“Il potere può avere sul cervello le stesse conseguenze di una lesione traumatica, con manifestazioni che vanno dalla maggiore impulsività allo sprezzo del pericolo, fino all’incapacità di mettersi nei panni dell’altro”
Il potere dà alla testa? Montarsi la testa è il difetto umano per eccellenza. Gli antichi Greci usavano il termine “hybris” per mettere in guardia da questo pericolo. Un termine usato per indicare la “tracotanza presuntuosa” di chi sale al comando, raggiunge una posizione di prestigio e comincia a sentirsi superiore agli altri, convinto che per sé stesso non valgano le normali regole del vivere comune.
Anche nel mito era presente l’hybris dei leader. Ad esempio, l’Iliade, parte con uno scontro tra Achille e Agamennone (il capo dell’esercito acheo, che approfitta della sua posizione di vertice per imporre la propria volontà, pensando di non pagarne le conseguenze).
Cosa dice la scienza?
Dacher Keltner, professore di psicologia all’Università di Berkeley in California, che da 20 anni fa ricerche su questo tema, ha detto: “il potere può avere sul cervello le stesse conseguenze di una lesione traumatica. Con manifestazioni che vanno dalla maggiore impulsività allo sprezzo del pericolo fino all’incapacità di mettersi nei panni dell’altro“.
Sukhvinder Obhi, docente all’università di McMaster in Ontario, che studia i cervelli (a differenza di Keltner che studia i comportamenti), ha messo a confronto le teste dei potenti con quelle dei non potenti, attraverso un esame a base di stimolazioni transcranico-magnetiche, e ha scoperto alterati i processi neurali specifici dei neuroni specchio (importantissimi per chi ricopre ruoli da leader).
In pratica, quando osserviamo un nostro simile compiere un particolare gesto si attivano, nel nostro cervello, gli stessi neuroni che entrano in gioco quando siamo noi a compiere quella stessa azione. Quindi, grazie alla presenza di questi neuroni particolari possiamo imparare osservando e capire le intenzioni di chi ci sta davanti solo con un colpo d’occhio.
Da leader si perderebbero almeno in parte le capacità empatiche. Inoltre, secondo lo studio di Obhi, sarebbe stato riscontrato un incremento dei disturbi narcisistici e della personalità con pulsioni manipolatorie in chi è arrivato nella stanza dei bottoni.
Insomma, il cervello dei potenti diventa meno interessato a capire gli altri. Ecco perché i leader si circondano di persone accondiscendenti (menti con scarso senso critico oppure furbi che fanno finta di essere del tutto rincretiniti) pronti a compiacerli. Il risultato, però, è che se il potente perde il senso della realtà, mettendo le proprie esigenze al di sopra di quelle degli altri, i “fedeli” sottoposti non faranno nulla per farglielo notare.
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