopo la caduta del Muro di Berlino e dell’Unione Sovietica è diventata uno Stato “indipendente“.
Non fa parte della Nato, ma ha chiesto di entrarvi. In questo modo potrebbe diventare una nazione occidentale a tutti gli effetti (come Romania, Bulgaria, Ungheria, Polonia, Germania Est e ex Cecoslovacchia, Stati che un tempo erano sotto l’influenza sovietica e adesso appartengono all’Unione Europea che si è “allargata”).
Il presidente russo, Putin, che non vuole avere un Paese “nemico” ai suoi confini, ha deciso di invaderlo militarmente (lo ha fatto principalmente per prevenire l’ingresso nella Nato ed evitare, così, di avere vicino ai suoi confini schieramenti militari ostili). Se e quando Putin riuscirà ad occupare l’Ucraina, la renderà probabilmente uno Stato “amico” della Russia. instaurando un governo filo-russo.
Per ora, la risposta internazionale all’invasione dell’Ucraina si è limitata alle sanzioni economiche, evitando l’intervento militare diretto. L’Italia ha, inoltre, rafforzato i contingenti impegnati nelle missioni all’estero (così come tutte le altre potenze occidentali).
A quali condizioni l’Italia può entrare in guerra?
Se fossimo nell’800 o nella prima metà del ‘900, sarebbe bastato che un sovrano (come re Vittorio Emanuele) o un dittatore (come Mussolini) avessero ordinato di entrare in guerra. È successo con le guerre di Crimea e di Prussia (dove i soldati italiani furono mandati a combattere in terre distanti) e con la conquista italiana di pezzi di Africa (come Libia, Etiopia, Somalia, Abissinia, Eritrea). E’, poi, accaduto nella Prima e nella Seconda guerra mondiale (combattute anche sul suolo italiano e che hanno causato milioni di morti).
Con la Costituzione italiana questo, però, non è più possibile. Infatti, “l’art. 11” stabilisce che l’Italia “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali“. “Ripudiare” significa “rifiutare decisamente”, “respingere fermamente”, “rinnegare”, “disconoscere”.
Questo ripudio, però, è limitato alla guerra offensiva, quella di aggressione e di conquista. L’intervento armato è, invece, ammesso quando necessario per la difesa nazionale. Infatti, “l’art. 52 della Costituzione” sancisce che “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino” e “l’art. 78” prevede che “le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari“.
L’Italia può entrare in guerra per volontà della Nato?
Nell’epoca attuale, l’Italia non decide da sola se entrare in guerra. L’impegno militare viene, infatti, stabilito insieme alle organizzazioni sovranazionali di cui il nostro Paese fa parte (come la Nato e l’Unione Europea).
La Nato è l’Alleanza Atlantica creata nel 1949, poco dopo la fine del secondo conflitto mondiale, in contrapposizione all’ex Unione Sovietica. È dotata di potenti strumenti militari (soprattutto a disposizione dagli Stati Uniti, che è dotata anche di armi nucleari).
L’art. 5 del Trattato stabilisce che un “attacco armato” contro uno Stato membro viene considerato come un attacco diretto a tutti gli altri Stati appartenenti all’Alleanza. Di conseguenza, tutti i Paesi membri sono tenuti ad agire a sostegno reciproco e, in particolare, possono decidere di usare la forza armata. Quindi, tutti possono dichiarare guerra all’aggressore di un qualsiasi Stato che fa parte della Nato.
Inoltre, l’attacco armato che può scatenare il conflitto non deve necessariamente avvenire sul territorio nazionale di uno degli Stati coinvolti, ma, come prevede espressamente l’art. 6 del Trattato, potrebbe realizzarsi anche “contro le forze, le navi e gli aeromobili che si trovino su questi territori o in qualsiasi altra regione d’Europa o nel mare Mediterraneo“. Questa equiparazione dell’attacco territoriale all’attacco ad un apparato militare aumenta il rischio di guerra, perché l’Italia per rispettare i suoi obblighi internazionali deve intervenire militarmente non solo se i suoi confini vengono violati, ma anche se uno Stato alleato dovesse subire questi attacchi armati.
L’Ucraina, invece, non è membro della Nato e quindi sono state adottate soluzioni diverse. L’Alleanza Atlantica, però, dispone di una “forza di rapido impiego” che può essere chiamata a intervenire nei casi di emergenza. Infatti, è successo per l’Ucraina, dove migliaia di soldati sono stati dispiegati sul fianco orientale, per prepararsi a rispondere ad eventuali attacchi dei russi.
L’Italia può entrare in guerra per volontà dell’Unione Europea?
L’Unione Europea non dispone di un apparato militare, ma si avvale delle forze armate degli Stati membri. Il Trattato istitutivo dell’Unione Europea prevede un reciproco sostegno fra i 27 Paesi membri, tra cui l’Italia. Gli Stati membri mettono a disposizione dell’Ue le proprie “capacità civili e militari” per attuare la politica di sicurezza e difesa comune (Psdc), che è dotata di un apposito fondo in cui confluiscono gli stanziamenti necessari.
“L’art. 42 del Trattato” prevede che “qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata nel suo territorio, gli altri sono tenuti a prestargli assistenza con tutti i mezzi in loro possesso“, quindi anche con l’intervento delle rispettive forze militari.
La deliberazione dello stato di guerra, però, non è condivisa in modo unanime, ma viene decisa, di volta in volta, dal Consiglio Europeo, composto dai capi di Stato e di Governo dei Paesi membri. Quindi, l’Unione riesce a disporre alle cosiddette “missioni di pace internazionali“, ma per arrivare a una dichiarazione di guerra servirebbe una completa coesione degli Stati membri nel decidere di prestare aiuto militare (il Trattato richiede che tutte le decisioni di politica e sicurezza comune devono essere approvate all’unanimità).
Cosa succede se l’Italia entra in guerra?
Premettendo che l’entrata in guerra e, in generale, l’impiego della forza militare, costituiscono soluzioni estreme, da adottare solo nei casi in cui quelle più “morbide” si rivelano inefficaci, l’obbligo di servizio militare (la cosiddetta “leva obbligatoria”) è cessato a partire dal 2005. Quindi, attualmente, le forze armate italiane (Esercito, Marina e Aeronautica) sono composte esclusivamente da professionisti (militari di carriera che hanno deciso di indossare la divisa e vengono addestrati per un impiego prolungato). L’arruolamento avviene come “volontari in ferma prefissata” (Vfp), di “durata annuale” (Vfp1) o “quadriennale” (Vfp4).
La leva obbligatoria, però, è stata solo sospesa e potrebbe essere ripristinata in 2 casi:
- se l’Italia entra in guerra;
- se si verifica “una grave crisi internazionale” che coinvolge anche l’Italia.
Però, prima di ricorrere alla chiamata alle armi di chi non ha mai prestato il servizio militare, la legge prevede di ricorrere al richiamo degli ex Vpf (iniziando da coloro che hanno terminato il servizio entro i 5 anni precedenti). Poi, se fossero necessari ulteriori soldati, un Decreto del presidente della Repubblica (Dpr) potrebbe estendere il richiamo ad altre categorie. Infine, in caso di estrema necessità si potrebbe tornare alla “coscrizione obbligatoria“, attingendo alle liste di leva che tuttora vengono tenute dai Comuni italiani (comprendono tutti i cittadini maschi che hanno compiuto 17 anni). La chiamata alle armi riguarderebbe le fasce di età dai 18 ai 45 anni, con un’ulteriore estensione per gli ex appartenenti alle forze armate (come gli ufficiali in congedo).
Non possono essere richiamati alle armi gli appartenenti alle Forze di polizia ad ordinamento civile (come Polizia di Stato, Polizia penitenziaria, corpi di Polizia locale, e Vigili del fuoco).
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