AGI – NEL 2024 OLTRE 200 MILA MORTI PER GUERRE E DISASTRI NATURALI

Nel 2024, i conflitti armati e i disastri naturali hanno causato più di 200.000 morti e 117 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case

Nel 2024, i conflitti armati e i disastri naturali hanno causato più di 200.000 morti e 117 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case. Tra le vittime si contano anche 283 operatori umanitari, deceduti mentre cercavano di fornire aiuti alle popolazioni colpite dalle emergenze. Questo quadro è stato delineato dall’organizzazione umanitaria Cesvi, che ha evidenziato un grave paradosso: “Mentre 300 milioni di persone vivono al limite della sopravvivenza, per gli operatori umanitari è sempre più difficile e pericoloso portare aiuti”.

Attualmente nel mondo sono in corso 56 conflitti armati, il numero più alto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Inoltre, da gennaio 2024, ci sono stati oltre 100 disastri naturali legati al clima, con una frequenza di uno ogni tre giorni. Nonostante questi pericoli, gli operatori umanitari hanno fornito assistenza ad almeno 116 milioni di persone quest’anno, esponendosi a rischi crescenti per la loro sicurezza. Secondo Stefano Piziali, direttore generale di Cesvi, “nel 2024 sono già morti 283 operatori umanitari, un numero che è oltre il doppio rispetto a cinque anni fa e quattro volte quello registrato vent’anni fa”.

La guerra a Gaza è stata la principale causa di morti tra gli operatori umanitari nel 2024, con almeno 178 decessi. Altri 25 operatori sono morti in Sudan e 11 in Ucraina. Questi numeri dimostrano quanto sia difficile accedere alle aree di emergenza e portare aiuti in sicurezza. “In molte situazioni, come a Gaza, dove Cesvi opera dal 1994, l’accesso agli aiuti è gravemente compromesso: i corridoi umanitari rimangono spesso bloccati e i convogli non riescono a raggiungere le popolazioni bisognose. Gli operatori locali vivono una doppia vulnerabilità: sono sfollati e al tempo stesso responsabili degli aiuti”, spiega Piziali. A Gaza, 35.200 persone sono state uccise dall’inizio dell’anno e oltre 100.000 sono rimaste ferite. In questa regione, 3,3 milioni di persone necessitano di aiuto umanitario. Piziali aggiunge: “In 14 mesi sono stati distrutti più di 70.000 edifici e quasi 2 milioni di persone sono sfollate. Le forniture idriche sono gravemente limitate e stiamo installando cisterne per l’acqua potabile e latrine nei centri educativi, gli unici luoghi di aggregazione rimasti per bambini e ragazzi”.

L’Ucraina è un altro scenario critico. Qui, oltre 37.303 persone sono morte nel 2024. Per ogni nuovo nato, tre persone sono decedute. Piziali spiega: “I bambini sono tra le prime vittime di questa crisi. Tre milioni sono in stato di bisogno, e 1,5 milioni soffrono di problemi di salute mentale. I bambini vicino al fronte hanno trascorso nei bunker un numero di ore che equivale a sette mesi della loro vita”. Cesvi ha operato nelle regioni sud-orientali dell’Ucraina offrendo supporto psicosociale, fornendo farmaci, ambulanze e strumenti medici a ospedali, e organizzando corsi per sensibilizzare sui rischi delle mine e degli ordigni inesplosi.

Nel Corno d’Africa, la situazione è drammatica. Etiopia, Kenya e Somalia affrontano una grave insicurezza alimentare che coinvolge 23 milioni di persone. In Somalia, 8,25 milioni di persone necessitano di aiuti urgenti, con milioni di bambini a rischio di grave malnutrizione. Dopo la siccità più lunga degli ultimi 40 anni, il sud della Somalia è stato colpito da inondazioni improvvise, costringendo migliaia di famiglie già sfollate a fuggire nuovamente. Cesvi sta intervenendo con terapie nutrizionali per neonati e madri, oltre a lavorare per migliorare le condizioni igienico-sanitarie in oltre 30 siti per sfollati.

Infine, le aree del mondo interessate da conflitti sono aumentate del 65% rispetto al 2021, raggiungendo una superficie di 6,15 milioni di chilometri quadrati, il doppio delle dimensioni dell’India. Questa espansione ha generato una crisi umanitaria senza precedenti.

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ILFATTOQUOTIDIANO – NEL 2023 LA SPESA MILITARE GLOBALE HA RAGGIUNTO I 2.443 MILIARDI DI DOLLARI (+6,8% RISPETTO AL 2022)

Nel 2023, la spesa militare globale ha raggiunto un record storico di 2.443 miliardi di dollari, segnando un incremento del 6,8% rispetto all’anno precedente. Questo aumento è stato influenzato principalmente dai conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, ma anche da tensioni in altre aree come Sudan e Myanmar. Gli Stati Uniti continuano a detenere la quota maggiore della spesa mondiale, pari a 916 miliardi di dollari, seguiti da paesi come la Cina e il Regno Unito. A livello globale, il fatturato dell’industria della difesa ha sfiorato i 615 miliardi di euro nel 2023, con un incremento del 9,8% rispetto al 2022. Le 40 principali multinazionali del settore rappresentano quasi il 60% del giro d’affari totale. In Italia, il settore della difesa è dominato da aziende a controllo statale come Leonardo e Fincantieri, che insieme rappresentano il 59% dei ricavi del comparto. Le aziende italiane della difesa sono caratterizzate da una struttura diversificata: al vertice ci sono i due grandi gruppi statali, seguiti da società di dimensioni più contenute specializzate in singoli apparati o sottosistemi, e infine da una rete di piccole e medie imprese. Nel 2023, le 100 maggiori aziende italiane della difesa hanno registrato un fatturato aggregato di 40,7 miliardi di euro. Di questo totale, circa il 49% è attribuibile al mercato della difesa. La forza lavoro nel settore supera le 181 mila unità, con oltre 54 mila persone impiegate specificamente nella difesa. Il valore aggiunto attribuibile all’industria della difesa è stimato attorno allo 0,3% del PIL italiano.

SCENARIECONOMICI – NEL 2023, LE PRINCIPALI POTENZE NUCLEARI DEL MONDO HANNO SPESO 91 MILIARDI IN ARMI ATOMICHE

Nel 2023, le principali potenze nucleari del mondo hanno incrementato notevolmente le loro spese per le armi nucleari, raggiungendo un totale di 91,4 miliardi di dollari secondo la Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN). Questo rappresenta un aumento del 13,4% rispetto all’anno precedente. Gli Stati Uniti hanno guidato la classifica con una spesa nucleare record di 51,5 miliardi di dollari, seguiti dalla Cina con 11,9 miliardi e dalla Russia con 8,3 miliardi di dollari. La Gran Bretagna ha speso 8,1 miliardi di dollari, mentre la Francia ha destinato 6,1 miliardi di dollari e l’India 2,7 miliardi di dollari. Pakistan, Israele e Corea del Nord hanno speso circa 1 miliardo di dollari ciascuno. ICAN ha evidenziato che gran parte di questi fondi è stata utilizzata per modernizzare e aggiornare le armi nucleari esistenti, sebbene alcune nazioni abbiano anche investito nella crescita del proprio arsenale. Fondata nel 2007, ICAN è una coalizione internazionale di organizzazioni civili impegnate nell’eliminazione delle armi nucleari, promuovendo trattati internazionali che ne vietino l’uso. ICAN ha chiesto ai Paesi con le spese più elevate di unirsi ai circa 100 firmatari del Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari. Tuttavia, ha anche sottolineato come l’aumento delle spese in questo settore possa rappresentare una minaccia globale anziché migliorare la sicurezza internazionale. Il rapporto di ICAN ha inoltre evidenziato che le principali aziende di sviluppo e manutenzione di armi nucleari hanno generato entrate significative nel 2023, con 31 miliardi di dollari provenienti da contratti esistenti e nuovi. Si prevede che questi contratti porteranno a una spesa complessiva di 335 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. ICAN ha sollevato preoccupazioni riguardo all’influenza del settore delle armi nucleari sui governi tramite lobbying e finanziamenti a think tank. Le grandi aziende di difesa americane come Boeing, Lockheed Martin, General Dynamics, RTX Corp., Northrop Grumman e Honeywell hanno speso una parte significativa dei 118 milioni di dollari destinati al lobbying da parte dell’industria in Francia e negli Stati Uniti. In Europa, Airbus e BAE Systems hanno guidato le spese di lobbying nel settore delle armi nucleari. Nel 2023, secondo il rapporto di ICAN, le potenze nucleari hanno aumentato significativamente la spesa per il loro arsenale di armi atomiche del 34% negli ultimi cinque anni, mentre continuano a modernizzare le loro riserve in un contesto di crescenti tensioni geopolitiche. Questo aumento è avvenuto parallelamente a uno sviluppo positivo nel settore commerciale nucleare, spinto dalle nazioni che cercano di rafforzare la sicurezza energetica in risposta alla crisi globale innescata dalla guerra in Ucraina. A marzo, 34 Paesi, inclusi gli Stati Uniti, hanno promesso di aumentare la loro produzione nucleare per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili in un contesto di transizione energetica. Rafael Grossi, capo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, ha sottolineato l’importanza dell’energia nucleare nel mix energetico globale durante il primo Vertice sull’Energia Nucleare a Bruxelles. Negli Stati Uniti, il settore nucleare ha ricevuto un sostegno senza precedenti dal governo federale. Aziende come Cameco e Denison Mines hanno visto un aumento delle loro attività dopo l’annuncio che il governo americano avvierà gare d’appalto per un valore di 3,4 miliardi di dollari di combustibile per reattori nucleari prodotto localmente. Il Presidente Biden ha recentemente firmato un divieto sulle importazioni di uranio arricchito proveniente dalla Russia, sbloccando circa 2,7 miliardi di dollari di finanziamenti destinati a costruire l’industria del combustibile nucleare statunitense. Centrus Energy Corp., tra le altre, concorrerà per questo finanziamento. Tre anni fa, la Commissione di regolamentazione nucleare degli Stati Uniti (NRC) ha approvato la produzione di uranio a basso arricchimento ad alto dosaggio (HALEU) presso l’impianto di arricchimento di Centrus a Piketon, Ohio, rendendo l’azienda la prima nel mondo occidentale al di fuori della Russia a farlo. Il HALEU è il combustibile utilizzato nei piccoli reattori modulari (SMR) promossi dall’amministrazione Biden. Inoltre, il governo federale statunitense ha accettato di fornire un prestito di 1,5 miliardi di dollari per riavviare una centrale nucleare nel Michigan sud-occidentale, ribaltando i piani precedenti di smantellamento. Questo sarà il primo impianto nucleare negli Stati Uniti a essere riattivato dopo essere stato dismesso. In California, le autorità di regolamentazione hanno esteso l’autorizzazione all’operatività dell’impianto di Diablo Canyon fino al 2030 anziché al 2025, facilitando la transizione dello Stato verso le fonti di energia rinnovabili. Pacific Gas & Electric, proprietaria dell’impianto, ha attribuito il successo di questo prolungamento al supporto federale che ha aiutato a rimborsare un prestito statale.

ILSOLE24ORE – LE INDUSTRIE EUROPEE CHE PRODUCONO ARMI HANNO VISTO AUMENTARE DEL 10,4% I RICAVI E DEL 55,1% GLI UTILI NETTI

Nel 2023, le industrie europee del settore militare hanno registrato un notevole aumento del fatturato, raggiungendo i 200 miliardi di euro e un incremento degli utili del 55%. Questo boom economico è stato innescato principalmente dagli aumentati investimenti militari conseguenti all’invasione russa dell’Ucraina e dal conflitto Israele-Hamas. Le 13 principali aziende europee operanti nel settore hanno visto un aumento del 10,4% nei ricavi, portandoli da 180,3 a 198,99 miliardi di euro. Anche gli utili netti sono aumentati del 55,1%, passando da 9 miliardi nel 2022 a 13,95 miliardi. D’altra parte, le 5 grandi aziende statunitensi del settore hanno avuto un aumento dei ricavi complessivi del 7,3%, raggiungendo 295,85 miliardi di dollari, con profitti netti che sono cresciuti del 7,15%, da 13,126 a 14,065 miliardi di dollari. Questi numeri riflettono l’impatto dei conflitti internazionali sulla domanda di armamenti. In Europa, la maggior parte delle aziende del settore ha registrato profitti, con Fincantieri come unica eccezione. Leonardo, il principale gruppo italiano nel settore aerospaziale e della difesa, ha visto un aumento dei ricavi del 3,9%, raggiungendo i 15,29 miliardi di euro, e un miglioramento dell’utile operativo del 12,9%. Tuttavia, l’utile netto è diminuito del 29%, principalmente a causa di svalutazioni e altre perdite legate alla dismissione di alcune attività. Tra le aziende europee che hanno ottenuto i migliori risultati economici nel 2023 ci sono Rheinmetall, BAE Systems e Saab. Rheinmetall, un colosso tedesco degli armamenti terrestri, ha più che quintuplicato il valore delle azioni da fine 2021, registrando una crescita significativa. La britannica BAE Systems ha visto un aumento dei ricavi dell’8,6% e un significativo incremento dell’utile netto. Infine, la svedese Saab ha registrato un aumento del 53,9% dell’utile netto, evidenziando il prosperare del settore della difesa in Europa nel corso del 2023.

ANSA – LA SPESA MILITARE GLOBALE HA RAGGIUNTO LA CIFRA RECORD DI 2,4 TRILIONI DI DOLLARI NEL 2023

La spesa militare globale ha registrato un aumento senza precedenti nel 2023, raggiungendo un massimo storico di 2,4 trilioni di dollari, secondo un nuovo rapporto dell’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (Sipri). Il Sipri ha evidenziato che la spesa militare è aumentata in tutto il mondo, con incrementi significativi soprattutto in Europa, Medio Oriente e Asia. Il ricercatore del Sipri, Nan Tian, ha sottolineato che questo incremento rappresenta un punto di svolta, poiché per la prima volta dal 2009 si è osservato un aumento della spesa in tutte e cinque le regioni geografiche. L’aumento della spesa militare nel 2023 è stato del 6,8%, il che rappresenta il tasso di crescita annuale più elevato dal 2009. Tian ha commentato che questo aumento riflette il peggioramento della situazione di pace e sicurezza nel mondo, senza che vi sia una regione dove le condizioni siano migliorate. Stati Uniti, Cina, Russia, India e Arabia Saudita sono stati i cinque principali paesi in termini di investimenti militari. Secondo il Sipri, il prolungarsi della guerra in Ucraina ha contribuito all’aumento della spesa militare da parte di Kiev, della Russia e di altri paesi europei. In particolare, Mosca ha aumentato la sua spesa del 24%, raggiungendo i 109 miliardi di dollari nel 2023.

L’INDIPENDENTE – PER LA PRIMA VOLTA L’UE USERA’ FONDI COMUNI PER LA PRODUZIONE DI ARMI

Il Commissario UE all’Industria, Thierry Breton, ha annunciato una decisione storica della Commissione Europea: l’utilizzo di 500 milioni di euro del bilancio dell’UE per sostenere la produzione di armamenti nel continente. 31 progetti industriali per la difesa saranno finanziati dall’UE, coinvolgendo diverse nazioni tra cui Grecia, Francia, Polonia, Norvegia, Italia, Germania, Finlandia, Slovacchia, Lettonia, Romania, Repubblica Ceca, Spagna e Slovacchia. Tali progetti mirano a incrementare la produzione di esplosivi, polvere da sparo, munizioni, bossoli, involucri, razzi e certificazioni di collaudo. L’Italia è coinvolta in due di questi progetti, con la partecipazione di aziende come la Simmend Difesa S.p.A. e la Baschieri e Pellagri S.p.A., che si occuperanno della produzione di polveri da inserire nei proiettili. Tuttavia, nonostante questo investimento, l’UE si trova ancora ad affrontare sfide significative nel campo della produzione di armamenti. I fondi stanziati e i progetti in corso risultano insufficienti per competere con la Russia, che ha dimostrato di produrre munizioni a ritmi molto più elevati. Anche rispetto alle spese militari di altre nazioni, come gli Stati Uniti, l’UE si trova in una posizione di svantaggio. Il programma di produzione di munizioni coordinato dall’UE ha già riscontrato difficoltà, con scadenze non rispettate e quantità di proiettili consegnati al di sotto delle aspettative. Questo ha portato alcuni paesi, come la Francia, a considerare l’acquisto di munizioni sul mercato globale anziché affidarsi esclusivamente alla produzione interna dell’UE.

ANSA – LA COMMISSIONE UE PRESENTERA’ UNA PROPOSTA SU COME UTILIZZARE I FONDI RUSSI CONGELATI

La Commissione Europea ha deciso di presentare una proposta questa settimana su come l’Europa potrebbe utilizzare i fondi russi congelati, nonostante il parere contrario della Banca Centrale Europea (BCE). Si tratta di una proposta che riguarda esclusivamente gli interessi e i profitti generati dagli investimenti dei fondi russi, noti come “profitti inaspettati”. Questa mossa è considerata una rottura con le norme finanziarie internazionali e ha sollevato preoccupazioni sulla sicurezza del sistema finanziario europeo. Attualmente, circa 260 miliardi di euro sono stati congelati nelle riserve della Banca Centrale Russa dopo l’attacco russo all’Ucraina due anni fa, di cui circa 200 miliardi sono depositati presso Euroclear, una stanza di compensazione belga. Questi fondi generano interessi e profitti dagli investimenti, che a inizio 2024 hanno già raggiunto i 4,4 miliardi di euro. La BCE ha espresso chiaramente che l’accesso a queste riserve potrebbe danneggiare la reputazione dell’Eurozona come rifugio sicuro per gli investitori internazionali e violare le norme finanziarie internazionali. Tuttavia, la Commissione Europea sta procedendo con la proposta, sostenendo che questi profitti non appartengono allo Stato russo e potrebbero essere utilizzati per sostenere l’Ucraina. L’UE intende trovare un modo legale per utilizzare questi fondi, e a gennaio gli Stati membri hanno deciso di bloccare i profitti su un conto apposito. Ora si sta procedendo con la procedura su come accedervi, nonostante le possibili implicazioni legali e internazionali. Si tratta di una decisione controversa che potrebbe avere conseguenze significative sulle relazioni finanziarie internazionali e sollevare domande sulla legalità dell’atto, soprattutto considerando il parere contrario della BCE.

ILPOST – LA COMMISSIONE UE PRESENTA UN PIANO PER L’INDUSTRIA DELLA DIFESA DA 1,5 MILIARDI DI EURO

La Commissione Europea ha presentato martedì una proposta per la creazione di un Programma industriale europeo di difesa da 1,5 miliardi di euro per il periodo 2025-2027. Questo programma, finanziato dal bilancio dell’Unione Europea, mira a rafforzare e rendere più competitiva l’industria europea della difesa, un settore di crescente importanza, specialmente dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. La proposta fa parte di una strategia più ampia per l’industria europea della difesa, con l’obiettivo di garantire la disponibilità e la fornitura tempestiva di equipaggiamento militare. Invita i 27 Stati membri a collaborare nell’acquisto di almeno il 40% dell’equipaggiamento militare entro il 2030 e ad assicurare che il valore degli scambi commerciali tra Stati membri nel settore della difesa rappresenti almeno il 35% del mercato totale dell’Unione. La proposta include anche una maggiore collaborazione con l’Ucraina e una più stretta cooperazione con gli altri alleati della NATO. Thierry Breton, Commissario europeo per il Mercato interno e i servizi, ha dichiarato durante una conferenza stampa che l’Unione Europea deve considerare l’entrata in una “modalità di economia di guerra”.

SCENARIECONOMICI – LA CINA HA LA CAPACITA’ DI MONITORARE TUTTE LE FREQUENZE RADIO CONTEMPORANEAMENTE

Un gruppo di scienziati cinesi ha annunciato di aver sviluppato una tecnologia di monitoraggio senza soluzione di continuità delle frequenze radio, aprendo nuove frontiere nella guerra elettronica e nella sicurezza nazionale. Questa innovazione consentirà all’esercito cinese di rilevare e neutralizzare i segnali nemici in tempo reale, rivoluzionando le dinamiche dei futuri conflitti. Secondo quanto riportato dai ricercatori dell’Università di Pechino, questa nuova capacità di monitoraggio consentirà alle forze armate cinesi di identificare e analizzare simultaneamente ogni fonte elettromagnetica sul campo di battaglia, dalle comunicazioni radioamatoriali ai satelliti per le telecomunicazioni. Utilizzando un’ampia larghezza di banda e una tecnologia avanzata di elaborazione del segnale, l’esercito cinese potrà individuare e sopprimere i segnali nemici con una rapidità e una precisione senza precedenti. L’articolo scientifico, pubblicato sulla rivista Radio Communications Technology, descrive l’apparecchiatura per il monitoraggio dello spettro elettromagnetico come “di piccole dimensioni, con elevate prestazioni e basso consumo energetico”. Questa tecnologia segna un notevole progresso rispetto ai metodi tradizionali di monitoraggio e analisi delle frequenze radio, consentendo all’esercito cinese di ottenere informazioni critiche in tempo reale durante i combattimenti. Uno dei principali vantaggi di questa tecnologia è la sua capacità di individuare segnali nemici anche in mezzo a un rumore di fondo intenso, consentendo all’esercito cinese di mantenere un’alta precisione nel rilevare e neutralizzare le minacce nemiche. Gli scienziati cinesi hanno impiegato una combinazione di nuovi chip per l’elaborazione del segnale e intelligenza artificiale per migliorare l’efficienza e l’accuratezza del sistema, consentendo una rapida identificazione dei segnali nemici e una risposta tempestiva. Questa tecnologia ha il potenziale per trasformare radicalmente il modo in cui vengono condotti i futuri conflitti, con l’esercito cinese che guadagna un vantaggio significativo nella guerra elettronica e nella sicurezza nazionale. Tuttavia, i dettagli esatti sulle capacità operative di questa tecnologia rimangono classificati, con gli esperti che sottolineano la necessità di ulteriori ricerche e analisi per valutare appieno le implicazioni di questa innovazione.

GENOCIDIO A GAZA

WIRED – IL NUOVO RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL CHE ACCUSA ISRAELE DI GENOCIDIO A GAZA

Un rapporto di Amnesty International, intitolato “Ti senti come se fossi un subumano: il genocidio di Israele contro i palestinesi a Gaza”, accusa Israele di atti genocidari nei confronti della popolazione palestinese a Gaza. Pubblicato il 5 dicembre 2024, il documento sostiene che Israele abbia deliberatamente colpito infrastrutture civili e imposto condizioni di vita insostenibili con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, la comunità palestinese. Secondo Amnesty, dal 7 ottobre 2023, giorno in cui Hamas ha attaccato Israele, quest’ultimo ha intrapreso una campagna militare nella Striscia di Gaza che include: Attacchi contro civili e infrastrutture vitali, tra cui scuole, ospedali e rifugi; Trasferimenti forzati della popolazione palestinese; Ostacoli alla distribuzione di aiuti umanitari. Amnesty sottolinea che queste azioni violano la Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio del 1948, che definisce il genocidio come atti commessi con l’intento di distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso attraverso uccisioni, danni fisici o mentali, imposizione di condizioni di vita insostenibili, impedimento delle nascite o trasferimenti forzati di bambini. Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty, ha dichiarato: “Le nostre risultanze devono servire da campanello d’allarme per la comunità internazionale: questo è genocidio. E deve finire subito”. Il rapporto si apre con la testimonianza di Mohamed, un uomo di 42 anni che vive a Deir al-Balah con tre figli: “Qui è come un’apocalisse. Devi proteggere i tuoi figli dagli insetti, dal caldo, e non c’è acqua pulita né servizi igienici, mentre i bombardamenti non si fermano mai. Ti senti come un subumano”. La ricerca si basa su 212 interviste a sopravvissuti, operatori sanitari e autorità locali, oltre che su immagini satellitari e video analizzati e geolocalizzati. Amnesty afferma di aver cercato un dialogo con le autorità israeliane, senza ottenere risposta. Amnesty ha analizzato 15 attacchi aerei israeliani che avrebbero colpito edifici residenziali, una chiesa e un mercato, causando 334 vittime civili, tra cui 141 bambini. Secondo il rapporto: “Non abbiamo trovato alcuna prova che uno qualsiasi degli attacchi fosse diretto a un obiettivo militare”. Gli attacchi sono stati condotti con bombe fino a 900 kg, spesso di notte e in aree definite “sicure” da Israele. Amnesty conclude che tali atti costituiscono “uccisioni di membri del gruppo” e “gravi danni fisici e mentali”, vietati dalla Convenzione sul genocidio. Il rapporto denuncia che la popolazione di Gaza vive in stato di carestia, con diffusione di malattie e malnutrizione, aggravate dalla distruzione delle infrastrutture, dal blocco degli aiuti umanitari e dagli sfollamenti forzati. Amnesty ha raccolto 102 dichiarazioni di politici e militari israeliani che alludono alla distruzione della popolazione palestinese. Callamard ha affermato: “Non dobbiamo vergognarci di usare il termine genocidio per quello che sta facendo Israele a Gaza”. La Corte Penale Internazionale ha emesso mandati d’arresto per Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant per crimini contro l’umanità. Inoltre, Paesi come Sudafrica, Spagna e Turchia hanno avviato azioni legali contro Israele per violazione della Convenzione sul genocidio.

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ANSA – UN NUOVO RAPPORTO DELL’ONU ACCUSA ISRAELE DI GENOCIDIO A GAZA

Le Nazioni Unite hanno pubblicato un rapporto che accusa Israele di condurre azioni che rientrano nelle caratteristiche del genocidio nella Striscia di Gaza tra ottobre 2023 e luglio 2024. Il documento è stato redatto dal Comitato speciale per indagare sulle pratiche israeliane che incidono sui diritti umani, istituito nel 1968, e si basa su un’analisi dettagliata delle politiche e pratiche israeliane nel territorio. Secondo il rapporto, “i civili sono stati indiscriminatamente e in modo sproporzionato uccisi in massa a Gaza”. Nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme Est, “i coloni israeliani, il personale militare e di sicurezza hanno continuato impunemente a violare i diritti umani e il diritto umanitario”. Questi fatti si collocano nella stessa linea del rapporto di ottobre 2024 della relatrice speciale dell’ONU per i Territori Palestinesi Occupati, Francesca Albanese, intitolato Il genocidio come cancellazione coloniale. Entrambi i documenti evidenziano come Israele stia sistematicamente causando la morte della popolazione palestinese attraverso una combinazione di pratiche violente e coercitive. Tra le accuse più gravi, il rapporto ONU denuncia “una massiccia e indiscriminata campagna di bombardamenti”, l’uso di tecnologie basate sull’intelligenza artificiale (IA) con supervisione umana minima, e un crescente controllo sui media per censurare informazioni sulla situazione. Il rapporto afferma che Israele, attraverso l’assedio di Gaza e l’ostruzione degli aiuti umanitari, “sta intenzionalmente causando morte, fame e gravi ferite, usando la fame come metodo di guerra”. Si legge nel documento: “Distruggendo i sistemi vitali di acqua, servizi igienici e cibo e contaminando l’ambiente, Israele ha creato un mix letale di crisi che infliggerà gravi danni alle generazioni future”. La popolazione palestinese è stata privata di acqua potabile, cibo e servizi igienici a causa dei bombardamenti, portando a una catastrofe umanitaria con epidemie e crisi ambientali. Un altro aspetto evidenziato è l’utilizzo di sistemi di IA, descritti come strumenti per “decidere in pochi secondi quali palestinesi uccidere, senza supervisione umana”. Tra questi sistemi figurano “Lavender” e “Habsora” (Il Vangelo). Il primo identifica automaticamente possibili militanti, mentre il secondo designa edifici come obiettivi. Il rapporto sottolinea: “L’uso da parte dell’esercito israeliano di attacchi basati sull’intelligenza artificiale… sottolinea il disprezzo di Israele nei confronti del suo obbligo di distinguere tra civili e combattenti”. Un ex ufficiale dell’intelligence ha descritto questi sistemi come una «fabbrica di omicidi di massa». La censura è un elemento chiave del rapporto. Israele avrebbe bloccato deliberatamente l’accesso alle informazioni globali, prendendo di mira giornalisti e media che cercano di documentare la situazione. Nel maggio 2024, il governo israeliano ha ordinato la chiusura di Al-Jazeera, una delle poche emittenti con corrispondenti sul campo a Gaza. Il rapporto denuncia che Israele non solo impedisce l’ingresso di beni essenziali, ma prende di mira le organizzazioni umanitarie e i loro operatori. Anche l’UNRWA e altri enti delle Nazioni Unite sono stati colpiti. Il rapporto ONU sottolinea che le azioni di Israele minacciano il sistema legale internazionale e stabiliscono un “pericoloso precedente” che potrebbe legittimare ulteriori atrocità. Secondo il Comitato: “Gli obblighi stabiliti dalla legge internazionale… sono minacciati dalle violazioni di Israele e dal fatto che altri Stati non riconoscono la sua responsabilità”. Il documento sarà presentato alla settantanovesima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 novembre 2024.

L’INDIPENDENTE – IL NUOVO RAPPORTO SUL GENOCIDIO A GAZA PRESENTATO ALL’ONU

Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i Territori Occupati Palestinesi, ha descritto nel suo nuovo rapporto, intitolato Genocide as Colonial Erasure, quello che considera un genocidio in corso contro il popolo palestinese. Nelle 32 pagine del documento, il secondo presentato alla commissione ONU dal 7 ottobre 2023, Albanese denuncia un massacro organizzato e deliberato, che accusa Israele di compiere con l’obiettivo di cancellare il popolo palestinese e colonizzarne i territori. Il rapporto fornisce dettagli su fatti, nomi e responsabili, e Albanese suggerisce che l’ONU consideri la sospensione di Israele come Stato membro. Tra le accuse mosse contro Israele, Albanese evidenzia l’uccisione sistematica di civili, il blocco degli aiuti, l’indebolimento della popolazione tramite fame e malattie, la distruzione delle infrastrutture, e l’uso di torture sui detenuti, definendo queste azioni come misure per “provocare la distruzione fisica” dei palestinesi. L’esperta precisa che il termine “genocidio” è molto delicato e non dovrebbe essere usato a sproposito, ma in questo caso è “il più corretto”. Albanese riferisce che circa 44mila persone sono morte a Gaza e il 90% della popolazione è stata costretta a lasciare le proprie case. Inoltre, alcuni esponenti israeliani avrebbero incoraggiato il proprio popolo a “ritornare a Gaza” e “ricostruire le colonie (israeliane) smantellate nel 2005”. La relatrice sottolinea anche il rischio che il genocidio si estenda agli altri territori palestinesi. Nel rapporto si legge: “La violenza si è diffusa anche oltre Gaza”, con le forze israeliane e alcuni coloni che avrebbero intensificato le operazioni di pulizia etnica e di apartheid in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est. Il documento riporta inoltre un aumento delle violenze da parte dell’esercito e dei coloni nei Territori Occupati Palestinesi dal 7 ottobre, con numerosi morti e arresti. Nel report, Albanese denuncia la reale intenzione dello Stato israeliano, sostenendo che le giustificazioni di autodifesa e lotta al terrorismo nascondano in realtà un piano di pulizia etnica volto a completare la colonizzazione della Palestina e a creare il “grande Stato di Israele”. Durante il discorso alla Commissione ONU, Albanese ha parlato anche delle responsabilità degli Stati occidentali, accusandoli di permettere a Israele di agire senza conseguenze: “L’impunità garantita a Israele gli ha permesso di diventare un violatore seriale del diritto internazionale”. Ha inoltre definito “un terribile precedente” l’estensione del conflitto in Libano e l’escalation della violenza nella regione contro le stesse Nazioni Unite, citando tra gli episodi la messa al bando dell’agenzia per i profughi palestinesi UNRWA e gli attacchi alle forze di pace UNIFIL. Albanese ha avvertito che, “se lasciati impuniti”, questi atti potrebbero indurre altri Stati ad azioni simili contro l’ONU. La relatrice ha quindi chiesto di valutare un “passo esemplare”, suggerendo la sospensione di Israele dalle Nazioni Unite, in quanto Stato membro che “viola persistentemente” le norme dell’organizzazione internazionale. Numerose reazioni sono seguite alla pubblicazione del rapporto. L’ambasciatrice statunitense presso l’ONU, Linda Thomas-Greenfield, ha criticato Albanese, affermando che “le Nazioni Unite non dovrebbero tollerare l’antisemitismo da parte di un funzionario ONU incaricato di promuovere i diritti umani”, sostenendo che Albanese non sia adatta al ruolo. Anche l’organizzazione UN Watch, legata alla lobby filo-israeliana, ha espresso critiche, promuovendo una petizione per rimuovere Albanese dal suo incarico. La petizione la accusa di aver “diffuso antisemitismo e la propaganda di Hamas” e di sostenere il “terrorismo jihadista”. Nonostante siano accuse senza fondamento, la petizione è stata indirizzata a numerosi leader mondiali e sta ricevendo una significativa attenzione mediatica. In Italia, l’associazione Setteottobre, nata per “difendere Israele” e “opporsi al boicottaggio”, ha chiesto al governo italiano di schierarsi contro la relatrice e di sostenere la sua rimozione da ogni incarico presso le Nazioni Unite. Invece di esaminare i contenuti dei rapporti presentati da Albanese o discutere la sua richiesta di espulsione di Israele dall’ONU per porre fine alla guerra e al genocidio, molte risposte si sono concentrate sul tentativo di screditare e allontanare la relatrice dalle Nazioni Unite, accusandola di antisemitismo e di sostegno al terrorismo per evitare ogni discussione. Albanese, durante la conferenza stampa, ha dichiarato: “Non solo vediamo il passato riprodurre se stesso, ora nei Territori Occupati Palestinesi vediamo la stessa indifferenza, la stessa abilità di guardare da un’altra parte di molti Stati membri della comunità internazionale. Vediamo il collasso totale dell’ordine internazionale, che era premessa a quel ‘mai più’ che era stato promesso dopo la Seconda Guerra Mondiale, in particolare dopo l’olocausto e il genocidio del popolo ebraico”. Ha concluso dicendo che quel “mai più” è ormai stato “seppellito per sempre” da questo genocidio.

L’INDIPENDENTE – VON DER LEYEN DENUNCIATA ALLA CORTE INTERNAZIONALE PER COMPLICITA’ NEL “GENOCIDIO DI GAZA”

L’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Ginevra (GIPRI) ha presentato una comunicazione alla Corte penale internazionale, sollecitando un’indagine su Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, per presunta complicità in crimini di guerra in Palestina. Il GIPRI, insieme al Collectif de Juristes pour le Respect des Engagements Internationaux de la France (CJRF) e una coalizione di cittadini internazionali, ritiene che il “sostegno incondizionato” della presidente a Israele, sul piano militare, economico, diplomatico e politico, abbia contribuito a “crimini contro l’umanità” e al “genocidio” perpetrato dalle forze armate israeliane nei territori occupati. Il GIPRI sostiene che von der Leyen abbia “aiutato, spalleggiato e assistito” nella commissione di tali crimini, fornendo anche i mezzi per commetterli, in base all’articolo 25(3)(c) dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale. La presidente della Commissione europea, non protetta dall’immunità funzionale secondo l’articolo 27 dello Statuto, sarebbe complice di violazioni degli articoli 6, 7 e 8 dello stesso Statuto attraverso azioni e omissioni. Secondo il GIPRI, nel periodo 2019-2023, Israele è stato il terzo principale destinatario di armi fornite da un paese dell’UE, la Germania, quinto esportatore di armi al mondo. Von der Leyen è accusata di aver favorito la fornitura di mezzi all’IDF, sostenendo Israele anche a livello economico e finanziario, rifiutando di sospendere l’Accordo di Associazione UE-Israele e promuovendo nuovi strumenti di cooperazione durante l’attacco israeliano a Gaza. La presidente è accusata anche di “sostegno diplomatico” al governo israeliano, in risposta alla richiesta del Primo Ministro israeliano Netanyahu di garantire libertà d’azione a Israele, e di “sostegno politico” con dichiarazioni ufficiali, fornendo un supporto morale all’IDF. Il GIPRI afferma che von der Leyen non sia intervenuta tempestivamente per prevenire il genocidio, come previsto dalla Convenzione sul genocidio del 1948. Si sostiene inoltre che la presidente fosse consapevole delle violazioni del diritto internazionale umanitario da parte dell’IDF nella Striscia di Gaza, ampiamente documentate da rapporti delle Nazioni Unite. Un punto cruciale della memoria è una comunicazione del 14 febbraio indirizzata a von der Leyen dal primo ministro spagnolo Pedro Sanchez e dall’allora primo ministro irlandese Leo Varadkar, che esprimeva forti preoccupazioni per le presunte violazioni del diritto internazionale a Gaza e l’urgenza di agire.

SKYTG24 – LA CPI CHIEDE L’ARRESTO DI NETANYAHU E DEI LEADER DI HAMAS

La Corte Penale Internazionale (CPI) ha richiesto mandati d’arresto per il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il Ministro della Difesa Yoav Gallant e i leader di Hamas Yahya Sinwar, Mohammed Deif e Ismail Haniyeh. Questa decisione, presa dal Procuratore Capo Karim Khan, accusa Netanyahu e Gallant di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, mentre Sinwar, Deif e Haniyeh sono accusati di sterminio, omicidio, presa di ostaggi, stupro e violenza sessuale. La richiesta di mandati d’arresto ha scatenato reazioni di sdegno sia in Israele che tra i palestinesi. Il Ministro degli Esteri israeliano Israel Katz ha condannato l’equiparazione tra Netanyahu e Sinwar, definendola una “vergogna storica”. Hamas e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) hanno accusato la CPI di “confondere la vittima con il carnefice”. Affinché i mandati d’arresto diventino effettivi, dovranno essere approvati da un gruppo di giudici della CPI. In caso di conferma, i sospetti saranno convocati volontariamente. Se non si presenteranno, potranno essere emessi mandati di arresto veri e propri. Tuttavia, Netanyahu, Gallant e i leader di Hamas potranno essere arrestati solo se si troveranno in uno dei 124 Paesi che hanno aderito allo Statuto di Roma, che ha istituito la CPI. Israele non ha mai ratificato questo statuto. La CPI ha giurisdizione sui territori palestinesi perché l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha aderito alla Corte nel 2015. Tra gli Stati non membri della CPI, oltre a Israele, ci sono anche Stati Uniti, Russia, Cina, India e Ucraina. Spetta ai singoli Paesi membri arrestare gli individui contro cui la Corte ha emesso mandati d’arresto. Se coinvolti, Netanyahu e Gallant rischiano l’arresto nei Paesi alleati.

L’INDIPENDENTE – IL NICARAGUA ACCUSA LA GERMANIA DI FAVOREGGIAMENTO DEL GENOCIDIO A GAZA

Il Nicaragua ha sollevato pesanti accuse contro la Germania presso la Corte Internazionale di Giustizia (Aia), sostenendo che il paese europeo stia agevolando un presunto genocidio a Gaza e violando la Convenzione sul genocidio del 1948 tramite il fornimento di aiuti militari e finanziari a Israele. Le audizioni sono state avviate lunedì e oggi è toccato alla difesa, che ha respinto queste accuse come una “deliberata distorsione” della realtà. Tuttavia, il caso solleva interrogativi sul coinvolgimento della Germania nel conflitto israelo-palestinese. Secondo il Nicaragua, la Germania sarebbe consapevole del “grave rischio di genocidio” nella regione, in particolare a Gaza, e avrebbe continuato a fornire sostegno militare ad Israele. Il Nicaragua ha chiesto alla Corte di emettere ordini di emergenza per sospendere immediatamente gli aiuti militari ad Israele e garantire che le forniture esistenti non vengano utilizzate illegalmente. Tuttavia, la Germania ha negato qualsiasi violazione della Convenzione sul genocidio o del diritto internazionale, sostenendo di aver bilanciato gli interessi di entrambe le parti coinvolte nel conflitto. Le accuse del Nicaragua sembrano essere supportate da recenti dati sui flussi di armi e sulle votazioni internazionali della Germania. Secondo il ministero dell’Economia tedesco, le esportazioni di armi tedesche ad Israele sono aumentate in modo significativo nel 2023, raggiungendo una cifra 10 volte superiore rispetto all’anno precedente. Inoltre, la Germania ha recentemente votato contro una risoluzione delle Nazioni Unite che chiedeva un embargo sulle armi ad Israele per prevenire violazioni del diritto internazionale umanitario e abusi dei diritti umani. Tuttavia, la Germania ha respinto le accuse del Nicaragua come prive di fondamento, sottolineando il suo impegno per i diritti del popolo palestinese. Tania von Uslar-Gleichen, commissario per i diritti umani presso il ministero degli Esteri tedesco, ha dichiarato che le accuse sono una “distorsione” della realtà. Nonostante ciò, il caso solleva preoccupazioni sul ruolo della Germania nel conflitto israelo-palestinese e sulla sua responsabilità internazionale. Il caso del Nicaragua è il terzo presentato all’Aia negli ultimi mesi riguardante il conflitto a Gaza. Sia il Sudafrica che la Corte internazionale di giustizia hanno adottato misure per affrontare la situazione, compresi ordini per garantire l’accesso agli aiuti umanitari e per evitare violazioni dei diritti dei palestinesi. La decisione finale della Corte sull’accusa del Nicaragua potrebbe avere implicazioni significative per il coinvolgimento della comunità internazionale nel conflitto israelo-palestinese.

L’INDIPENDENTE – IL RAPPORTO ONU CHE SPIEGA PERCHE’ QUELLO DI GAZA E’ UN GENOCIDIO

Il 26 marzo, durante una sessione del Consiglio per i diritti umani dell’ONU a Ginevra, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, ha presentato un rapporto dettagliato intitolato “Anatomia di un genocidio”. In questo documento, Albanese ha esaminato attentamente le azioni di Israele nella Striscia di Gaza, evidenziando prove che suggeriscono il perpetrare di un genocidio nei confronti dei palestinesi. Secondo il rapporto, Israele avrebbe commesso almeno tre delle azioni proibite dalla Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio. Queste includono l’uccisione di membri del gruppo etnico, la procura di danni fisici o mentali gravi ai membri del gruppo e la creazione di condizioni di vita intenzionalmente disumane per il gruppo. Albanese ha sottolineato che l’obiettivo del genocidio non è stato solo quello di uccidere direttamente i membri del gruppo, ma anche quello di provocare danni psicologici e fisici a lungo termine, come descritto in precedenti giudizi internazionali. Il rapporto ha citato numerosi esempi di azioni israeliane che avrebbero contribuito al genocidio, tra cui bombardamenti su infrastrutture vitali come ospedali, case e edifici residenziali, nonché restrizioni all’accesso a risorse essenziali come acqua ed elettricità. Albanese ha anche analizzato le dichiarazioni di leader israeliani, evidenziando il loro presunto coinvolgimento nell’incitamento alla violenza contro i palestinesi e nella deumanizzazione del gruppo. In base alle conclusioni del rapporto, Albanese ha chiesto ai Paesi membri dell’ONU di adottare misure politiche ed economiche nei confronti di Israele al fine di porre fine al genocidio. Ha inoltre raccomandato l’avvio di un’indagine indipendente e trasparente sui presunti crimini umanitari perpetrati da Israele e ha proposto l’istituzione di una commissione speciale contro l’apartheid. Infine, Albanese ha suggerito di fornire assistenza economica all’UNRWA e di stabilire una presenza internazionale protettiva nei territori palestinesi occupati per fermare la violenza. Il rapporto di Albanese ha suscitato reazioni contrastanti, con Israele che ha respinto le accuse come “distorsioni oscene della realtà”.

ILPOST – UN ALTRO CASO DELLA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA CONTRO ISRAELE

La Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite ha avviato lunedì le udienze relative alle conseguenze legali dell’occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gerusalemme est. Il procedimento, scaturito da una risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU datata 31 dicembre 2022, coinvolge rappresentanti di oltre 50 paesi. L’obiettivo è esaminare lo status legale di questi territori e valutare le responsabilità di Israele e della comunità internazionale nelle presunte discriminazioni create dall’occupazione. Il caso, separato dalla causa per genocidio avviata dal Sudafrica contro Israele presso la stessa Corte, risale a prima della guerra a Gaza. La Corte non dovrà emettere una sentenza vincolante, ma un’opinione finalizzata a guidare legalmente i paesi membri dell’ONU. La risoluzione dell’Assemblea generale richiedeva di esaminare “l’occupazione, la colonizzazione e l’annessione” condotte da Israele nei territori occupati, inclusi gli sforzi per modificare la composizione demografica di Gerusalemme est e l’adozione di misure discriminatorie. I “territori occupati” si riferiscono principalmente alla Cisgiordania e a Gerusalemme Est, occupati da Israele dopo la guerra dei Sei giorni del 1967. L’ONU ha considerato questa occupazione come illegale, ma Israele sostiene che lo status di tali territori debba ancora essere stabilito attraverso futuri negoziati. Il processo di autonomia, inizialmente delineato dagli accordi di pace di Oslo nel 1993, è stato interrotto, con Israele che ha autorizzato il trasferimento di coloni nella Cisgiordania. La Striscia di Gaza, anche se Israele si è ritirato nel 2006, è considerata ancora una zona sotto il controllo israeliano, con la comunità internazionale che continua a definire Israele come una “potenza occupante” per il controllo dei confini e degli spazi aerei. I palestinesi affermano che l’occupazione, oltre ad essere illegale, crea un sistema di discriminazione sistematica, con due sistemi legali differenti nei territori occupati. L’Assemblea generale dell’ONU ha richiesto alla Corte di definire le conseguenze legali dell’occupazione, ma non è chiaro quali saranno le implicazioni di questa decisione. La Corte ascolterà le opinioni dei paesi partecipanti fino al 26 febbraio, e il verdetto potrebbe richiedere mesi.

RAINEWS – LA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA HA ORDINATO A ISRAELE DI “PREVENIRE ATTI DI GENOCIDIO” A GAZA

La Corte Internazionale di Giustizia ha emesso un ordine preliminare chiedendo ad Israele di adottare “tutte le misure in suo potere” per prevenire atti di genocidio nella Striscia di Gaza. La decisione è giunta in risposta alla causa presentata dal Sudafrica, sostenendo che le azioni dell’esercito israeliano costituiscano un genocidio contro il popolo palestinese. Nonostante l’ordine, la Corte non ha richiesto un cessate il fuoco. La Corte ha riconosciuto la “plausibilità” dell’accusa di genocidio, accettando le richieste del Sudafrica per misure provvisorie. Tra le disposizioni, Israele deve evitare violazioni della Convenzione sul genocidio, proteggendo i civili palestinesi da danni fisici o mentali. Inoltre, deve punire i cittadini israeliani che incitano al genocidio, consentire senza restrizioni l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza, e preservare prove per future indagini. Il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha respinto l’accusa come “oltraggiosa”, promettendo di difendere il paese. Il Ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha criticato l’accusa definendola “antisemita”. Gli Stati Uniti, alleati chiave di Israele, possono vetoare qualsiasi risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che possa far rispettare le decisioni della Corte. La Corte ha pianificato un riesame delle misure tra un mese. Nonostante le decisioni siano vincolanti in teoria, la loro attuazione è sfidata dalla mancanza di mezzi coercitivi. La causa completa sul genocidio richiederà anni per una sentenza. La decisione della Corte evidenzia la complessità e la sensibilità della situazione, riflettendo il dramma umanitario in corso a Gaza.

WIRED – ISRAELE A PROCESSO PER GENOCIDIO

La Corte Internazionale di Giustizia con sede a L’Aia ha iniziato le udienze sulla controversa accusa di genocidio mossa da Israele nei confronti del popolo palestinese. La richiesta è stata presentata dal Sudafrica a fine dicembre, sostenendo che Israele ha perpetrato atti di genocidio contro i palestinesi nella Striscia di Gaza. Il Sudafrica ha accusato Israele di compiere e potenzialmente continuare atti genocidi, sottolineando che l’azione di Hamas non giustifica le azioni di Israele. Tel Aviv ha contrattaccato definendo il Sudafrica come il “braccio giuridico” di Hamas e sottolineando gli attacchi terroristici infiltrati da Hamas in territorio israeliano. Il processo è stato definito dall’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett come il “caso Dreyfus del XXI secolo”, richiamando la condanna ingiusta di un militare ebreo francese nel 1894. L’Autorità Nazionale Palestinese ha ringraziato il Sudafrica, sperando in un esito giusto e criticando i paesi complici con Israele. L’Iran ha chiesto alla Corte di essere imparziale, mentre il Qatar ha proposto nuove trattative sugli ostaggi. Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, in visita in Egitto, ha ricevuto il rifiuto totale dei tentativi di espatrio dei palestinesi e l’affermazione dell’indiscutibilità del principio dei due Stati. Sul fronte, gli attacchi israeliani su Gaza continuano, con oltre 23.000 morti dall’ottobre. Durante la prima udienza, il Sudafrica ha evidenziato il drammatico impatto umanitario, citando statistiche come 48 madri e circa 200 bambini colpiti mediamente ogni giorno. La situazione resta critica, e la Corte dovrà esaminare attentamente le prove presentate da entrambe le parti.

AGENZIANOVA – GENOCIDIO A GAZA: CRESCE IL CONSENSO SULLA DENUNCIA DEL SUDAFRICA CONTRO ISRAELE MA GLI USA SI OPPONGONO

La Turchia e la Malesia hanno annunciato di aver aderito alla denuncia presentata dal Sudafrica contro Israele presso la Corte di Giustizia Internazionale (ICJ) per il genocidio in atto a Gaza. La Turchia, in particolare, ha affermato che “la morte di 22 mila palestinesi, la maggior parte dei quali donne e bambini, non può rimanere impunita”. L’ICJ ha fissato per l’11 gennaio la data per iniziare il processo contro Israele. Gli Stati Uniti, invece, si oppongono alla denuncia del Sudafrica. Il Dipartimento di Stato americano ha affermato che “non stiamo assistendo ad alcun atto che costituisca un genocidio”. La denuncia del Sudafrica si basa sulla Convenzione del 1948 sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio. I Paesi africani accusano Israele di aver commesso genocidio contro il popolo palestinese attraverso bombardamenti indiscriminati di civili, attacchi a ospedali e scuole e distruzione di infrastrutture vitali. Il processo presso la Corte internazionale di giustizia si preannuncia lungo e controverso. La decisione della Turchia e della Malesia di aderire alla denuncia del Sudafrica è un segnale importante dell’aumento del sostegno internazionale alla causa palestinese. La posizione degli Stati Uniti, invece, conferma il sostegno incondizionato di Washington ad Israele, anche quando quest’ultimo è accusato di gravi violazioni dei diritti umani.

L’INDIPENDENTE – SUDAFRICA DENUNCIA ISRAELE ALLA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA (CIG)

Il Sudafrica ha denunciato Israele alla Corte internazionale di giustizia (CIG) accusandolo di genocidio contro il popolo palestinese a Gaza. La denuncia, presentata ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio delle Nazioni Unite, chiede alla Corte di adottare misure provvisorie per proteggere i civili palestinesi. Il Sudafrica sostiene che Israele ha violato l’articolo 3 della Convenzione sul genocidio, che definisce il genocidio come “l’atto commesso con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”. Nello specifico, il Sudafrica accusa Israele di aver: Fallito a prevenire il genocidio, che ha portato avanti “con lo specifico intento di distruggere i palestinesi a Gaza” in quanto facenti parte di un gruppo etnico specifico; Incitato pubblicamente al genocidio; Intrapreso, sta intraprendendo e rischia di continuare a intraprendere atti di genocidio contro il popolo palestinese a Gaza. Israele ha respinto con forza le accuse, definendole “una disgustosa diffamazione”. Il portavoce del Ministero degli Affari Esteri israeliano, Lior Haiat, ha accusato il Sudafrica di essere in combutta con Hamas, il gruppo terroristico palestinese che controlla la Striscia di Gaza.

NATO

WIRED – NATO E RUSSIA SI “SFIDANO” SUL MAR NERO CON NUOVE BASI MILITARI

La situazione nel Mar Nero è diventata sempre più critica a seguito dello scoppio della guerra in Ucraina, poiché questa regione acquatica riveste un’importanza strategica ed economica fondamentale sia per la Russia che per l’Ucraina. In passato, il Mar Nero era stato un elemento chiave per l’espansione della Russia imperiale e, successivamente, un punto strategico durante l’era sovietica. Oggi, continua ad essere un crocevia da cui la Russia può esercitare la sua influenza in diverse regioni, compresi il Mediterraneo, il Medio Oriente, il Nord Africa e l’Europa meridionale. Prima dell’inizio del conflitto in Ucraina, sia la Russia che l’Ucraina esportavano una quantità significativa di grano, orzo e olio di semi dal Mar Nero, con la maggior parte delle esportazioni ucraine che passavano attraverso il porto di Odessa. Tuttavia, con l’escalation del conflitto, i porti e le navi cargo in questa regione sono diventati bersagli frequenti di attacchi, minacciando le rotte commerciali e l’economia della regione. Di fronte a questa crescente instabilità, sia la NATO che la Russia stanno cercando di rafforzare la propria presenza nel Mar Nero attraverso la costruzione di nuove basi militari. La NATO ha annunciato piani ambiziosi per ampliare la base vicino al porto romeno di Costanza, con un investimento stimato di 2,5 miliardi di euro. Questa base, situata nelle vicinanze del Mar Nero, dovrebbe diventare una delle strutture più importanti dell’Alleanza atlantica in Europa e svolgere un ruolo cruciale nel sostenere lo sforzo militare ucraino. Tuttavia, i lavori per rendere operativa completamente la base potrebbero richiedere diversi anni. D’altra parte, la Russia sta esplorando alternative alla sua base principale a Sebastopoli, in Crimea, che è stata danneggiata da attacchi ucraini e ritirata parzialmente. La Russia ha mostrato interesse per la costruzione di una nuova base navale nell’Abkhazia, una regione separatista filo-russa in Georgia, lungo la costa del Mar Nero. Sebbene questa base non possa sostituire completamente Sebastopoli, potrebbe consentire alla Russia di mantenere il suo vantaggio strategico nell’area e di proiettare la sua influenza nel Mar Nero.

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ILMESSAGGERO – IN ROMANIA SORGERÀ LA PIÙ GRANDE BASE NATO IN EUROPA

Sono iniziati i lavori per la costruzione della più grande base militare NATO in Europa, in Romania. La base, grande quanto una piccola città, si estenderà su un’area di quasi tremila ettari e avrà un perimetro di 30 chilometri. Potrà ospitare stabilmente fino a 10mila soldati dell’Alleanza e le loro famiglie. Il progetto, del valore di 2,5 miliardi di euro, comprende piste di atterraggio, piattaforme per armi, hangar per aerei militari, ma anche scuole, asili, negozi e perfino un ospedale. L’obiettivo della base è quello di proteggere il fianco orientale della NATO dall’influenza russa. La costruzione amplierà la 57a base aerea Mihail Kogălniceanu dell’aeronautica rumena. Nicolae Crețu, comandante della 57a base aerea, ha affermato: “Oltre alle capacità della base aerea, stiamo anche progettando l’infrastruttura necessaria per poter ospitare e supportare le capacità di terra, per operazioni speciali o qualsiasi altro tipo di operazione militare necessaria per fornire una risposta al contesto di sicurezza”. Nelle scorse settimane la NATO ha anche annunciato l’avvio di un Centro congiunto NATO-Ucraina per l’analisi, la formazione e l’istruzione (JATEC) nella città polacca di Bydgoszcz. “Questo Centro andrà a beneficio loro e nostro, e creerà anche una struttura per l’addestramento a fianco delle truppe alleate della NATO. I nostri esperti stanno ora lavorando sui dettagli, e mi aspetto che i leader della NATO prendano la decisione finale entro la fine dell’anno”, ha detto il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg. Mentre la NATO si espande sempre di più a Est, Vladimir Putin ha avvertito che un conflitto con l’Alleanza atlantica significherebbe la terza guerra mondiale. I membri europei della NATO hanno bisogno di trovare 56 miliardi di euro extra all’anno per raggiungere l’obiettivo di spesa per la difesa dell’Alleanza, ma il deficit si è dimezzato negli ultimi dieci anni, secondo una ricerca dell’Istituto tedesco Ifo per il Financial Times. La ricerca ha mostrato che molti dei paesi dell’UE con i maggiori deficit rispetto all’obiettivo della NATO di spendere per la difesa il 2% del prodotto interno lordo – tra cui Italia, Spagna e Belgio – hanno anche livelli di debito e deficit di bilancio tra i più alti in Europa.

FARODIROMA – INIZIATA LA PIU’ GRANDE ESERCITAZIONE DELLA NATO DAGLI ANNI 80

La NATO ha dato il via alla maxi esercitazione “Steadfast Defender 2024”, la più grande dai tempi della Guerra Fredda. L’esercitazione coinvolge 90mila soldati di 31 Paesi dell’Alleanza e si svolge in gran parte in Polonia, al confine con la Bielorussia. La Russia e la Bielorussia hanno immediatamente reagito allertando le proprie forze armate. Mosca ha accusato la NATO di provocazione e ha minacciato di respingere qualsiasi tentativo di attacco. Minsk ha dichiarato che non accetterà provocazioni volte a creare un incidente di frontiera. La NATO ha dichiarato che l’esercitazione è una “risposta pronta” a una possibile aggressione da parte della Russia. Tuttavia, alcuni analisti ritengono che abbia altri obiettivi, come: Verificare la capacità di coordinamento e comando degli Stati Uniti sulle truppe europee. Allenare l’esercito polacco ai metodi di combattimento NATO. Trasferire armi a lungo raggio e reparti NATO in Ucraina. L’esercitazione si svolge in un contesto di forte tensione tra Russia e Ucraina. L’offensiva invernale russa è entrata nella sua seconda fase e mira alla liberazione di Avdeevka, Kherson e Odessa. Si stima che circa 15.000 soldati occidentali e di altri Paesi stiano combattendo a fianco dell’esercito ucraino. La NATO non può protestare per le perdite subite in Ucraina, in quanto ciò equivarrebbe a denunciare la presenza delle sue truppe nel Paese, atto di guerra contro la Russia.

AGENZIANOVA – USA: APPROVATO DISEGNO DI LEGGE CHE VIETA IL RITIRO DALLA NATO

Il Congresso federale degli Stati Uniti ha votato a favore di una legge che impedisce a qualsiasi presidente degli Stati Uniti di revocare unilateralmente l’adesione degli Stati Uniti alla NATO senza l’approvazione del Senato o un atto del Congresso. Il provvedimento, proposto dal senatore democratico Tim Kaine della Virginia e dal repubblicano Marco Rubio della Florida, è stato inserito nella legge annuale di bilancio della Difesa (National Defense Authorization Act), approvata ieri dalla Camera e in attesa della firma presidenziale. L’NATO è stata oggetto di critiche dall’ex presidente Trump, ma ha riacquistato importanza sotto la presidenza di Joe Biden. Questa mossa legislativa mira a garantire che qualsiasi decisione di ritirarsi dall’alleanza militare transatlantica richieda un sostegno bipartisan e un processo approfondito all’interno del governo degli Stati Uniti.

ITALIA

IL GOVERNO HA VENDUTO ARMI ALL'UCRAINA ALL'INSAPUTA DELLE CAMERE

L’INDIPENDENTE – IL GOVERNO HA VENDUTO ARMI ALL’UCRAINA ALL’INSAPUTA DELLE CAMERE

Nel corso del 2023, l’Italia ha effettuato vendite di armi all’Ucraina per un totale di 417 milioni di euro. Questa informazione è emersa durante un question time tenutosi nell’aula di Montecitorio, dove il Ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha confermato i dati riportati da un articolo pubblicato su L’Espresso il 22 marzo. Il Movimento 5 Stelle ha successivamente formulato un’interrogazione al Ministro basandosi su queste informazioni, poiché secondo loro, la vendita di armi all’Ucraina sarebbe avvenuta senza il previo atto di indirizzo delle Camere, come previsto dall’art. 2-bis del decreto n.14/2022. La questione è stata sollevata direttamente da un parlamentare pentastellato, Marco Pellegrini, il quale ha chiesto al Ministro Crosetto di spiegare la base giuridica su cui si sarebbe fondata questa vendita di armi. Secondo Pellegrini, il decreto legge n. 14 del 2022, che autorizza la cessione di mezzi militari all’Ucraina, non prevede la vendita di armi senza l’approvazione del Parlamento. Tuttavia, il Ministro Crosetto ha risposto che la fornitura di armi all’Ucraina, che esercita il suo diritto all’autodifesa secondo l’articolo 51 della Carta dell’ONU, non è vietata dalla legge 185 del 1990, che proibisce la vendita di armi a Paesi in conflitto. Nonostante questa spiegazione, il parlamentare Pellegrini ha contestato che, secondo la normativa vigente, non sarebbe possibile effettuare queste cessioni senza il previo atto di indirizzo del Parlamento. Ha inoltre sollevato il punto sulle differenze tra la vendita e la cessione di armi, sottolineando che il Parlamento dovrebbe essere informato su entrambe le operazioni. La situazione ha suscitato dubbi anche riguardo ai finanziamenti delle vendite di armi all’Ucraina. Il parlamentare Pellegrini ha ipotizzato che il costo delle armi potrebbe essere stato coperto da fondi europei, ai quali l’Italia contribuisce, il che porterebbe i contribuenti italiani a finanziare indirettamente la produzione e la vendita di armi per l’Ucraina. Nel frattempo, il Senato ha approvato un disegno di legge che prevede modifiche alla legge 185/90, che regolamenta la produzione ed esportazione di armi. Tra le principali modifiche, è stata ripristinata la possibilità di revocare il divieto di esportazione di armi senza il coinvolgimento del Parlamento, tramite un Comitato interministeriale. Inoltre, sono state riviste le informazioni da fornire al Parlamento riguardo alle attività delle banche italiane in relazione all’export di armi, rendendo più difficile monitorare queste attività.

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ANSA – MAR NERO: MARINA ITALIANA ASSUME IL COMANDO DELLA TASK FORCE

La Marina Militare Italiana ha assunto il comando della Combined Task Force 153, un ruolo di rilievo nell’ambito del partenariato marittimo di 42 nazioni, per la terza volta dall’istituzione della task force nel 2002. La cerimonia di passaggio di consegne si è svolta presso il quartier generale delle Forze Marittime Combinati (CMF), con il Capitano della Marina Italiana Roberto Messina che ha preso il comando dal Capitano della Marina statunitense David Coles. La Combined Task Force 153, istituita il 17 aprile 2022, è una delle cinque task force sotto la gestione delle Forze Marittime Combinati ed è responsabile delle operazioni di sicurezza marittima nel Mar Rosso, nel Bab al-Mandeb e nel Golfo di Aden occidentale. Con questo incarico, l’Italia assume la responsabilità di garantire la sicurezza e la stabilità in una vitale arteria economica. Il Capitano Messina guiderà uno staff multinazionale composto da 35 persone provenienti da 10 paesi diversi. La sua nomina è stata accolta con favore sia dalla comunità internazionale che dai suoi colleghi, con il Capitano Coles che ha espresso fiducia nel suo successo e nella realizzazione di importanti obiettivi sotto la guida del Capitano Messina.

L’INDIPENDENTE – MOODY’S: IL RIARMO FAREBBE AUMENTARE IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO

L’agenzia di rating Moody’s ha lanciato un allarme sul riarmo italiano, sottolineando che tale iniziativa potrebbe portare a un aumento significativo del debito pubblico. Secondo Moody’s, l’impegno per raggiungere la quota del 2% del PIL in spese militari, come richiesto dalla NATO, potrebbe far schizzare il debito pubblico italiano verso l’alto, arrivando al 144% del PIL entro il 2030. Questo aumento del debito pubblico potrebbe costringere l’Italia ad aumentare le tasse o a tagliare ulteriormente i fondi destinati ai servizi sociali, al fine di evitare un sovraccarico delle finanze statali. Moody’s avverte che il finanziamento di una maggiore spesa militare tramite indebitamento potrebbe mettere a dura prova i bilanci, costringendo i governi a introdurre misure per aumentare le entrate o ridurre la spesa pubblica. La relazione di Moody’s evidenzia che l’Italia e la Spagna sono tra i paesi con il divario più ampio tra i livelli attuali di spesa militare e quelli richiesti dalla NATO. Inoltre, entrambi i paesi registrano bassi livelli di sostegno popolare per ulteriori aumenti di spesa militare. Moody’s non ha risparmiato critiche nemmeno ad altri paesi europei, come Francia, Germania, Gran Bretagna e Polonia. L’agenzia avverte che la pressione per contenere la crescita del debito sarà sentita maggiormente nei paesi già fortemente indebitati come Spagna e Italia. Anche la Germania, nonostante il suo tetto al debito sancito dalla Costituzione, potrebbe trovare difficile finanziare una spesa militare più elevata tramite indebitamento. L’aumento delle spese militari potrebbe anche compromettere gli sforzi di riduzione del debito pubblico e indebolire il profilo di credito dei paesi interessati. Questo potrebbe portare a una riduzione dei finanziamenti per i servizi pubblici e a una diminuzione dei fondi disponibili per sostenere le fasce sociali più vulnerabili e l’economia in generale. In Italia, nonostante gli aumenti delle spese militari negli ultimi anni, il PIL è rimasto stagnante e la popolazione mostra scarso sostegno all’aumento della spesa militare. Questo potrebbe significare che la corsa al riarmo europea andrebbe contro la volontà popolare, favorendo gli interessi dell’Alleanza atlantica a scapito delle esigenze interne del paese.

LEGGO – TERRORISMO: SONO 39 I FOREIGN FIGHTER RIENTRATI IN ITALIA SORVEGLIATI

Il Ministero dell’Interno ha dichiarato un rafforzamento delle misure di sicurezza in Italia a seguito dell’attuale situazione terroristica sia a livello nazionale che internazionale. Il Viminale ha avviato un’intensa attività di monitoraggio sul web per individuare eventuali progetti terroristici e per contrastare la diffusione della propaganda jihadista, con particolare attenzione ai luoghi di aggregazione e agli obiettivi sensibili come stazioni e aeroporti. In seguito all’attacco terroristico avvenuto a Mosca lo scorso venerdì, il Comitato Nazionale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, convocato dal Ministro Matteo Piantedosi, ha emanato nuove direttive per adeguare le misure preventive già in atto. Ieri sono stati segnalati due allarmi bomba, uno a Trani e l’altro a Venezia, entrambi poi rivelatisi falsi. A Trani è stato rinvenuto un biglietto minatorio in stazione mentre a Venezia è stato abbandonato un trolley a piazza San Marco, causando l’evacuazione temporanea dell’area. Nonostante ciò, al momento non vi sono prove concrete di progetti terroristici in Italia. Tuttavia, il monitoraggio rimane attivo considerando il rischio di emulazione in tali situazioni. L’attenzione è concentrata sui luoghi di culto, le carceri e i centri per il rimpatrio, nonché sul web, dove la propaganda jihadista ha intensificato i toni negli ultimi mesi. Vi è, inoltre, la presenza di 39 foreign fighter, persone tornate in Italia dopo aver partecipato a conflitti nel Medio Oriente, le quali sono attualmente sotto stretta sorveglianza. Nonostante la sconfitta militare in Medio Oriente alcuni anni fa, l’Isis rimane un’organizzazione attiva in Siria e Iraq. La recente strage a Mosca ha sollevato nuovamente l’allarme sulle capacità terroristiche dell’organizzazione. Al momento, il rischio maggiore sembra provenire da singoli individui radicalizzati, piuttosto che da cellule strutturate.

ILMANIFESTO – L’ITALIA HA MANDATO ARMI A ISRAELE

Secondo i dati forniti dall’Istituto nazionale di statistica (Istat), le esportazioni di armi e munizioni dall’Italia verso Israele nel 2023 ammontano a 13,7 milioni di euro. Nel trimestre finale dell’anno, le esportazioni sono state di circa 2,1 milioni di euro. Questo periodo coincide con gli attacchi perpetrati da Hamas il 7 ottobre e la conseguente risposta militare di Tel Aviv, che ha portato a un nuovo escalation del conflitto, causando gravi perdite umane nella Striscia di Gaza. Le esportazioni italiane verso Israele, principalmente da Lecco, Brescia e Roma, includono bombe, granate, missili, cartucce e aeromobili militari. In particolare, nel quarto trimestre del 2023, sono stati esportati aeromobili e veicoli spaziali per un valore di 14,8 milioni di euro, con la maggior parte proveniente da Varese, dove è situata Alenia Aermacchi, parte del gruppo Leonardo. Nonostante un calo generale di circa 4 milioni di euro rispetto al 2022, le esportazioni di armi verso Israele sono aumentate di quasi 1 milione di euro confrontando il mese di dicembre del 2022 con quello del 2023. Tuttavia, il dato più rilevante riguarda le importazioni dall’Israele all’Italia, che hanno raggiunto un valore di quasi 41 milioni di euro nel biennio 2022-2023. Questi dati sembrano contraddire le dichiarazioni del ministro della Difesa, Guido Crosetto, e del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che avevano assicurato che la vendita di armi a Israele era stata sospesa dopo gli eventi dell’ottobre 2023. Il Ministero degli Esteri, interrogato dal Fatto Quotidiano, ha ipotizzato che i dati Istat potrebbero riferirsi a contratti precedentemente stipulati, ma ha annunciato un’ulteriore indagine sulla natura delle armi coinvolte.

L’INDIPENDENTE – IL PARLAMENTO ELIMINA GLI OBBLIGHI DI TRASPARENZA E CONTROLLO NELL’EXPORT DELLE ARMI

Il Parlamento italiano ha approvato una modifica alla legge 186/1990 che elimina i controlli e la trasparenza sull’export di armi. Con un iter parlamentare rapido, la nuova legge smantella il sistema di controllo statale che era stato implementato per garantire il rispetto dei diritti umani e del principio costituzionale di ripudio della guerra. L’obiettivo dichiarato è quello di “aiutare la competitività dell’industria militare italiana” e di rendere la normativa nazionale più “rispondente alle sfide derivanti dal contesto internazionale”. Viene ripristinato il CISD (Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa), a cui viene affidato il potere di autorizzare l’export di armi. Vengono aboliti i controlli parlamentari sugli affari delle banche che operano nel settore. L’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (UAMA) viene depotenziata e i suoi poteri trasferiti al CISD. Viene eliminato l’obbligo per il CISD di ricevere informazioni sul rispetto dei diritti umani da parte delle organizzazioni internazionali. La Rete italiana Pace e Disarmo e Banca Etica hanno duramente criticato la modifica alla legge, definendola un passo indietro in materia di trasparenza e responsabilità. Le preoccupazioni principali riguardano: Il rischio che l’Italia diventi un esportatore di armi verso regimi autoritari o Paesi in guerra. La mancanza di garanzie sul rispetto dei diritti umani. L’opacità del processo decisionale in materia di export di armi. L’entrata in vigore della nuova legge rappresenta una svolta significativa per l’Italia, che sembra allinearsi alle posizioni di altri Paesi che hanno già adottato normative simili. La Rete italiana Pace e Disarmo ha annunciato che organizzerà una manifestazione di protesta per il prossimo 10 marzo.

ILSOLE24ORE – GOVERNO APPROVA IL DECRETO CHE PROROGA L’INVIO DI ARMI ALL’UCRAINA

Con 218 voti favorevoli e 42 contrari, la Camera dei Deputati ha approvato il decreto che proroga l’autorizzazione all’invio di armi, mezzi e materiali militari all’Ucraina. Il provvedimento, già approvato dal Senato, diventa quindi legge. La maggioranza, +Europa, IV e Azione hanno votato a favore, mentre il Partito Democratico ha espresso il suo sostegno con l’astensione di 4 deputati. M5S e AVS si sono opposti alla proroga. Il decreto estende fino al 31 dicembre 2024 la possibilità per l’Italia di fornire assistenza militare all’Ucraina, in linea con quanto deciso dagli altri partner europei e NATO. La decisione arriva in un momento cruciale del conflitto, con la Russia che intensifica le sue offensive nel Donbass. L’obiettivo del governo italiano è di continuare a supportare la resistenza ucraina e di rafforzare la deterrenza NATO. La proroga dell’invio di armi è stata accolta con favore dal governo ucraino, che ha ringraziato l’Italia per il suo sostegno. Le opposizioni hanno invece criticato la decisione, ritenendola un’escalation militare che non porterà alla pace.

L’INDIPENDENTE – APPROVATI EMENDAMENTI CHE REGOLANO IL COMMERCIO DI ARMI ITALIANO

La Commissione Affari Esteri del Senato ha approvato tre emendamenti alla Legge 185/90 che regolano il commercio di armi italiano. Rete Italiana Pace e Disarmo denuncia una preoccupante riduzione della trasparenza, con possibili ricadute negative sull’etica e la legalità del settore. Meno informazioni per il Parlamento e la società civile. I tre emendamenti modificano la Relazione annuale al Parlamento sulle esportazioni militari, rendendola meno dettagliata. Vengono eliminate informazioni analitiche e monetarie sui prodotti commercializzati, l’elenco dei programmi di ricerca e sviluppo finanziati dall’UE e i nomi degli istituti di credito che operano nel settore. Preoccupazioni per l’opacità del mercato e l’etica del commercio. Rete Italiana Pace e Disarmo teme che la rimozione di dati cruciali renda il mercato bellico ancora più opaco, ostacolando il controllo da parte del Parlamento e della società civile. L’eliminazione dei nomi delle banche impedirebbe ai correntisti di conoscere le attività finanziarie legate al commercio di armi. Sospetti sulla metodologia e bocciatura di emendamenti per la trasparenza. L’associazione critica anche la metodologia adottata in Commissione, con la presentazione delle proposte ai Senatori solo al momento della seduta, limitando la possibilità di un dibattito approfondito. Inoltre, sono stati bocciati emendamenti proposti dalle minoranze per migliorare controlli, decisioni e trasparenza sull’export, incluso uno della Presidente Craxi. Legge non ancora approvata, ma dubbi sul futuro. La legge è ancora in corso d’esame e le prossime date di discussione non sono state fissate. Tuttavia, l’approvazione in Commissione di questi emendamenti conferma la tendenza italiana a favorire il commercio di armi, con possibili ricadute etiche e legali. Il dibattito è aperto. La questione rimane aperta e il futuro della legge è incerto. La società civile attende con trepidazione le prossime discussioni in Senato, auspicando un ritorno a un sistema più trasparente e responsabile per il commercio di armi italiano.

ILMESSAGGERO – IL GOVERNO LAVORA A UNA LEGGE PER RECLUTARE I RISERVISTI

Il governo italiano è al lavoro per una legge che prevede l’arruolamento di un contingente di riservisti delle Forze Armate, per un numero non superiore alle 10mila unità. La notizia è stata confermata dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ha spiegato che la riserva potrebbe essere impiegata nei casi di necessità in occasione di eventuali conflitti e crisi internazionali. Al momento, il nostro Paese ha a disposizione 150mila militari professionisti, ma il Ministero della Difesa punta ad ampliare l’organico avvalendosi dei riservisti per essere pronto a una guerra ibrida. Non si tratterebbe infatti di chiamare a raccolta soltanto soggetti con una formazione militare completa, ma anche civili che si avvalgono di competenze specifiche, come hacker, esperti di intelligenza artificiale e telecomunicazione, ruspisti e medici. La legge dovrebbe essere presentata nelle prossime settimane e dovrà definire i dettagli dell’arruolamento, come la catena di comando, le modalità di selezione, di addestramento e di richiamo. La decisione del governo italiano di creare una riserva militare è stata accolta con un misto di preoccupazione e rassicurazione. Da un lato, c’è chi teme che questa mossa sia un segno di una crescente militarizzazione del Paese, in un contesto internazionale sempre più instabile. Dall’altro, c’è chi sostiene che si tratti di una misura necessaria per garantire la sicurezza dell’Italia in caso di un attacco.

L’INDIPENDENTE – L’ITALIA PRODURRA’ NAVI DA GUERRA INSIEME AGLI EMIRATI ARABI UNITI

Il colosso italiano della cantieristica navale Fincantieri ha siglato un accordo con EDGE Group, una holding degli Emirati Arabi Uniti specializzata nel settore della Difesa, per la produzione di una vasta gamma di navi militari e sottomarini. Il valore stimato del business è di 30 miliardi di euro. L’accordo prevede la creazione di una joint venture controllata per il 51% da EDGE Group e per il 49% da Fincantieri. La joint venture avrà sede ad Abu Dhabi e avrà “diritti di prelazione per gli ordini non NATO”, sfruttando in particolare gli accordi intergovernativi degli Emirati Arabi Uniti. La joint venture godrà anche di “una serie di ordini strategici effettuati da alcuni selezionati Paesi membri della NATO”. L’accordo rappresenta un nuovo passo avanti nel riavvicinamento diplomatico e commerciale tra Italia e Emirati Arabi Uniti. Negli ultimi anni, i due Paesi hanno rafforzato la loro collaborazione in diversi settori, tra cui la Difesa, l’energia e l’economia. La nuova intesa ha suscitato alcune critiche da parte di chi la considera un passo indietro nella promozione dei diritti umani e della pace. Gli Emirati Arabi Uniti sono infatti impegnati in diverse guerre in Medio Oriente, tra cui la guerra in Yemen, che ha causato una grave crisi umanitaria. Tuttavia, il governo italiano ha difeso l’accordo, sostenendo che è in linea con l’obiettivo di rafforzare la sicurezza nazionale e di creare posti di lavoro. L’accordo avrà un impatto significativo sull’industria italiana della Difesa. Fincantieri è uno dei principali costruttori navali al mondo e la joint venture con EDGE Group gli consentirà di accedere a un nuovo mercato in forte crescita. L’accordo è anche un segno della crescente importanza degli Emirati Arabi Uniti nello scenario geopolitico globale. Il Paese sta investendo molto nella sua Difesa e sta diventando un importante partner per le potenze occidentali. La nuova intesa tra Italia e Emirati Arabi Uniti è destinata a rafforzare ulteriormente i legami tra i due Paesi e ad avere un impatto significativo sull’industria della Difesa globale.

EURONEWS – PARLAMENTO AUTORIZZA LA MISSIONE ASPIDES NEL MAR ROSSO

Il Parlamento italiano ha autorizzato a larga maggioranza la partecipazione alla missione navale europea Aspides nel Mar Rosso, con l’obiettivo di difendere le navi commerciali dagli attacchi dei ribelli yemeniti Houthi. La risoluzione è stata approvata con un sostegno quasi unanime, ad eccezione dell’Alleanza Verdi e Sinistra. La missione, definita esclusivamente difensiva, prevede il pattugliamento e la sorveglianza delle acque internazionali per proteggere i mercantili dei Paesi dell’Unione europea. Il governo ha assicurato che la missione Aspides avrà un mandato strettamente difensivo, consentendo l’apertura del fuoco solo in caso di presunti attacchi contro le navi commerciali nelle acque internazionali. La base operativa sarà sul Caio Duilio, cacciatorpediniere della Marina italiana, mentre la sede della missione sarà in Grecia. Paesi come Francia e Germania hanno già messo a disposizione i propri mezzi, con la previsione che altri Paesi si uniranno in seguito. L’approvazione parlamentare è stata tardiva rispetto al lancio della missione, già operativa da diverso tempo. Il governo è stato criticato dall’opposizione per il ritardo nel voto, nonostante l’Italia abbia un ruolo chiave nell’operazione, essendo responsabile delle operazioni. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha sottolineato l’importanza della missione per la sicurezza delle rotte commerciali, particolarmente significative per l’Italia, e ha espresso la soddisfazione per il valore comunitario della missione, considerandola un passo verso la costruzione di una difesa europea.

AGI – MAR ROSSO: NAVE MILITARE ITALIANA ABBATTE UN DRONE CHE VOLEVA COLPIRLA

Nel pomeriggio di ieri, la Nave Duilio ha compiuto un’azione di difesa abbattendo un drone nel Mar Rosso, in risposta a una minaccia imminente verso l’unità navale italiana. Il Ministero della Difesa ha dichiarato che il drone, con caratteristiche simili a quelli usati in precedenti attacchi, si stava dirigendo verso la nave italiana, trovandosi a circa 6 chilometri di distanza al momento dell’abbattimento. La Nave Duilio si trova nell’area per garantire la libertà di navigazione e la sicurezza delle rotte commerciali, sostituendo la nave Martinengo nell’attività nazionale avviata a fine dicembre. Questa missione è stata avviata in risposta agli attacchi dei miliziani Houthi contro il traffico marittimo nello stretto di Bab-el Mandeb. La presenza della Nave Duilio nel Mar Rosso mira a tutelare il diritto internazionale e a salvaguardare gli interessi nazionali. Il Ministro della Difesa Guido Crosetto ha commentato l’episodio definendo gli attacchi degli Houthi come una grave violazione del diritto internazionale e un pericolo per la sicurezza dei traffici marittimi essenziali per l’economia nazionale. Ha inoltre sottolineato che tali attacchi sono parte di una guerra ibrida che sfrutta diverse strategie per danneggiare alcuni Paesi e favorirne altri. Il Ministro degli Esteri Antonio Tajani ha lodato l’operato della Marina italiana nel difendere il diritto alla libera navigazione nel Mar Rosso dagli attacchi degli Houthi. Ha espresso la sua solidarietà all’equipaggio della Nave Duilio per aver risposto con prontezza e efficacia all’attacco. Tajani ha anche evidenziato l’importanza strategica del Mar Rosso per le esportazioni italiane, con il 40% delle merci italiane che passano attraverso questa zona.

L’INDIPENDENTE – L’ITALIA SPENDERA’ 8 MILIARDI DI EURO PER ACQUISTARE NUOVI CARRI ARMATI

La Commissione Difesa della Camera dei Deputati ha dato il via libera all’acquisto di 132 carri armati tedeschi Leopard 2 per un costo stimato di 8 miliardi e 246 milioni di euro. Il programma di acquisizione durerà 14 anni e prevede la produzione in Italia di tutti i mezzi corazzati negli stabilimenti spezzini dell’azienda Leonardo. La prima fase, di preparazione, durerà dal 2024 al 2026 e si concentrerà sullo sviluppo, la produzione delle pre-serie e l’omologazione delle piattaforme. La seconda fase, dal 2027 al 2037, vedrà l’acquisizione di 132 carri armati per due reggimenti carri e fino a 140 piattaforme corazzate per le brigate pesanti, medie e leggere, i reggimenti genio, logistici e gli istituti di formazione dell’esercito. I carri armati saranno prodotti in Italia da Leonardo, che avrà un ruolo centrale nella componente veicolare e nella torretta. Il piano include un supporto logistico pluriennale con formazione degli operatori, manutenzione dei mezzi, munizionamento e adeguamenti infrastrutturali. I Leopard 2 affiancheranno i carri armati Ariete, che sono in fase di ammodernamento. Il Senato ha approvato un disegno di legge che modifica la legge 185/90 sull’export di armi. Il Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento (CISD) potrà revocare divieti di export senza informare il Parlamento. Inoltre, sono state eliminate informazioni dalla relazione annuale al Parlamento sulle attività dell’industria bellica.

ANSA – APPROVATA ASPIDES, MISSIONE NAVALE UE NEL MAR ROSSO GUIDATA DALL’ITALIA

I ministri degli Esteri dell’Unione Europea hanno approvato il lancio della missione navale Aspides. L’operazione, guidata dall’Italia, avrà l’obiettivo di proteggere il traffico marittimo nello Stretto di Bab el Mandeb dagli attacchi dei ribelli Houthi. La missione durerà presumibilmente un anno e avrà un carattere difensivo. Non sono previsti attacchi terrestri alle postazioni degli Houthi. L’Italia avrà un ruolo chiave nella missione. Il Contrammiraglio Costantino assumerà il comando della Forza e il Quartier Generale della Forza sarà installato a bordo di un cacciatorpediniere italiano. La missione Aspides rappresenta un passo avanti importante verso la difesa comune europea. Si tratta di un progetto di lunga data che ha acquisito nuova urgenza dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

Dettagli più importanti della missione:
Obiettivo: proteggere il traffico marittimo nello Stretto di Bab el Mandeb dagli attacchi degli Houthi.
Durata: presumibilmente un anno.
Natura: difensiva.
Comando: Italia.
Forza: Contrammiraglio Costantino.
Quartier Generale: a bordo di un cacciatorpediniere italiano.
Contesto: difesa comune europea.

RAINEWS – MELONI E ZELENSKY FIRMANO UN ACCORDO DI COOPERAZIONE IN MATERIA DI SICUREZZA

Sabato a Kiev, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky hanno firmato un accordo bilaterale di cooperazione in materia di sicurezza. L’annuncio è stato fatto da Zelensky su X (ex Twitter), sottolineando che il documento stabilisce una solida base per la collaborazione a lungo termine nella sicurezza tra i due paesi. Durante una conferenza stampa congiunta, Meloni ha confermato l’accordo, ma i dettagli specifici del documento non sono ancora stati resi pubblici. Tuttavia, Meloni aveva precedentemente anticipato alcuni aspetti dell’accordo, descrivendolo come un accordo decennale e il più completo e importante tra l’Italia e un paese non membro della NATO. Secondo quanto riportato da Repubblica, una bozza dell’accordo prevede l’impegno a consultazioni entro 24 ore in caso di un nuovo attacco russo, al fine di determinare le misure necessarie per contrastare o scoraggiare l’aggressore.

SCENARIECONOMICI – L’ITALIA ACQUISTA MISSILI ANTI-AEREI E BOMBE DAGLI USA PER UN VALORE DI OLTRE 200 MILIONI DI DOLLARI

Il Dipartimento di Stato americano ha approvato la vendita di missili aria-aria e bombe di piccolo calibro all’Italia per un valore di 214 milioni di dollari. L’acquisto fa parte di un processo di ammodernamento delle Forze Armate italiane. L’Italia ha richiesto 12 missili aria-aria a medio raggio avanzati AIM-120C-8 (AMRAAM) per 69,3 milioni di dollari. Questi missili sono compatibili con i caccia F-35 prodotti in Italia e vantano una gittata di oltre 30 km, consentendo di colpire bersagli oltre l’orizzonte visivo del pilota. L’esercito italiano riceverà anche 125 bombe di piccolo diametro (SDB) – Incremento II nell’ambito di un accordo da 150 milioni di dollari. Le bombe saranno integrate negli F-35 dell’Aeronautica Militare e della Marina Militare. Le SDB pesano circa 130 kg e possono planare per circa 110 km, perforando corazze fino a 90 cm. Le nuove armi miglioreranno la capacità dell’Italia di far fronte alle minacce attuali e future, rafforzando la sua sicurezza e la sua interoperabilità con la NATO e le Forze Armate degli Stati Uniti. La società americana Raytheon Technologies (RTX) sarà l’appaltatore principale del contratto, che include anche la fornitura di addestratori, parti di ricambio e servizi di supporto per le armi.

REPUBBLICA – “L’ITALIA SARA’ UN BERSAGLIO SE PARTECIPERA’ ALL’AGGRESSIONE CONTRO LO YEMEN”

Mohamed Ali al-Houti, esponente di spicco del movimento Ansar Allah nello Yemen, ha rivolto un avvertimento all’Italia riguardo alla sua partecipazione alla missione UE nel Mar Rosso. In un’intervista, al-Houti ha dichiarato che l’Italia diventerà un bersaglio se parteciperà all’aggressione contro lo Yemen. Al-Houti ha criticato gli attacchi nel Mar Rosso, definendoli “aggressioni illegali” e “terrorismo deliberato”. Ha sottolineato la determinazione del suo popolo nel resistere a tali attacchi e ha avvertito che qualsiasi intervento militare straniero nello Yemen affronterà una forte resistenza. Quanto alla classificazione del suo movimento come “terrorista” da parte dell’amministrazione Biden, al-Houti ha ribadito che considerano tale classificazione un “onore”. Ha anche chiarito che il movimento mantiene relazioni indipendenti con Iran e Cina. Al-Houti ha consigliato all’Unione Europea di concentrarsi sulla pressione su Israele per fermare i “massacri quotidiani a Gaza”. Ha avvertito che il coinvolgimento italiano nella missione nel Mar Rosso sarà considerato un’escalation e che le navi italiane saranno considerate bersagli se parteciperanno all’aggressione contro lo Yemen. Infine, al-Houti ha invitato l’Italia a rimanere neutrale e a esercitare pressione su Israele per promuovere la pace. Ha sottolineato che non c’è giustificazione per avventure militari al di fuori dei confini italiani.

OPEN – MISSIONE MILITARE DI ITALIA, FRANCIA E GERMANIA NEL MAR ROSSO PER DIFENDERE I MERCANTILI DAGLI ATTACCHI DEGLI HOUTHI IN YEMEN

Italia, Francia e Germania lanceranno una nuova missione militare nel Mar Rosso per difendere le navi mercantili dalla minaccia degli attacchi degli Houthi dello Yemen. La missione, denominata Aspides, sarà approvata il prossimo 19 febbraio durante la riunione dei ministri degli Esteri dell’UE. La missione avrà la possibilità di usare la forza, se necessario, per proteggere le navi mercantili che transitano nella zona. Aspides si aggiungerà alla missione statunitense Prosperity Guardian, che è già operativa nella regione. L’Italia sarà uno dei principali contributori alla missione, con l’invio delle navi da guerra Its Federico Martinengo (F-596) e Virginio Fasan (F-591). La missione Aspides è un passo importante per l’Unione europea, che sta cercando di rafforzare il proprio ruolo nella sicurezza globale. La missione è in linea con la Convenzione Onu sul diritto del mare e sarà a carattere prettamente difensivo. La missione Aspides è un’iniziativa di grande rilevanza per l’Italia, che dimostra la volontà del nostro Paese di assumere un ruolo di primo piano nella sicurezza globale. La partecipazione dell’Italia alla missione è anche un modo per rafforzare il nostro impegno nell’ambito dell’Unione europea. La missione Aspides è infatti il primo passo concreto verso una difesa comune europea. La Costituzione italiana ripudia la guerra, ma la missione Aspides è necessaria per proteggere le navi mercantili che transitano nel Mar Rosso dalla minaccia degli Houthi. Gli attacchi degli Houthi sono un pericolo per la sicurezza della navigazione internazionale e rappresentano una minaccia alla stabilità della regione. La missione Aspides è quindi un’iniziativa necessaria per garantire la sicurezza delle navi mercantili e per contribuire alla stabilità della regione.

GUERRA NEL MAR ROSSO

CORRIERE – MAR ROSSO: FUORI USO 4 CAVI DI COMUNICAZIONE SOTTOMARINI

Gravi interruzioni delle comunicazioni internet tra Europa e Asia, in particolare nei Paesi del Golfo e in India, sono state causate da danni a quattro cavi di comunicazione sottomarini nel Mar Rosso. I cavi danneggiati appartengono ai sistemi AAE-1, Seacom, EIG e TGN, collegando l’Asia orientale all’Europa, l’Europa meridionale all’India e l’Europa, l’Africa, l’India e il Sud Africa. La riparazione potrebbe richiedere almeno otto settimane e comporterebbe un rischio elevato di ulteriori attacchi da parte degli Houthi, che sono stati accusati del danneggiamento dai media israeliani. Il movimento armato Houthi ha tuttavia smentito ogni coinvolgimento. Le società di telecomunicazioni saranno costrette a cercare aziende disposte a eseguire i lavori di riparazione e a pagare un premio di rischio elevato. Il danno alle attività di comunicazione è significativo ma non critico, in quanto altri cavi passano attraverso la stessa regione e non sono stati colpiti. Intanto, gli Stati Uniti hanno annunciato di aver distrutto tre navi senza equipaggio, due missili da crociera antinave e un drone degli Houthi nello Yemen, affermando che le armi “rappresentavano una minaccia imminente per le navi mercantili e le navi Usa nella regione”. Le operazioni militari statunitensi mirano a proteggere la libertà di navigazione e la sicurezza delle acque internazionali. La situazione rimane tesa e le interruzioni internet potrebbero avere un impatto significativo sull’economia globale.

Altre notizie:

APRI/CHIUDI
ANSA – ATTACCHI AEREI IN YEMEN IN UN OPERAZIONE CONGIUNTA DI USA E GB

Durante la notte, attacchi aerei hanno colpito varie zone dello Yemen, tra cui la capitale Sanaa e la città portuale di Hodeida. Questa operazione è stata condotta congiuntamente tra Stati Uniti e Regno Unito, come precisato dal ministero della Difesa britannico. Le esplosioni sono state udite chiaramente nelle due città, mentre i ribelli Houthi yemeniti hanno segnalato che gli attacchi hanno mirato anche alle infrastrutture di telecomunicazioni a Taiz. Secondo il canale al-Masira, controllato dai ribelli, ci sono stati “diversi” morti e feriti. L’emittente televisiva degli Houthi ha attribuito gli attacchi alle forze americane e britanniche nella regione. Il Ministero della Difesa britannico ha dichiarato che gli attacchi sono parte di un’operazione congiunta per indebolire le capacità militari degli Houthi, sottolineando la continua minaccia che rappresentano per le navi internazionali nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden. Secondo quanto riportato da al-Masirah, 14 persone sono state uccise e più di 30 sono rimaste ferite negli attacchi aerei contro la stazione radio Al-Hodaidah e il porto di Saleef lanciati durante la notte.

SKYTG24 – MAR ROSSO: PER LA PRIMA VOLTA INTERCETTATI MISSILI DEGLI HOUTHI DALLA FLOTTA UE

Per la prima volta dall’inizio delle tensioni nel Mar Rosso con gli Houthi, una nave della flotta europea ha intercettato missili balistici provenienti dallo Yemen. Una fregata francese ha segnalato l’intercettazione dei missili, che sembravano essere diretti verso la posizione della nave stessa e delle navi portacontainer che la accompagnavano. Secondo il Ministero delle forze armate francesi, i missili sono stati individuati e neutralizzati in un’azione di legittima difesa da parte della fregata francese. Nel frattempo, la fregata tedesca Hessen della Marina militare tedesca ha respinto un attacco di un drone contro un convoglio civile nel Mar Rosso. Il drone è stato distrutto dall’elicottero di bordo della nave nel contesto della missione europea Aspides, guidata dall’Italia. L’operazione Aspides è mirata a respingere e dissuadere gli attacchi dei miliziani Houthi contro il traffico mercantile sulla rotta strategica del Mar Rosso e del Golfo di Aden, che attraversa lo Stretto di Bab el Mandeb. Questi sviluppi segnalano un’escalation delle tensioni nel Mar Rosso e rafforzano l’impegno della comunità internazionale nella sicurezza della navigazione in questa regione critica.

AGI – MAR ROSSO: 3 MORTI IN UN ATTACCO MISSILISTICO DEI RIBELLI HOUTHI A UNA NAVE

Nel Mar Rosso, mercoledì scorso, tre persone sono state uccise in seguito a un attacco missilistico perpetrato dai ribelli Houthi contro una nave cargo battente bandiera delle Barbados. La nave coinvolta nell’attacco è la True Confidence. L’incidente ha avuto luogo al largo dello Yemen meridionale, nel golfo di Aden. Le due vittime facevano parte dell’equipaggio della True Confidence, la quale è stata colpita da un missile durante la mattina di mercoledì e ha subito un incendio a bordo. Gli Houthi, un gruppo armato sciita che detiene il controllo di gran parte dello Yemen, hanno rivendicato la responsabilità dell’attacco. Questo evento segna la prima volta in cui persone perdono la vita in un attacco degli Houthi, i quali negli ultimi tempi hanno mirato decine di navi in transito nel Mar Rosso utilizzando droni e missili. Gli Houthi giustificano tali attacchi come una forma di ritorsione ai bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza, ma questi incidenti stanno causando gravi interruzioni al commercio globale. Nonostante i tentativi della coalizione militare guidata dagli Stati Uniti e dal Regno Unito di contrastare gli Houthi con azioni punitive, la loro capacità di attaccare le navi rimane significativa. Secondo quanto riferito dall’agenzia britannica che si occupa delle operazioni commerciali via mare, la True Confidence è stata contattata via radio mercoledì mattina da un gruppo che si è identificato come “la marina yemenita”. A bordo della nave c’erano ventitre persone. Gli Houthi hanno dichiarato di aver avvertito l’equipaggio prima dell’attacco, ma i membri dell’equipaggio hanno ignorato tali avvertimenti. Attualmente è in corso una missione di soccorso per evacuare il resto dell’equipaggio. Secondo fonti anonime del New York Times, almeno sei persone sono rimaste ferite oltre alle due vittime.

SCENARIECONOMICI – GLI USA HANNO COLPITO 230 OBIETTI DEGLI HOUTHI

Gli Stati Uniti hanno rivelato di aver colpito 230 obiettivi degli Houthi nello Yemen dopo che l’amministrazione Biden ha ordinato gli attacchi aerei il mese scorso. Il Comando Centrale degli Stati Uniti ha anche annunciato di aver abbattuto cinque droni aerei Houthi nel Mar Rosso durante la notte di mercoledì. Nel fine settimana precedente, le forze statunitensi hanno mirato agli obiettivi terrestri degli Houthi, inclusi depositi sotterranei di armi, depositi di missili e sistemi di difesa aerea. Il Vice Segretario alla Difesa Daniel Shapiro ha sottolineato che gli attacchi degli Houthi hanno inflitto danni a 55 paesi che dipendono dal commercio attraverso il Mar Rosso, con conseguenze quali la sospensione del transito attraverso l’area da parte di oltre 12 grandi spedizionieri e un aumento dei costi assicurativi. L’interruzione del commercio marittimo ha impatti significativi, considerando che circa il 12% del commercio mondiale di greggio via mare avviene attraverso il Mar Rosso, con circa 7 milioni di barili al giorno. Tuttavia, alcuni membri dello stesso partito del presidente Biden hanno sollevato critiche riguardo alla giustificazione legale degli attacchi. Il senatore Tim Kaine ha definito “risibile” la giustificazione dell’amministrazione Biden, esprimendo “grave scetticismo” sull’interpretazione dei poteri militari presidenziali. Kaine ha sottolineato che, sebbene condanni il comportamento degli Houthi, nutre preoccupazioni riguardo all’uso dei poteri militari presidenziali in questa situazione. Nel frattempo, gli Houthi hanno continuato ad attaccare il traffico navale nell’area del Bab Al Mandab e del golfo di Aden. Settimana scorsa, una nave britannica è stata colpita e gravemente danneggiata, con il rischio di affondamento. La situazione rimane fluida, con le forze statunitensi impegnate in una serie di operazioni contro gli Houthi, mentre aumentano le preoccupazioni per l’escalation del conflitto.

ANSA – NUOVO ATTACCO DI STATI UNITI E REGNO UNITI ALLE BASI DEGLI HOUTHI NELLO YEMEN

Il dipartimento della Difesa statunitense ha annunciato che sabato sera una coalizione di aerei da combattimento guidati da Stati Uniti e Regno Unito ha effettuato un nuovo attacco alle basi degli Houthi nello Yemen. Questo rappresenta la quarta operazione congiunta di questo tipo. Gli attacchi hanno colpito 18 postazioni degli Houthi, un gruppo islamista che controlla gran parte del paese e che ha lanciato attacchi alle navi cargo nel mar Rosso, creando problemi al commercio mondiale. Secondo quanto dichiarato, gli obiettivi degli attacchi includono depositi di armi e munizioni, droni, sistemi di difesa aerea, radar e un elicottero del movimento militante. L’obiettivo principale è indebolire le capacità militari degli Houthi e convincerli a smettere gli attacchi alle navi nel mar Rosso. Tuttavia, nonostante gli sforzi congiunti degli Stati Uniti e del Regno Unito, gli Houthi continuano le loro attività senza segni di rallentamento. Il gruppo ha ribadito la sua intenzione di continuare gli attacchi e non mostra segni di voler accettare le richieste delle forze coalizzate. Gli Stati Uniti, al contempo, cercano di evitare un’escalation del conflitto nella già instabile regione del Medio Oriente.

RAINEWS – HOUTHI USANO ORDIGNI SOTTOMARINI PER COLPIRE LE NAVI CARGO NEL MAR ROSSO

Gli Houthi, un gruppo ribelle yemenita, hanno intensificato la loro attività bellica nel Mar Rosso, lanciando una serie di attacchi missilistici e con droni contro navi cargo e obiettivi strategici nella regione. Secondo quanto annunciato dal portavoce Yahya Sarea, gli Houthi hanno incluso ordigni sottomarini nelle loro operazioni navali, rappresentando una nuova minaccia per le navi commerciali e militari nell’area. Uno degli attacchi riportati ha colpito una nave cargo di proprietà britannica, battente bandiera di Palau, causando danni materiali e ferendo leggermente una persona a bordo. Le forze statunitensi hanno dichiarato di aver abbattuto sei droni Houthi che costituivano una minaccia per le navi degli Stati Uniti e dei loro alleati nella regione. Abdulmalik al-Houthi, portavoce dei miliziani yemeniti, ha annunciato l’introduzione di armi sottomarine nelle loro operazioni navali, mirate a colpire le navi nel Mar Rosso ritenute legate a Israele. Gli Houthi hanno emesso un divieto di accesso alle navi interamente o parzialmente di proprietà israeliana o che battono bandiera israeliana nelle acque del Mar Rosso, del Golfo di Aden e del Mar Arabico. Questo divieto si estende anche alle navi di proprietà statunitense o britannica. Nel frattempo, sono stati segnalati altri sospetti attacchi degli Houthi nella regione. Il sistema di difesa aerea israeliano Arrow ha intercettato un missile balistico diretto probabilmente verso la città di Eilat, in Israele. Inoltre, una nave è stata attaccata con due missili al largo delle coste dello Yemen, causando un incendio a bordo. Le forze della coalizione internazionale hanno risposto a questo presunto attacco.

ILPOST – NUOVO ATTACCO DEGLI HOUTHI NEL MAR ROSSO

Nella notte tra domenica e lunedì si è verificato un grave attacco contro una nave commerciale britannica nel mar Rosso, rivendicato dagli Houthi, un gruppo armato sciita sostenuto dall’Iran. È stato definito l’attacco più serio compiuto finora dagli Houthi. La nave, battente bandiera del Belize e chiamata Rubymar, è stata colpita da due missili, causando un’esplosione e danni significativi. L’equipaggio è stato evacuato su un’altra nave.
Gli Houthi hanno condotto numerosi attacchi nel mar Rosso negli ultimi mesi, citando i bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza come motivazione. Tuttavia, le loro azioni hanno colpito navi di varie nazionalità, non solo legate ad Israele, causando turbamenti nel commercio globale. A seguito degli attacchi, molte compagnie hanno evitato quella rotta, optando per percorsi più lunghi e aumentando i costi di trasporto.
In risposta a questa escalation, lunedì l’Unione Europea ha annunciato l’avvio di una missione navale nel mar Rosso per proteggere le navi commerciali in transito. La missione sarà di natura difensiva, senza coinvolgimento in azioni militari offensive. Si concentrerà sul monitoraggio della situazione marittima, sull’accompagnamento delle navi e sulla protezione da possibili attacchi, senza partecipare ai bombardamenti effettuati in Yemen come reazione agli attacchi alle navi.

ADNKRONOS – RIMOSSI DA FACEBOOK E INSTAGRAM I PROFILI DI ALI KHAMENEI, GUIDA SUPREMA DELL’IRAN

Meta, la società madre di Facebook e Instagram, ha rimosso definitivamente i profili della Guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei, dai suoi social network. La decisione è stata presa a causa dei legami di Khamenei con Hamas. Un portavoce di Meta ha dichiarato a CNN che la rimozione è avvenuta per violazione della politica aziendale che vieta la presenza di individui o gruppi che supportano o celebrano organizzazioni considerate terroristiche dagli Stati Uniti. L’Iran è un importante sostenitore di Hamas, il gruppo armato palestinese in conflitto con Israele. Gli Stati Uniti considerano Hamas un’organizzazione terroristica e ritengono che l’Iran fornisca assistenza economica, armi e addestramento militare al gruppo. La rimozione dei profili di Khamenei evidenzia la crescente pressione delle piattaforme social nei confronti dei contenuti associati al terrorismo internazionale.

ILMESSAGGERO – GLI HOUTHI POTREBBERO COLPIRE I CAVI SOTTOMARINI DI TELECOMUNICAZIONI

I ribelli Houthi dello Yemen potrebbero colpire i cavi sottomarini di telecomunicazioni nel Mar Rosso, interrompendo il 17% del traffico internet globale e causando gravi danni alle economie occidentali. L’allarme è stato lanciato dall’associazione delle aziende di telecomunicazioni yemenita fedele al governo in esilio, dopo un post pubblicato su Telegram dai miliziani Houthi che mostra una mappa dei cavi sottomarini con un messaggio sibillino sulla posizione strategica dello Yemen. Nel Mar Rosso passano almeno 16 cavi sottomarini, tra cui l’Asia-Africa-Europe AE-1, lungo oltre 25mila chilometri e vitale per le comunicazioni tra Europa, India e Cina. Questi cavi sono relativamente facili da sabotare, essendo in alcuni tratti ad appena 100 metri di profondità. La tecnologia degli Houthi, seppur poco sviluppata, potrebbe essere sufficiente per danneggiarli. Un attacco ai cavi avrebbe conseguenze devastanti: Interruzione del traffico internet tra Europa, India e Cina; Danni economici ingenti per le aziende occidentali; Disruptioni ai servizi di comunicazione e di pagamento online. Esistono alternative, come il cavo Equiano di Google, ma queste richiedono di passare per l’Africa, con tempi di ripristino in caso di guasto più lunghi.

ANSA – USA: “RISPONDEREMO ALL’ATTACCO CHE ABBIAMO SUBITO IN GIORDANIA”

Il Pentagono ha confermato la morte di tre soldati statunitensi e il ferimento di altri 34 in un attacco con droni avvenuto su una base militare in Giordania. La Resistenza Islamica dell’Iraq, gruppo sostenuto dall’Iran, ha rivendicato l’attacco. Teheran ha negato coinvolgimenti, sostenendo che tali milizie operino indipendentemente. Il governo giordano ha precisato che l’attacco è avvenuto nella parte della base situata in Siria, non sul suolo giordano. Gli Stati Uniti, tuttavia, hanno avviato un’indagine per capire le falle nei sistemi difensivi. La base Usa è cruciale per il controllo dell’arteria tra Damasco e Baghdad, ma i rapporti con l’Iraq si sono deteriorati, con richieste di ritiro delle truppe americane. Il presidente Biden ha minacciato una risposta militare, autorizzando il Pentagono a elaborare piani di rappresaglia “rapidi ed efficaci”. Si ipotizzano operazioni segrete in Iran o attacchi alle milizie sostenute da Pasdaran. L’eventuale azione potrebbe alimentare ulteriori violenze in una regione già instabile. Gli attacchi israeliani a Damasco hanno ulteriormente acuito le tensioni. La situazione resta fluida mentre gli Stati Uniti valutano le opzioni di risposta.

EURONEWS – GIORDANIA: SOLDATI USA UCCISI IN UN ATTACCO CON DRONI IN UNA BASE MILITARE

Un attacco con droni ha colpito una base militare statunitense in Giordania, causando la morte di tre soldati statunitensi domenica scorsa. Questi sono i primi militari americani uccisi dall’attacco di Hamas in Israele il 7 ottobre scorso, che ha successivamente scatenato la guerra in corso nella Striscia di Gaza. Gli Stati Uniti, alleati chiave di Israele, hanno subito vari attacchi con droni e missili nelle zone di Siria e Iraq, ma questa è la prima volta che si registrano vittime. Il presidente Joe Biden ha attribuito l’attacco a milizie regionali finanziate dall’Iran, sostenitore di Hamas, nonostante le differenze dottrinali tra i due paesi. Biden ha annunciato che gli Stati Uniti risponderanno militarmente, ma i dettagli dell’incidente e dei soldati coinvolti non sono stati divulgati. La base colpita, nota come Tower 22, è situata nel nord-est della Giordania, vicino ai confini con Siria e Iraq. Essa svolge principalmente operazioni di consulenza e assistenza all’esercito giordano ed è strategicamente significativa, essendo vicina alla base di al Tanf, cruciale nella lotta contro l’ISIS. Nonostante il governo giordano abbia inizialmente identificato la base come al Tanf, le informazioni sono ancora da confermare. La milizia Resistenza Islamica, sostenuta dall’Iran e con base in Iraq, ha rivendicato la responsabilità dell’attacco, avvertendo che tutte le postazioni statunitensi nella regione sono “obiettivi legittimi.” Il governo iraniano ha respinto le accuse dietro l’attacco, definendole mosse politiche per destabilizzare la regione. Tuttavia, la tensione cresce, e gruppi armati appoggiati dall’Iran minacciano un’escalation se gli Stati Uniti continueranno a sostenere Israele. La situazione rimane fluida, con incertezze sulla provenienza dei droni e sul perché non siano stati intercettati. La comunità internazionale osserva attentamente gli sviluppi nella regione.

ANSA – BASI E TRUPPE USA IN MEDIO ORIENTE E NORD AFRICA POSSIBILI OBIETTIVI DEGLI HOUTHI

Gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno condotto più di 100 attacchi missilistici a guida di precisione nello Yemen l’11 gennaio, mirando a ridurre le capacità militari degli Houthi, noto anche come al-Ḥūthiyyūn. Questa azione è stata una risposta agli attacchi degli Houthi contro navi civili e militari nel Mar Rosso e nello stretto di Bab el-Mandeb. Gli attacchi anglosassoni hanno colpito oltre sessanta siti, inclusi le basi militari a Sanaa e Taiz, una base navale a Hodeidah e siti militari a Hajjah, causando la morte di almeno cinque combattenti Houthi. Nonostante gli sforzi per degradare le loro capacità, gli Houthi hanno dimostrato la persistenza nelle operazioni marittime. In risposta, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno eseguito ulteriori quattro attacchi contro le capacità offensive degli Houthi. Tuttavia, ciò potrebbe aver incoraggiato il gruppo a intensificare gli attacchi contro gli Stati Uniti, Israele e i loro alleati. Le minacce degli Houthi includono la possibilità di mirare a basi statunitensi in Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Iraq, Kuwait o Siria. Le dichiarazioni degli Houthi sono state accompagnate da propaganda, comprese immagini di addestramento militare e minacce visive. L’obiettivo futuro degli Houthi potrebbe essere la base Camp Lemonnier a Gibuti, una delle più significative nella regione. La base, operativa per l’Africa Command statunitense, ospita circa 4.000 soldati ed è situata a sole ottanta miglia dallo Yemen. La sua vulnerabilità a potenziali attacchi di droni o missili preoccupa gli analisti. Gli Houthi affermano di possedere un missile con una gittata di 1.200 miglia, rendendo Camp Lemonnier un potenziale bersaglio. Il governo di Gibuti ha dichiarato di aver permesso agli Stati Uniti di schierare sistemi di difesa aerea Patriot per proteggere la base dagli attacchi yemeniti. Tuttavia, la questione solleva preoccupazioni sulla stabilità interna di Gibuti, che potrebbe essere minacciata dalla presenza di missili offensivi. Il governo gibutino teme possibili rivolte popolari se gli Stati Uniti dovessero utilizzare la base Lemonnier per lanciare operazioni contro gli Houthi.

CONDANNA DELLE NAZIONI UNITE AGLI ATTACCHI ANGLOAMERICANI ALLO YEMEN

La seconda notte di bombardamenti angloamericani contro obiettivi Houthi in Yemen ha suscitato una forte condanna da parte della comunità internazionale. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha definito gli attacchi “non accettabili” e ha chiesto a tutti gli Stati membri di difendere le loro navi rispettando la legge internazionale. La Cina ha espresso preoccupazione per l’escalation delle tensioni nel Mar Rosso, una rotta commerciale internazionale cruciale per le merci e l’energia. La Russia ha definito l’offensiva di Stati Uniti e Regno Unito una “flagrante aggressione” e un “attacco massiccio” sul “territorio dello Yemen”. L’Iran ha condannato fermamente gli attacchi aerei nelle aree dello Yemen controllate dagli Houthi. Anche la Turchia ha condannato l’intervento di Usa e Uk nella regione delle Yemen, definendolo una “reazione sproporzionata”. Intanto, i Paesi dell’Ue discuteranno la prossima settimana l’invio di una forza navale europea per supportare la protezione delle navi nel Mar Rosso.

ILPOST – COALIZIONE GUIDATA DAGLI STATI UNITI HA BOMBARDATO I RIBELLI HOUTHI IN YEMEN

Venerdì notte, una coalizione guidata dagli Stati Uniti ha condotto attacchi aerei contro siti militari utilizzati dai ribelli Houthi nello Yemen. La mossa è una risposta agli attacchi ripetuti dei ribelli contro navi cargo nel Mar Rosso. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha confermato che gli attacchi sono stati coordinati con Regno Unito, Australia, Canada, Paesi Bassi e Bahrein. Gli Houthi, alleati dell’Iran, avevano iniziato gli attacchi contro le navi commerciali in novembre, in risposta alla guerra di Israele nella Striscia di Gaza. Questi attacchi hanno causato significativi disagi al commercio internazionale, deviando rotte e aumentando i prezzi di vari beni. La decisione di bombardare è giunta dopo un ultimatum degli Stati Uniti e dei loro alleati agli Houthi per fermare gli attacchi alle navi. Gli obiettivi dei bombardamenti includono radar, siti di lancio missili e droni, con l’obiettivo di danneggiare le capacità offensive degli Houthi. La coalizione ha colpito oltre 60 obiettivi in 16 diverse località dello Yemen, utilizzando più di 100 missili da aerei, navi e sottomarini. Il segretario della Difesa statunitense, Lloyd J. Austin III, ha chiarito che l’azione mira a difendere la libertà di navigazione e proteggere il personale dagli attacchi degli Houthi. Biden ha avvertito che ulteriori misure potrebbero essere prese per proteggere il popolo e il flusso del commercio internazionale, se necessario. Gli Houthi hanno risposto affermando che non smetteranno di attaccare le navi dirette verso Israele nel Mar Rosso. La situazione crea preoccupazioni sulla possibile estensione del conflitto in altre aree del Medio Oriente, coinvolgendo gruppi alleati dell’Iran, come Hezbollah in Libano e milizie sciite in Iraq. L’Iran ha condannato gli attacchi, affermando che provocheranno instabilità nella regione.

GUERRA IN MEDIO ORIENTE

UNRIC – L’ONU HA ADOTTATO 3 RISOLUZIONI PER PROMUOVERE LA PACE IN MEDIO ORIENTE

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato tre risoluzioni per promuovere la pace in Medio Oriente. Le decisioni sono state prese il 3 dicembre, in un contesto di scarsa copertura mediatica da parte di molti media occidentali. Il presidente dell’Assemblea, Philemon Yang del Camerun, ha ribadito che la soluzione a due Stati in Palestina rappresenta «l’unica via per una pace duratura» nella regione. Durante la sessione, è stato richiesto a larga maggioranza un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e sono state fatte pressioni su Israele affinché consenta la consegna di cibo e aiuti essenziali nell’area prima dell’inverno.

Le tre risoluzioni adottate:
Risoluzione pacifica della questione palestinese (documento A/79/L.23): questa risoluzione invita ad un impegno immediato per il processo di pace in Medio Oriente. Il testo sollecita Israele a rispettare il diritto internazionale, inclusa la cessazione delle attività di insediamento e l’evacuazione dei coloni dai territori palestinesi occupati. La risoluzione è stata approvata con 157 voti favorevoli, 8 contrari (Argentina, Ungheria, Israele, Micronesia, Nauru, Palau, Papua Nuova Guinea, Stati Uniti) e 7 astensioni (Camerun, Repubblica Ceca, Ecuador, Georgia, Paraguay, Ucraina, Uruguay).
Divisione per i diritti dei palestinesi del Segretariato (documento A/79/L.24): con questa risoluzione, l’Assemblea ha chiesto al Segretario Generale di fornire le risorse necessarie affinché la Divisione possa continuare il proprio lavoro in modo efficace. È stata approvata con 101 voti favorevoli, 27 contrari e 42 astensioni.
Questione del Golan siriano (documento A/79/L.19): la terza risoluzione riguarda l’occupazione del Golan siriano da parte di Israele. Il documento afferma che la decisione di Israele di imporre la propria giurisdizione sull’area è «nulla e non avvenuta», invitando il Paese a riprendere i colloqui con Siria e Libano e a ritirarsi dal Golan occupato. La risoluzione è stata approvata con 97 voti favorevoli, 8 contrari (Australia, Canada, Israele, Micronesia, Palau, Papua Nuova Guinea, Regno Unito, Stati Uniti) e 64 astensioni.

La rappresentante israeliana presso l’ONU ha criticato aspramente le risoluzioni, definendo i lavori dell’Assemblea «un incosciente disprezzo per la verità». Ha aggiunto: «Se fossero davvero interessati a portare soluzioni alla regione dilaniata dalla guerra, abbandonerebbero i loro sforzi ossessivi per delegittimare Israele». Secondo un rapporto del Comitato speciale delle Nazioni Unite istituito nel 1968 per indagare sulle pratiche israeliane, quanto sta avvenendo a Gaza presenta caratteristiche assimilabili a un genocidio. Il documento riferisce che «i civili sono stati indiscriminatamente e in modo sproporzionato uccisi in massa a Gaza», mentre nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme Est coloni israeliani, militari e personale di sicurezza avrebbero continuato a violare i diritti umani senza conseguenze. Tra i Paesi contrari alle risoluzioni si evidenziano gli Stati Uniti, che continuano a sostenere militarmente Israele nonostante le critiche pubbliche per il mancato rispetto dell’incolumità dei civili. Il portavoce del Venezuela ha definito il veto americano «un’ulteriore complicità» con la politica israeliana, mentre il rappresentante della Giordania ha attribuito le azioni di Israele al «fallimento della comunità internazionale nell’affrontare l’arroganza israeliana». Altri delegati, tra cui quello della Malesia, hanno criticato l’ONU per non essere riuscita a trasformare le parole in azioni. «Siamo rimasti impotenti mentre l’ingiustizia persiste», ha dichiarato il rappresentante malese. Israele è stato più volte accusato di violare sistematicamente le risoluzioni ONU, tra cui la risoluzione 476 del 1980, che condanna l’annessione di Gerusalemme Est, e la risoluzione 497 del 1981, che definisce l’annessione del Golan «nulla e senza effetti legali internazionali». Nonostante ciò, Israele continua a ignorare tali provvedimenti, accusando le Nazioni Unite di avere pregiudizi contro di essa.

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WIRED – L’ARCHIVIO DIGITALE CHE DOCUMENTA LE VIOLENZE IN CORSO A GAZA

A Cartography of Genocide è il nome del progetto lanciato da Forensic Architecture, un centro di ricerca basato presso la Goldsmiths, University of London, specializzato in analisi forensi nei contesti di conflitto. Questo progetto si propone di documentare gli attacchi militari condotti da Israele nella Striscia di Gaza a partire da ottobre 2023. Attraverso una mappa interattiva, il progetto ricostruisce in dettaglio circa 2.000 eventi, analizzando la loro portata e individuando pattern di violenza sistematica. Il lavoro è supportato da un report di oltre 800 pagine che approfondisce i dati raccolti e mappati. Secondo i ricercatori di Forensic Architecture, i risultati suggeriscono che “la condotta militare di Israele a Gaza indichi una campagna sistematica e organizzata per distruggere la vita, le condizioni necessarie alla vita e le infrastrutture che la sostengono”. Questo archivio rappresenta la più dettagliata ricostruzione storica della guerra in corso nella Striscia di Gaza, utilizzando metodi consolidati che hanno reso Forensic Architecture un punto di riferimento nel documentare violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale. L’analisi si basa su fonti aperte, testimonianze sul campo e dati forniti da organizzazioni internazionali. Il progetto utilizza tecniche di investigazione basate su open source, analizzando video, immagini e altri materiali pubblicati online, integrandoli con testimonianze dirette e dataset di organizzazioni umanitarie. Ogni evento è stato tracciato, verificato e inserito nella mappa interattiva, che permette di visualizzare le correlazioni tra gli attacchi e la loro evoluzione nel tempo. Davide Piscitelli, ricercatore avanzato presso Forensic Architecture e coautore del progetto, ha spiegato: “Quando ci sono così tante informazioni disponibili, da un lato bisogna analizzare i singoli atti di violenza, ricostruendo modelli 3D e posizionando i video nello spazio e nel tempo. Dall’altro, l’obiettivo è comprendere le relazioni tra migliaia di incidenti per individuare pattern di violenza sistematica”. Le principali fonti di Forensic Architecture includono dati provenienti da social media, canali Telegram e testimonianze sul campo. Piscitelli ha aggiunto: “Abbiamo collaborazioni con ricercatori e medici locali, oltre a un’unità di ricerca in Palestina presso Al-Haq, a Ramallah. Le immagini satellitari hanno corroborato i risultati, insieme a prove orali, scritte e video”. La mappa mette in evidenza come gli attacchi abbiano colpito non solo le persone, ma anche infrastrutture vitali, aiuti umanitari e l’ambiente. Secondo Piscitelli: “Questi pattern mostrano una campagna organizzata per distruggere le condizioni di vita nella Striscia di Gaza”. Un esempio significativo è il pattern degli attacchi contro la distribuzione di cibo. Nelle prime settimane del conflitto, i bombardamenti hanno colpito panetterie e centri di distribuzione, costringendo le persone a cercare rifugio altrove. Successivamente, anche i rifugi, come le scuole gestite dall’UNRWA, sono diventati bersagli, così come i coordinatori degli aiuti umanitari. “Mettendo insieme più di 300 incidenti, emerge chiaramente un legame tra la distribuzione del cibo e gli attacchi verso i civili”, ha spiegato Piscitelli. Un altro pattern identificato è quello degli spostamenti forzati della popolazione. Secondo il progetto, ad agosto 2024, l’84% del territorio della Striscia era stato evacuato forzatamente. Le mappe mostrano in giallo le aree evacuate e in blu la “zona umanitaria”, dove oltre un milione di persone dovrebbe trovare sicurezza. Tuttavia, Piscitelli ha precisato: “Non esistono zone sicure a Gaza. Abbiamo documentato attacchi persino nelle zone designate come umanitarie”. L’importanza di questo progetto è amplificata dalla quasi totale chiusura della Striscia di Gaza alla stampa internazionale. Come ha sottolineato Piscitelli: “Gli attacchi alla stampa e la progressiva scomparsa delle testimonianze dirette rendono il nostro lavoro fondamentale per storicizzare questi eventi”. Secondo il Committee to Protect Journalists, Gaza è diventata il conflitto più mortale per i giornalisti: al 12 novembre 2024, sono stati uccisi 137 membri della stampa. Forensic Architecture continua ad aggiornare la mappa e il report per offrire un archivio che possa essere utilizzato in future analisi legali e storiche. “Non è un caso e non è un errore: c’è un design dietro questa violenza, che utilizza persino il linguaggio fuorviante come arma contro la popolazione palestinese”, ha concluso Piscitelli.

L’INDIPENDENTE – IL BILANCIO DELL’AGGRESSIONE ISRAELIANA IN LIBANO E’ DI 3 MILA MORTI E 14 MILA FERITI

Il bilancio dell’attacco israeliano al Libano, iniziato a settembre con un’invasione di terra, è tragico: più di 3.000 morti e quasi 14.000 feriti. L’operazione, condotta dall’esercito israeliano, ha comportato la distruzione di decine di villaggi e paesi, alcuni demoliti con cariche esplosive. Questa devastazione è documentata da immagini satellitari e video girati da droni israeliani. Mentre il sud del Libano viene colpito da bombardamenti intensi, gli attacchi si estendono alla capitale Beirut e ad altre città del Paese. Le conseguenze umanitarie sono drammatiche: oltre un milione di persone sono state costrette a lasciare le proprie case. Un quarto degli edifici nel sud del Paese è stato distrutto o gravemente danneggiato. L’avanzata delle truppe israeliane da sud verso nord è accompagnata da bombardamenti aerei, colpi di artiglieria e demolizioni simultanee di interi quartieri e villaggi. Le immagini aeree e satellitari mostrano la portata della distruzione, mentre la guerra continua senza segnali di un possibile cessate il fuoco. Le conseguenze della guerra stanno aggravando una situazione già precaria. Il Libano soffre da anni una grave crisi economica e sociale. Secondo l’Independent Task Force for Lebanon (ITFL), un gruppo di economisti e ricercatori libanesi, le perdite economiche causate dai bombardamenti israeliani potrebbero superare i 20 miliardi di dollari. Inoltre, la percentuale di persone che vivono in condizioni di estrema povertà potrebbe salire fino all’80% nelle aree colpite. L’organizzazione umanitaria internazionale Mercy Corps ha evidenziato che, se il conflitto continuerà con questa intensità, il PIL del Libano potrebbe contrarsi del 12,81%. Nel caso di un blocco totale da parte di Israele o di un’espansione delle operazioni militari, la contrazione potrebbe arrivare al 21,9%. Il Paese, già in difficoltà, vede il 25% della popolazione composto da rifugiati, per lo più siriani, mentre più di 3 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria. Anche i servizi essenziali sono in crisi. L’elettricità è razionata in molte zone e tutti i settori economici stanno soffrendo le conseguenze della guerra. Il governo israeliano ha giustificato l’invasione terrestre dichiarando l’intenzione di creare una zona cuscinetto tra il sud del Libano e il nord di Israele. L’obiettivo sarebbe quello di respingere Hezbollah e consentire agli israeliani di tornare agli insediamenti abbandonati a causa degli attacchi dell’organizzazione sciita libanese. Tuttavia, alcune fonti sottolineano che diversi membri del governo israeliano sostengono l’idea della Grande Israele, un progetto che includerebbe Gaza, Cisgiordania e parti di Egitto, Arabia Saudita, Siria e Libano.

ILPOST – UN RAPPORTO DI HRW ACCUSA ISRAELE DI TRASFERIMENTI FORZATI DI MASSA NELLA STRISCIA DI GAZA

L’organizzazione internazionale Human Rights Watch, nota per il suo impegno nel difendere i diritti umani, ha pubblicato un dettagliato rapporto in cui accusa Israele di aver effettuato trasferimenti forzati di massa di persone palestinesi durante l’invasione della Striscia di Gaza, iniziata oltre un anno fa. Il rapporto fa riferimento alla Quarta Convenzione di Ginevra, che tutela i diritti dei civili in contesti di guerra. L’articolo 49 di questa Convenzione vieta «i trasferimenti forzati, in massa o individuali». Tuttavia, prevede la possibilità di uno «sgombero completo o parziale di una determinata regione occupata» se necessario per la sicurezza della popolazione o per ragioni militari urgenti. Questo sgombero, però, deve rispettare alcune condizioni: le persone sfollate devono essere informate e protette, e il loro ritorno nelle case deve essere consentito «non appena le ostilità saranno cessate». Violare queste norme è considerato un crimine di guerra. Secondo l’ONU, dall’inizio dell’invasione israeliana circa 1,9 milioni di persone, su una popolazione totale di 2,2 milioni nella Striscia di Gaza, sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni. Israele ha dichiarato di rispettare il diritto internazionale, ma Human Rights Watch contesta questa affermazione. Nel corso dell’invasione, le forze israeliane hanno emesso ordini di evacuazione, come previsto dalla Convenzione di Ginevra. Tuttavia, Human Rights Watch documenta molti casi in cui l’avviso di evacuazione è stato comunicato con scarso preavviso o addirittura non è stato fornito affatto. In alcuni casi, Israele avrebbe bombardato zone precedentemente designate come sicure per gli sfollati, come l’area di Mawasi, o installato checkpoint lungo le vie di evacuazione, come sulla strada Salah al-Din, che collega il sud e il nord della Striscia e che, in particolare nelle prime fasi dell’invasione, è stata percorsa da decine di migliaia di persone. Leila, una donna palestinese di 40 anni, ha raccontato a Human Rights Watch di essere stata presa di mira da un cecchino israeliano mentre, in sedia a rotelle, cercava di evacuare insieme alla famiglia per raggiungere la Salah al-Din Road. Inoltre, un video verificato da Reuters e da Human Rights Watch mostra alcuni corpi lungo una strada costiera considerata “sicura” nei primi giorni dell’invasione israeliana, nel novembre del 2023. In alcune zone, Israele sta distruggendo quasi completamente edifici e infrastrutture, rendendo di fatto impossibile il ritorno degli abitanti. Recentemente, un importante funzionario militare israeliano ha confermato per la prima volta dall’inizio dell’operazione che Israele non intende consentire il ritorno dei civili palestinesi nel nord della Striscia di Gaza. Human Rights Watch scrive nel rapporto: «Abbiamo dimostrato che Israele non ha evacuato la Striscia di Gaza per tutelare la sicurezza dei civili palestinesi, dato che non sono stati al sicuro durante le evacuazioni né al loro arrivo nelle cosiddette “zone sicure” designate. Israele inoltre non ha dimostrato l’esistenza di impellenti ragioni militari per motivare gli sgomberi di gran parte dei palestinesi dalle proprie case. E se anche riuscisse a dimostrarlo, il fallimento nel garantire la sicurezza e la tutela delle persone sfollate mentre fuggivano renderebbe comunque illegali queste operazioni». È probabile che il numero di sfollati sia aumentato rispetto alla stima dell’ONU. A inizio ottobre, l’esercito israeliano ha lanciato un attacco su vasta scala nel nord della Striscia di Gaza, sostenendo che Hamas avesse ricostituito parte delle proprie forze militari nella zona. L’attacco riguarda aree densamente popolate, tra cui la parte settentrionale della città di Gaza e, in particolare, il campo profughi di Jabalia.

L’INDIPENDENTE – I MEDICI VOLONTARI NELLA STRISCIA DI GAZA: “I MORTI SONO 120 MILA”

Un gruppo di 99 medici, chirurghi e infermieri specializzati statunitensi, che ha prestato volontariamente servizio nella Striscia di Gaza, ha inviato il 2 ottobre una lettera aperta al presidente americano Joe Biden e alla sua vice Kamala Harris. Nella lettera, i medici descrivono gli orrori che la popolazione palestinese sta vivendo da un anno e denunciano che il numero reale delle vittime nell’enclave palestinese sarebbe molto superiore alle stime ufficiali, attualmente fissate a circa 50.000 morti, la maggior parte dei quali bambini. I medici scrivono: «Siamo tra i pochi osservatori neutrali a cui è stato permesso di entrare nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre. […] Questa lettera e la sua appendice dimostrano, con prove incontrovertibili, che il bilancio delle vittime a Gaza da ottobre a oggi è molto più alto di quanto si creda negli Stati Uniti. È probabile che il numero effettivo dei morti in questo conflitto abbia già superato le 118.908 persone, una cifra impressionante: il 5,4% della popolazione di Gaza». Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica *The Lancet* lo scorso luglio aveva già mostrato che i morti nella Striscia di Gaza a causa della campagna militare israeliana sarebbero molti di più di quanto dichiarato dal Ministero della Sanità palestinese. Secondo gli autori dello studio, intitolato “Contare i morti a Gaza: difficile, ma essenziale”, le vittime del massacro israeliano sarebbero almeno 185.000, pari al 7,9% della popolazione totale dell’enclave. Lo studio includeva nel conteggio delle vittime sia le morti dirette, dovute alle operazioni di guerra, sia quelle indirette, causate da malattie, malnutrizione e ferite. Nonostante si tratti di stime e risulti molto difficile contare i caduti in un contesto complesso come quello di Gaza, appare chiaro che le vittime palestinesi siano significativamente più numerose di quanto riportato ufficialmente. Il rapporto di *The Lancet* è citato anche nell’appendice alla lettera redatta dai 99 medici americani, i quali spiegano che in guerra le vittime dovute alle operazioni militari rappresentano solitamente la parte più piccola del totale. «L’eccesso di mortalità civile nelle guerre può essere fino a 25 volte superiore a quello delle morti causate dalla violenza militare. Queste morti cosiddette “indirette” sono provocate da infezioni respiratorie, gastrointestinali, nonché da complicazioni materne e neonatali». I medici scrivono che «esistono prove schiaccianti che il bilancio delle vittime a Gaza sia di gran lunga superiore a quello riportato pubblicamente riguardo alle morti violente». Per “morti violente” si intendono quelle causate da bombardamenti, colpi di arma da fuoco, percosse e esecuzioni. La mancanza di acqua potabile e cibo nell’enclave palestinese ha provocato un drammatico aumento dei casi di malattia e malnutrizione tra la popolazione di Gaza. Nella lettera si legge: «A parte alcune marginali eccezioni, tutti a Gaza sono malati, feriti o entrambe le cose. Ciò riguarda gli operatori umanitari locali, i volontari internazionali e probabilmente anche tutti gli ostaggi israeliani: ogni uomo, donna e bambino». Nell’appendice viene inoltre evidenziato come Israele stia deliberatamente prendendo di mira bambini, strutture sanitarie, personale medico e infrastrutture civili. I firmatari della lettera inviata alla presidenza americana hanno trascorso complessivamente 254 settimane all’interno dei più grandi ospedali e delle principali cliniche di Gaza. Hanno smentito la versione israeliana secondo cui gli ospedali fossero usati come basi militari da Hamas. I medici hanno infatti scritto di non «aver mai visto alcun tipo di attività militante palestinese in nessuno degli ospedali o altre strutture sanitarie di Gaza». La lettera contiene un appello che esorta il governo americano a interrompere la fornitura di armi a Israele: «Non riusciamo a capire perché continuiate ad armare un Paese che sta deliberatamente uccidendo in massa tutti questi bambini», scrivono. Aggiungono: «Ogni giorno che continuiamo a fornire armi e munizioni a Israele è un altro giorno in cui le donne vengono fatte a pezzi dalle nostre bombe e i bambini assassinati dai nostri proiettili». Con ogni probabilità, la lettera dei 99 medici americani e il suo contenuto rimarranno sconosciuti alla maggior parte dell’opinione pubblica occidentale. Tuttavia, essa mette in luce l’indicibile violenza che si sta consumando a Gaza con il silenzio-assenso di Washington e dei governi europei. La stessa Corte Internazionale di Giustizia ha confermato che esistono “prove sufficienti” per valutare l’accusa di genocidio nei confronti di Tel Aviv. Prove che i medici statunitensi confermano dal loro osservatorio negli ospedali: «Presidente Biden e vicepresidente Harris, vorremmo che poteste vedere gli incubi che affliggono così tanti di noi da quando siamo tornati: sogni di bambini mutilati, e mutilati dalle nostre armi, e delle loro madri inconsolabili che ci implorano di salvarli. Vorremmo che poteste sentire i pianti e le urla che rimarranno per sempre impressi nella nostra memoria».

AGI – MORTA LA META’ DEI 97 OSTAGGI NELLE MANI DI HAMAS

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che, secondo le informazioni disponibili, metà degli ostaggi attualmente nelle mani di Hamas, che ammontano a 97, sono vivi. Questa affermazione è stata fatta durante una riunione a porte chiuse della Commissione Affari Esteri e Difesa della Knesset, come riportato dalla radio dell’esercito israeliano. Netanyahu ha anche negato di aver ostacolato un accordo per la liberazione degli ostaggi, accusando Hamas di aver richiesto numerose modifiche alla proposta di cessate il fuoco. Nel frattempo, Hezbollah ha annunciato di essere entrato in “una nuova fase” della sua battaglia contro Israele. Naim Qassem, il vice capo del movimento islamista libanese, ha fatto queste dichiarazioni durante il funerale di un alto funzionario militare di Hezbollah ucciso in un attacco israeliano. Qassem ha affermato che il gruppo è pronto a gestire “tutti gli scenari militari” contro Israele e ha descritto la situazione come un regolamento di “conti aperti”. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha avvertito che il Libano rischia di diventare “una nuova Gaza” a causa delle crescenti tensioni tra Hezbollah e Israele. In un’intervista alla CNN, Guterres ha espresso preoccupazione per la situazione in Libano e il potenziale per un’escalation del conflitto. La Casa Bianca ha anche commentato la situazione, con il portavoce John Kirby che ha affermato che un’escalation militare non sarebbe nell’interesse di Israele. Kirby ha sottolineato l’importanza di una soluzione diplomatica al conflitto e ha ribadito che gli Stati Uniti stanno comunicando direttamente alle autorità israeliane riguardo a questa posizione. In questo contesto di crescente tensione, Hezbollah ha intensificato le sue azioni contro Israele, lanciando razzi e promettendo una risposta militare a qualsiasi attacco. Le recenti dichiarazioni da entrambe le parti indicano una possibile escalation del conflitto, con Israel che continua a colpire obiettivi di Hezbollah in Libano e Hezbollah che risponde con attacchi mirati contro obiettivi israeliani. La situazione rimane instabile e suscita preoccupazioni per la sicurezza nella regione.

FARODIROMA – GLI STATI UNITI HANNO STANZIATO 17,9 MILIARRI DI DOLLARI PER AIUTI MILITARI A ISRAELE

Gli Stati Uniti hanno stanziato la cifra record di almeno 17,9 miliardi di dollari in aiuti militari a Israele dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, secondo un rapporto per il progetto *Costs of War* della Brown University, pubblicato lunedì in occasione dell’anniversario dell’attacco di Hamas contro il paese ebraico. Inoltre, altri 4,86 miliardi di dollari sono stati destinati a intensificare le operazioni militari statunitensi nella regione dal 7 ottobre 2023, includendo i costi della campagna mirata a soffocare gli attacchi degli Houthi dello Yemen contro le navi commerciali nel Mar Rosso. Secondo il rapporto, Israele, protetto dagli Stati Uniti sin dalla sua fondazione nel 1948, è il più grande beneficiario di aiuti militari statunitensi nella storia, con un totale di 251,2 miliardi di dollari, aggiornati all’inflazione, dal 1959. Tuttavia, i 17,9 miliardi di dollari spesi dal 7 ottobre 2023 rappresentano il record annuale di aiuti militari inviati a Israele. Gran parte delle armi statunitensi consegnate quest’anno sono munizioni, proiettili di artiglieria, cannoni rompibunker e bombe guidate di precisione. A differenza degli aiuti militari all’Ucraina, che sono documentati pubblicamente dagli Stati Uniti, è stato impossibile ottenere i dettagli completi di ciò che gli Stati Uniti hanno inviato a Israele dal 7 ottobre. Pertanto, i 17,9 miliardi di dollari per l’anno sono una cifra parziale. I ricercatori richiamano l’attenzione sugli “sforzi dell’amministrazione Biden per nascondere gli importi totali di aiuti e i tipi di sistemi inviati in Israele attraverso manovre burocratiche”. I costi finanziari sono stati calcolati da Linda Bilmes, professoressa alla John Kennedy School of Government di Harvard, che ha valutato i costi totali delle guerre americane dagli attacchi dell’11 settembre 2001 in poi, insieme ai suoi colleghi ricercatori William Hartung e Stephen Semler.

WIRED – I NUMERI DELLA GUERRA A GAZA

Il 7 ottobre segnerà l’anniversario dell’attacco compiuto dal gruppo radicale Hamas e dalle sue brigate armate al-Qassam in Israele, a cui il governo di Tel Aviv ha risposto con una guerra contro Gaza. Facendo il punto sulla situazione attuale in Medio Oriente, emerge un quadro preoccupante, sia per il numero di vittime che per la devastazione. Le autorità palestinesi riferiscono che la risposta militare israeliana ha provocato la morte di oltre 40.000 persone, in gran parte civili. Molti dei 2,3 milioni di abitanti di Gaza sono stati costretti a lasciare le loro case. Un rapporto pubblicato dall’organizzazione non-profit londinese Airwars, che si basa su fonti pubbliche, ha confermato sostanzialmente questi numeri. La direttrice di Airwars, Emily Tripp, ha sottolineato che la precisione delle stime potrebbe essere diminuita nel tempo, ma i dati rimangono attendibili. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, all’inizio del conflitto aveva espresso dubbi sulle cifre delle vittime, suscitando critiche. Tuttavia, le Nazioni Unite continuano a riportare i dati forniti dal ministero della Salute di Gaza, pur sottolineando che è sotto il controllo di Hamas. Anche l’Organizzazione mondiale della sanità ritiene affidabili questi numeri. Le cifre ufficiali non distinguono tra civili e combattenti di Hamas, poiché questi ultimi non indossano uniformi e non portano segni di identificazione. Da parte sua, Israele periodicamente fornisce le sue stime sul numero di combattenti di Hamas uccisi, con l’ultima dichiarazione del primo ministro Benjamin Netanyahu che parla di circa 14.000. Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno reso noto che 705 soldati, ufficiali e riservisti sono stati uccisi dall’inizio del conflitto, inclusi circa 300 morti durante l’attacco del 7 ottobre. Durante l’assalto, Hamas e altri gruppi militanti palestinesi hanno rapito 251 persone, tra cui donne, bambini e decine di soldati israeliani. Al 1º settembre 2024, circa un centinaio di questi ostaggi risultava ancora prigioniero a Gaza. A Gaza, l’impatto economico e sociale della guerra è devastante. Prima della guerra, la regione era nota per la sua agricoltura e produzione di cibo, ma oggi, secondo un rapporto delle Nazioni Unite, il 96% della popolazione soffre di insicurezza alimentare, e circa 500.000 palestinesi sono a rischio fame. Il conflitto ha anche portato al ritorno della poliomielite dopo 25 anni. Le immagini satellitari mostrano che oltre il 60% dei terreni agricoli è ormai inutilizzabile a causa dei bombardamenti. Le aree più produttive di Gaza, tra cui Beit Lahiya, Gaza City, e Khan Younis, hanno subito gravi danni, mentre la pesca, una risorsa chiave per la sicurezza alimentare, è stata drasticamente ridotta. A marzo 2024, l’ONU ha stimato che circa 90.000 edifici nella Striscia di Gaza, pari al 35%, sono stati distrutti o danneggiati, con Khan Younis tra le aree più colpite. Israele, accusato di possibile genocidio presso la Corte Internazionale di Giustizia, ha utilizzato armamenti sofisticati forniti dagli Stati Uniti, come le bombe GBU-39B e caccia F-35. Gli Stati Uniti hanno continuato a sostenere militarmente Israele nonostante le preoccupazioni internazionali per le vittime civili. Alcune delle armi impiegate, come le munizioni al fosforo bianco, potrebbero violare le leggi internazionali se utilizzate in aree civili. Israele ha inoltre utilizzato cannoni navali italiani da 76 mm, forniti dall’azienda Oto Melara (parte di Leonardo-Finmeccanica), installati sulle corvette della Marina israeliana, che hanno partecipato agli attacchi contro Gaza. Sul fronte internazionale, il Regno Unito è stato il primo paese europeo a sospendere 30 licenze per l’esportazione di armi verso Israele a causa del conflitto. Il governo britannico ha affermato che esiste un rischio concreto che le armi esportate possano contribuire a gravi violazioni del diritto internazionale. Tuttavia, la sospensione non ha riguardato componenti per i caccia F-35, e l’impatto economico è stato inferiore rispetto ad altri paesi come Stati Uniti, Italia e Germania. In Cisgiordania, già prima del 7 ottobre, il governo di Netanyahu aveva conferito maggiori poteri all’Amministrazione per gli insediamenti guidata dal ministro delle Finanze Bezalel Smotrich. Smotrich ha accelerato la costruzione di insediamenti illegali, pur imponendo rigide restrizioni alle attività edilizie palestinesi. Negli ultimi mesi, Israele ha lanciato una vasta operazione militare in Cisgiordania, ufficialmente per combattere il terrorismo, ma diversi analisti ritengono che sia un tentativo di annessione de facto. Durante

FARODIROMA – GUERRA A GAZA: 40.476 MORTI E 93.647 FERITI

Il Ministero della Sanità del governo di Hamas nella Striscia di Gaza ha fornito un aggiornamento sul bilancio delle vittime del conflitto in corso con Israele. Secondo l’ultimo rapporto, il numero dei morti è salito a 40.476 e il numero dei feriti a 93.647. Nelle ultime 24 ore, si è registrato un ulteriore aumento con almeno 41 vittime. Un raid israeliano ha causato circa 20 morti, e cresce l’allerta per un possibile scoppio di poliomielite a causa della mancanza di vaccini. Recentemente, sono stati recuperati i corpi di dieci persone, tra cui una ragazza e tre donne, da un appartamento colpito nel quartiere di Tufah, a est della città di Gaza. Altre sette persone, tra cui bambini e donne, sono state uccise in un bombardamento di un appartamento nella torre Hadeel, situata nel campo di Maghazi. Anche altre zone della Striscia, come Deir Al-Balah, hanno subito attacchi con artiglieria. Nel contesto di questo conflitto, ci sono stati tentativi di negoziare un cessate il fuoco di 72 ore. Fonti americane segnalano che l’Egitto ha respinto la richiesta di truppe israeliane al confine con Gaza. Nonostante l’ottimismo espresso dalla Casa Bianca riguardo ai progressi nei negoziati, non ci sono stati sviluppi concreti finora. I colloqui sono complicati dalla presenza di due corridoi strategici, il corridoio Filadelfia e il corridoio di Netzarim, che sono attualmente sotto il controllo di Israele. Hamas e i mediatori arabi, in particolare l’Egitto, chiedono che questi corridoi siano liberati.

ANSA – MINISTRO DELLE FINANZE ISRAELIANO: POTREBBE ESSERE GIUSTIFICATO AFFAMARE LA POPOLAZIONE DI GAZA PER LIBERARE GLI OSTAGGI

Il capo delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Turk, ha espresso indignazione per le dichiarazioni del ministro delle Finanze israeliano, Bezalel Smotrich, che ha suggerito che potrebbe essere “giustificato” affamare la popolazione di Gaza per liberare gli ostaggi. Durante una conferenza stampa, il portavoce di Turk, Jeremy Laurence, ha condannato fermamente queste parole, definendole un incitamento all’odio contro civili innocenti. Smotrich ha affermato: “Nessuno al mondo ci permetterà di far morire di fame due milioni di persone, anche se potrebbe essere giustificato e morale per liberare gli ostaggi”. Ha poi aggiunto che Israele sta portando aiuti umanitari “perché non abbiamo scelta” e ha sottolineato la necessità di legittimità internazionale per condurre la guerra. Il portavoce di Turk ha dichiarato che “la morte per fame dei civili come metodo di guerra è un crimine di guerra”. Le affermazioni di Smotrich sono arrivate in un contesto di crescente violenza tra Israele e Palestina, con scontri recenti che hanno coinvolto anche le forze israeliane e i militanti palestinesi. La situazione è ulteriormente complicata dalla presenza di forze russe in Siria e dalle tensioni in Libano, dove i combattimenti tra Hezbollah e Israele continuano. La comunità internazionale sta seguendo con attenzione gli sviluppi, mentre le dichiarazioni di Smotrich hanno suscitato reazioni di condanna anche da parte di altri paesi, inclusi gli Stati Uniti e la Francia.

INSIDEOVER – 165 GIORNALISTI UCCIDI A GAZA IN 10 MESI

Negli ultimi 10 mesi sono stati uccisi 165 reporter nella Striscia di Gaza, che è diventata il luogo più pericoloso al mondo per i professionisti dell’informazione. Questi numeri indicano una media di un giornalista morto ogni due giorni, nonostante il diritto internazionale preveda la protezione dei civili, inclusi i giornalisti. Recentemente, sono stati uccisi Ismail Al-Ghoul e Rami Al-Reefi, rispettivamente reporter e cameraman di Al Jazeera. I due erano a bordo di un’auto parcheggiata fuori dal campo profughi di Al-Shati quando sono stati colpiti. Erano lì per un collegamento in diretta e avevano già notato la presenza di droni israeliani nella zona. Un drone ha lanciato un razzo vicino a loro, costringendoli a rifugiarsi nella loro auto, che recava la scritta “TV” sul tetto. Tuttavia, un missile guidato lanciato da un drone israeliano ha colpito il veicolo, uccidendo entrambi i giornalisti. Un altro bambino è morto nelle vicinanze. Dopo questi eventi, i colleghi di Al Jazeera hanno protestato contro quello che considerano un crimine di guerra. Hanno dichiarato che continueranno a fare reportage da Gaza, nonostante il rischio e le intenzioni di Israele di silenziarli. Il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) ha confermato che la maggior parte dei giornalisti uccisi nel 2023 è morta a Gaza. I media stranieri hanno difficoltà ad entrare nella Striscia, limitando ulteriormente la copertura. I giornalisti sono presi di mira deliberatamente, e la loro morte spegne i riflettori sui crimini di guerra in corso, rendendo più difficile monitorare e documentare gli abusi.

AGI – ISRAELE E HAMAS CONCORDANO UN GOVERNO A INTERIM A GAZA

Secondo quanto rivelato da un alto funzionario statunitense al Washington Post, Israele e Hamas avrebbero concordato un piano in tre fasi per una risoluzione del conflitto in Medio Oriente. Il quadro dell’accordo sarebbe già stato definito, mentre le parti stanno ora negoziando i dettagli su come verrà implementato, un processo che potrebbe richiedere tempo. Nella seconda fase del piano, né Hamas né Israele governerebbero Gaza. La sicurezza sarebbe invece affidata a una forza addestrata dagli Stati Uniti e sostenuta da alleati arabi moderati, composta da circa 2.500 sostenitori dell’Autorità Nazionale Palestinese a Gaza che sono già stati esaminati da Israele.

L’INDIPENDENTE – LANCET: ISRAELE AVREBBE UCCISO 186 MILA PALESTINESI A GAZA (IL 7,9% DELLA POPOLAZIONE)

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet, le morti “attribuibili” alla campagna militare in corso a Gaza sarebbero superiori a quanto dichiarato dal Ministero della Sanità palestinese, raggiungendo oltre 185.000 persone, circa il 7,9% della popolazione totale della Striscia. L’articolo, intitolato “Contare i morti a Gaza: difficile, ma essenziale”, tenta di stimare le morti causate dal conflitto in Palestina, includendo sia i decessi diretti che quelli indiretti, dovuti a malattie, carenza di servizi, ferite incurabili, carestia e altre cause direttamente derivanti dalla guerra. Lo studio, pubblicato il 5 luglio, è firmato da Rasha Khatib, ricercatrice presso l’Istituto di Ricerca Aurora negli USA e affiliata alla Birzeit University in Palestina, Martin McKee, professore presso la Scuola di Igiene e Medicina Tropicale di Londra, e Salim Yusuf, medico e professore presso la Scuola Medica dell’Università di McMaster in Canada. Gli autori sottolineano le difficoltà nella raccolta e gestione dei dati condivisi dal Ministero della Sanità di Gaza e calcolano i possibili morti attribuibili al conflitto, spiegando che “i conflitti armati hanno implicazioni sulla salute indirette, che vanno oltre il danno diretto derivante dalla violenza”. Secondo gli accademici, queste “morti indirette” possono derivare da “malattie riproduttive, trasmissibili o non trasmissibili” e trovano origine nella “distruzione delle infrastrutture sanitarie, nella grave carenza di cibo, acqua e riparo, nell’incapacità della popolazione di fuggire verso luoghi sicuri” e nello stop ai finanziamenti all’UNRWA, “una delle pochissime organizzazioni umanitarie ancora attive nella Striscia di Gaza”. Applicando una stima conservativa di quattro morti indirette per una morte diretta alle oltre 37.000 riportate, lo studio conclude che fino a 186.000 morti potrebbero essere attribuibili all’attuale conflitto a Gaza. La situazione a Gaza è descritta come una catastrofe umanitaria, denunciata da mesi. L’ONU ha inserito Israele nella “lista nera” dei Paesi che maltrattano i bambini, evidenziando la carestia in cui versano i giovani palestinesi. Numerosi rapporti, tra cui “Anatomia di un genocidio” di Francesca Albanese, indicano che Israele ha distrutto la maggior parte dei rifugi umanitari, degli ospedali, delle case, degli edifici residenziali, delle università e delle altre strutture educative, delle infrastrutture di telecomunicazioni, del municipio e delle strutture commerciali e industriali, oltre a negare ai palestinesi l’accesso ad acqua ed elettricità. Contro Israele sono in corso indagini relative all’uso sistematico di abusi sessuali e torture sui palestinesi, nonché per genocidio, con un’indagine della Corte Penale Internazionale che coinvolge il Primo Ministro Netanyahu e il Ministro della Difesa Yoav Gallant

AGI – L’80% DELLA POPOLAZIONE DI GAZA E’ SFOLLATA

Secondo le stime della coordinatrice delle Nazioni Unite per Gaza, Sigrid Kaag, l’80% degli abitanti di Gaza, circa 1,9 milioni di persone, sono sfollati. Kaag si è detta “profondamente preoccupata” dalle notizie di nuovi ordini di evacuazione di Khan Yunis. Secondo le Nazioni Unite, fino a 250.000 persone sono coinvolte dall’ordine militare israeliano che impone ai civili di lasciare Al-Qarara, Bani Suhaila e altre località vicino al territorio di Khan Yunis, la seconda città della Striscia con 2,4 milioni di abitanti. Kaag ha affermato che “i civili palestinesi a Gaza sono stati sprofondati in un abisso di sofferenza. Le loro vite domestiche sono state distrutte, le loro vite sconvolte. La guerra non ha solo creato la più profonda delle crisi umanitarie. Ha scatenato un vortice di miseria umana”. Secondo la rappresentante dell’ONU, a Gaza non stanno raggiungendo aiuti sufficienti e l’apertura di nuovi valichi, in particolare verso il sud di Gaza, è necessaria per evitare un disastro umanitario. Il portavoce del segretario generale dell’ONU, Stephane Dujarric, ha commentato che “un’evacuazione di tale portata non farà altro che aumentare la sofferenza dei civili”.

L’INDIPENDENTE – RAPPORTO ONU: ISRAELE USA SISTEMATICAMENTE ABUSI SESSUALI E TORTURE SUI PALESTINESI

La Commissione d’inchiesta internazionale indipendente delle Nazioni Unite ha pubblicato un rapporto di 126 pagine che accusa Israele di avere commesso crimini di guerra e contro l’umanità in Gaza. Il documento, lungo 6 capitoli, descrive in dettaglio le operazioni militari e gli attacchi condotti dalle Forze di Difesa Israeliane (FDI) nei territori palestinesi occupati dal 7 ottobre al 31 dicembre 2023. Il rapporto si basa su testimonianze dirette delle vittime, fonti aperte verificate tramite analisi forense e registri medici. Il documento passa in rassegna 12 specifici argomenti in cui sono stati rilevati crimini di guerra verificati. Tra questi, l’uccisione dei civili e la distruzione della Striscia di Gaza, la tortura e lo stupro, sono i due di maggiore impatto. Il rapporto denuncia l’uso sistematico di abusi sessuali e torture da parte delle FDI. Le violenze sessuali sarebbero state commesse in luoghi appartati, come posti di blocco, centri di detenzione e durante assalti notturni. I reati legati all’abuso sessuale sarebbero aumentati considerevolmente dopo l’8 ottobre, in connessione con l’intenzione di punire e umiliare i palestinesi come ritorsione per gli attacchi del 7 ottobre. La Commissione conclude che l’esercito israeliano ha sistematicamente commesso atti “oltraggiosi per la dignità personale”, sfociando spesso in forme di violenza di genere che “costituiscono tortura e trattamenti disumani e crudeli”. Il rapporto evidenzia anche l’effetto delle operazioni militari sulla popolazione di rifugiati palestinesi, che avrebbero aumentato considerevolmente il numero degli sfollati e peggiorato le loro condizioni di vita. Il documento è stato criticato da Israele, che ha accusato la Commissione di essere parziale e di non aver considerato le azioni dei gruppi armati palestinesi. Tuttavia, il rapporto è stato accolto con sostegno da molti paesi e organizzazioni internazionali, che hanno chiesto a Israele di rispettare i principi di distinzione, proporzionalità e precauzione nei suoi attacchi.

ANSA – ONU: ISRAELE E HAMAS HANNO COMMESSO CRIMINI DI GUERRA E CONTRO L’UMANITA’

Un nuovo rapporto delle Nazioni Unite ha rilevato che Israele e Hamas hanno commesso entrambi crimini di guerra e contro l’umanità durante il conflitto iniziato il 7 ottobre. La commissione indipendente ha basato le sue conclusioni su interviste con vittime e testimoni, oltre a centinaia di testimonianze, immagini satellitari, rapporti medici forensi e prove derivanti dalla copertura mediatica. La commissione ha affermato che Israele ha commesso crimini di guerra, crimini contro l’umanità e violazioni delle leggi internazionali umanitarie e dei diritti umani. Questi crimini includono la fame, la detenzione arbitraria e l’uccisione e la mutilazione di “decine di migliaia di bambini”. L’organo ha inoltre dichiarato che l’immenso numero di vittime civili e la diffusa distruzione di beni e infrastrutture sono stati i “risultati inevitabili della strategia scelta da Israele per l’uso della forza” durante queste ostilità. La commissione ha anche rilevato che Hamas ha deliberatamente ucciso, ferito, maltrattato, preso in ostaggio e commesso violenze sessuali e di genere contro i civili, compresi cittadini israeliani e stranieri. Queste azioni costituiscono crimini di guerra, violazioni e abusi del diritto umanitario internazionale. La commissione ha sottolineato l’impatto del conflitto su donne e bambini, affermando che l’unico modo per fermare i ricorrenti cicli di violenza è garantire una stretta aderenza al diritto internazionale. Ciò include la fine dell’illegale occupazione israeliana del territorio palestinese, la discriminazione, l’oppressione e la negazione del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, e la garanzia di pace e sicurezza.

ANSA – L’ONU APPROVA LA SECONDA RISOLUZIONE PER IL CESSATE IL FUOCO A GAZA

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione per il cessate il fuoco a Gaza con 14 voti favorevoli e un’astensione della Russia. La proposta, già annunciata il 31 maggio e accettata da Israele, prevede tre fasi. Nella prima fase, è richiesto un “cessate il fuoco immediato, pieno e completo”, il rilascio degli ostaggi, comprese donne, anziani e feriti, la restituzione dei resti di alcuni ostaggi uccisi e lo scambio di prigionieri palestinesi. Inoltre, prevede il ritiro delle forze israeliane dalle “aree popolate di Gaza”, il ritorno dei palestinesi alle loro case e la distribuzione su larga scala di aiuti umanitari. La seconda fase prevede la fine permanente delle ostilità in cambio del rilascio di tutti gli ostaggi ancora presenti a Gaza e del ritiro completo delle forze israeliane dalla zona. Nella terza fase, si avvierà un piano di ricostruzione pluriennale per Gaza e la restituzione a Israele dei resti degli ostaggi deceduti. Inoltre, si respinge qualsiasi cambiamento demografico o territoriale della Striscia di Gaza. Il Consiglio ha ribadito il suo “incrollabile impegno” verso una soluzione a due Stati e l’importanza di unificare la Striscia di Gaza con la Cisgiordania sotto l’Autorità Palestinese. L’ambasciatore russo ha espresso perplessità riguardo alcuni punti della bozza, soprattutto perché Israele ha dichiarato pubblicamente che continuerà la guerra fino alla completa distruzione di Hamas. La rappresentante di Israele, Reut Shapir Ben Naftaly, ha confermato che gli obiettivi di Tel Aviv sono stati chiari: riportare a casa tutti gli ostaggi e smantellare le capacità di Hamas, garantendo che Gaza non rappresenti una minaccia futura per Israele. Ha aggiunto che la guerra finirà una volta raggiunti questi obiettivi. Dopo il voto, Hamas ha accolto favorevolmente la risoluzione e si è detto pronto a negoziare. Resta il dubbio se la risoluzione verrà rispettata, visto che, dopo una risoluzione simile del 25 marzo, l’offensiva militare israeliana non si è fermata. La decisione arriva pochi giorni dopo una delle peggiori stragi commesse dall’esercito israeliano l’8 giugno, che ha causato la morte di 274 palestinesi e il ferimento di altri 700 nel “genocidio collaterale” di Nuseirat. L’assalto ha portato alla liberazione di quattro ostaggi israeliani. Il numero delle vittime palestinesi dall’inizio dell’offensiva israeliana supera le 37 mila, ma si teme che molte altre siano ancora sepolte sotto le macerie.

RAINEWS – ONU: ISRAELE, HAMAS E JAHAD ISLAMICO NELLA LISTA NERA DEI PAESI CHE VIOLANO I DIRITTI DEI BAMBINI NELLE ZONE DI GUERRA

Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha annunciato che inserirà Israele, Hamas e il Jihad Islamico nella lista dei paesi e delle organizzazioni che violano i diritti dei bambini nelle zone di guerra. La lista è un elenco che menziona i gruppi coinvolti in “uccisioni e mutilazioni di bambini, stupri e altre forme di violenza sessuale perpetrate contro bambini, attacchi a scuole, ospedali e persone che necessitano di protezione”. L’ONU ha deciso di inserire Israele, Hamas e il Jihad Islamico nella lista dei Paesi e delle organizzazioni che violano i diritti dei bambini nelle zone di guerra. Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha annunciato questa decisione e comunicato l’inclusione al rappresentante israeliano presso l’ONU, Gilad Erdan, che ha reso pubblica parte della conversazione. Questa lista, aggiornata ogni anno, menziona gruppi coinvolti in crimini come “uccisioni e mutilazioni di bambini, stupri e altre forme di violenza sessuale contro bambini, attacchi a scuole e ospedali”. La lista elenca gli Stati e le organizzazioni che si sono resi colpevoli di gravi violazioni contro i minori durante i conflitti armati. Queste violazioni includono il reclutamento e l’uso di bambini in guerra, uccisioni, mutilazioni, violenze sessuali, rapimenti e attacchi a strutture educative e sanitarie. Non sono ancora chiare le specifiche accuse contro Israele, né le possibili conseguenze di questa inclusione, ma si ipotizza che potrebbero essere proposte sanzioni o embargo sulle armi contro chi viola i diritti umanitari dei minori. Il rapporto dell’anno scorso ha evidenziato che, nel 2022, ci sono state 3.133 gravi violazioni contro 1.139 bambini palestinesi da parte delle forze israeliane, che hanno anche utilizzato quattro bambini come scudi umani e cercato di reclutarne due come informatori. Inoltre, 852 bambini sono stati detenuti per presunti reati contro la sicurezza. Nello stesso periodo, Israele ha bombardato 121 strutture tra scuole e ospedali, uccidendo 42 bambini e mutilandone 517. Israele ha anche impedito l’accesso agli aiuti umanitari in territorio palestinese 1.863 volte. Save the Children ha denunciato il trattamento dei bambini da parte delle forze israeliane, riportando che ogni anno 500-700 bambini vengono processati e detenuti secondo la legge militare israeliana, con accuse che possono portare a pene fino a 20 anni. L’escalation di violenza e le difficoltà nell’accesso agli aiuti umanitari hanno aggravato la situazione dei bambini nella Striscia di Gaza. Secondo un rapporto recente, dall’escalation del 7 ottobre, l’azione militare israeliana nella Striscia di Gaza ha causato la morte di 36.586 persone, di cui 7.797 bambini identificati. Tuttavia, stime aggiornate indicano che le vittime tra i bambini potrebbero essere molte di più, con cifre che raggiungono quota 15.517.

ANSA – STATI UNITI AUTORIZZANO L’UCRAINA ALL’UTILIZZO DI ARMI USA PER ATTACCARE IL TERRITORIO RUSSO

Il presidente statunitense Joe Biden ha autorizzato l’Ucraina a utilizzare armi fornite dagli Stati Uniti per colpire obiettivi militari all’interno del territorio russo, una mossa senza precedenti dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Questa decisione è giunta dopo diverse settimane di pressioni, sia da parte dei paesi alleati che del segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg. Finora, l’Ucraina aveva potuto utilizzare armi statunitensi solo nei territori ucraini occupati dall’esercito russo. Tuttavia, con questa nuova autorizzazione, l’Ucraina può ora usare le armi fornite dagli Stati Uniti per autodifesa nel territorio russo vicino alla regione ucraina di Kharkiv. Questa limitazione significa che l’Ucraina può rispondere a un attacco russo o a evidenti preparativi per esso solo in quella zona specifica. Questa mossa ha spinto anche il governo tedesco a permettere all’Ucraina di utilizzare armi tedesche contro obiettivi militari in territorio russo, con le stesse restrizioni imposte dagli Stati Uniti. Gli Stati Uniti sono stati il principale fornitore di armi all’Ucraina tra i paesi che la sostengono contro la Russia. La decisione di autorizzare gli attacchi all’interno del territorio russo è stata oggetto di discussione per diversi giorni, con paesi come Francia, Germania e Regno Unito, oltre a Stoltenberg, che hanno insistito sulla sua rimozione, citando le recenti azioni militari russe nelle regioni orientali del Donbass e di Kharkiv. In passato, gli Stati Uniti si erano rifiutati di permettere all’Ucraina di utilizzare le loro armi al di fuori dei confini nazionali, citando il rischio di una escalation nel conflitto. Tuttavia, con questa autorizzazione, Biden ha superato chiaramente la linea rossa che lui stesso aveva tracciato, aprendo la strada a un nuovo sviluppo nelle dinamiche del conflitto.

ASKANEWS – IL CONSIGLIO DI SICUREZZA ONU HA CHIESTO UN’INDAGINE SULLE FOSSE COMUNI A GAZA

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha espresso “profonda preoccupazione” per il ritrovamento di fosse comuni a Gaza, dalle quali sono stati estratti centinaia di corpi, molti dei quali di donne e bambini. Il Consiglio ha chiesto un’indagine immediata, indipendente, approfondita, completa, trasparente e imparziale per stabilire le circostanze alla base delle fosse. La richiesta del Consiglio di Sicurezza fa eco a quella già avanzata dal segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres, all’indomani del ritrovamento dei primi cadaveri, lo scorso aprile. Nella Striscia, si continuano a contare i corpi delle vittime palestinesi rinvenute all’interno delle fosse comuni nei pressi delle tre principali strutture ospedaliere, molti dei quali recano segni evidenti di torture. Al momento sono oltre 500 i cadaveri rinvenuti, ma la conta non è ancora finita. L’esercito israeliano ha rigettato ogni accusa di responsabilità nella vicenda e puntato il dito contro i palestinesi, dichiarando che quei corpi sono stati seppelliti dai palestinesi nel corso degli scontri tra le IDF e Hamas. Tuttavia, il Consiglio di Sicurezza ONU ha ribadito la necessità del raggiungimento di un cessate il fuoco duraturo, del rilascio di tutti gli ostaggi e di garantire ai civili della Striscia protezione e accesso agli aiuti umanitari. La politica americana nei confronti di Israele continua ad essere schizofrenica, con il Congresso americano che ha sbloccato un pacchetto di aiuti da 26 miliardi per Israele, ma con funzionari governativi che hanno confermato lo stop alla consegna di migliaia di bombe per il rischio di conseguenze sui civili nella Striscia. Il presidente Biden ha ammesso che le armi inviate a Tel Aviv sono state impiegate nel massacro dei civili e minacciato di sospendere del tutto la fornitura in caso di un’invasione di Rafah. Le morti accertate tra i civili palestinesi a partire dallo scorso 7 ottobre hanno ormai quasi toccato le 35 mila unità, una media di poco meno di 6 mila morti al mese. A questo dato si sommano le 1,7 milioni di persone sfollate e il milione e più che si troverà presto in condizioni di affrontare “livelli catastrofici di insicurezza alimentare”. Il ritrovamento di fosse comuni con centinaia di corpi all’interno costituisce solamente un tassello tra i tanti che compongono l’orrore del conflitto in Palestina. Nel frattempo, le forze israeliane stanno continuando a emettere ordini di evacuazione da Rafah, mentre il ministero della Sanità di Gaza ha riferito che la mancanza di carburante negli ospedali potrebbe portare al collasso dell’intero sistema sanitario della Striscia “in poche ore”. Al momento, sono 360 mila i palestinesi che hanno abbandonato Rafah. Intanto, nel nord dell’enclave, dopo una notte di raid aerei, le forze israeliane stanno conducendo un nuovo assalto di terra nella zona di Jabalia, dove sono in corso intensi scontri.

ANSA – E’ INIZIATA L’INVASIONE ISRAELIANA DI RAFAH (GAZA)

L’invasione di Rafah è ufficialmente iniziata. Non in maniera spettacolare, con i mezzi corazzati dell’esercito israeliano che hanno fatto irruzione nell’ultima città meridionale della Striscia, ma con l’occupazione, che si traduce in un isolamento totale di Gaza, della parte palestinese del valico che collega l’enclave palestinese all’Egitto. A darne conferma, dopo le indiscrezioni giornalistiche circolate nella prima mattina, sono le stesse Forze di Difesa Israeliane (IDF) che con i loro tank hanno preso possesso del confine meridionale della Striscia. Nonostante Hamas abbia annunciato in serata di aver accettato l’accordo per una tregua di sei settimane con Israele, versione smentita dal governo di Tel Aviv secondo cui si tratterebbe di un accordo mai visionato dai vertici dell’esecutivo Netanyahu, le forze israeliane non hanno messo in pausa le loro ambizioni militari nella Striscia e hanno dato inizio all’offensiva per “distruggere Hamas”. Un epilogo che, seppur non chiaro nelle tempistiche, era stato ampiamente annunciato dai vertici del governo israeliano che in più occasioni avevano ribadito che sarebbero “entrati a Rafah, con o senza un accordo”. Nella giornata di lunedì, poi, il lancio di volantini nelle aree urbane con informazioni per la popolazione sulle evacuazioni era stato l’ultimo indizio di un imminente operazione militare di terra. E così è stato, con l’operazione che ha preso il via con altri raid israeliani, provocando la morte di 8 persone. Ad assumere il controllo del valico sono state le forze della Brigata 410. Il passaggio è ora disconnesso con la strada principale di Salah a-Din, nella parte orientale della città di Rafah, a sua volta presa dalla Brigata Givati durante l’offensiva di questa notte. In questo modo, con tutti gli altri varchi al confine con Israele serrati, Gaza è totalmente isolata, con gli aiuti umanitari che non potranno più arrivare alla popolazione in difficoltà. Secondo i dati delle IDF, circa 20 miliziani armati sono stati uccisi e i soldati hanno localizzato tre “significativi” imbocchi di tunnel. Nella prima mattinata, le forze israeliane si sono concentrate anche sull’altro valico a sud, quello di Kerem Shalom che collega la Striscia con Israele e che nelle ultime ore, dopo un’apertura di qualche giorno, è stato nuovamente chiuso per un lancio di razzi da parte di Hamas. Secondo fonti palestinesi, i militari di Tel Aviv hanno bombardato l’area dall’alto e con il fuoco d’artiglieria. A niente sono servite, quindi, le parole del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che incontrando il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha seguito gli appelli di numerosi capi di Stato e di governo da tutto il mondo, ultimi in ordine di tempo anche Emmanuel Macron e Xi Jinping, definendo “intollerabile” un’eventuale invasione di Rafah per le sue “devastanti conseguenze umanitarie e l’impatto destabilizzante nella regione”, invitando “Israele e Hamas a concludere un accordo vitale, un’opportunità che non si può perdere”. Intanto non si placano le violenze anche sul fronte Nord, dove l’esercito israeliano si sta scontrando con le milizie sciite del partito libanese di Hezbollah. Le IDF hanno annunciato la morte di due soldati riservisti ieri a Metulla, colpiti da un drone esplosivo dei combattenti del Partito di Dio.

ANSA – ISRAELE PRENDE IL CONTRO DEL VALICO DI RAFAH: GAZA E’ ISOLATA

L’esercito israeliano ha preso il controllo del valico di Rafah con l’Egitto, isolando di fatto la Striscia di Gaza. Il valico di Rafah è l’unico punto di uscita da Gaza verso il mondo esterno, dove finora sono transitati aiuti e persone evacuate verso il Sinai egiziano. L’operazione dell’Idf è iniziata la notte scorsa con intensi combattimenti di terra nella parte est della città e si è conclusa questa mattina con l’arrivo dei tank della 410/esima brigata corazzata al valico, dove è stata issata la bandiera israeliana. L’esercito ha affermato che il valico di Rafah “era usato a scopi terroristici” e che l’operazione era stata avviata per eliminare i terroristi di Hamas e smantellare le strutture di Hamas nelle specifiche aree della parte est della città. Media arabi e l’agenzia palestinese Wafa hanno riferito che la notte scorsa almeno “20 persone sono state uccise su Rafah, compresi donne e bambini” nei raid israeliani. L’ingresso di Israele a Rafah ha provocato la reazione americana, con Washington che ha ribadito di essere contraria alla manovra militare. Il presidente palestinese Abu Mazen ha fatto appello proprio agli Usa “per impedire alle autorità di occupazione israeliane di invadere Rafah e sfollarne i cittadini”. L’operazione a Rafah è scattata poche ore dopo che il leader di Hamas Ismail Haniyeh ha annunciato, a sorpresa, che la fazione islamica avrebbe accettato la proposta di mediazione per la tregua di Qatar e Egitto. Bozza di accordo che Israele ha definito “inaccettabile” e nella quale ha detto di non riconoscersi, accusando Washington di non averlo informato sull’ultima versione. L’ingresso a Rafah – di cui Hamas e Israele danno opposte chiavi di lettura – non ha tuttavia impedito alle parti di tornare al Cairo per riprendere i negoziati, sotto la spinta degli americani presenti con il capo della Cia William Burns e dei mediatori. “La proposta di Hamas – ha denunciato il premier Benyamin Netanyahu – mirava a sabotare l’operazione a Rafah. Non è successo. L’ingresso a Rafah serve a due principali obiettivi di guerra: il ritorno dei nostri ostaggi e l’eliminazione di Hamas”. Israele, ha avvertito il primo ministro, non cederà al Cairo “sul rilascio degli ostaggi e sui requisiti essenziali per la sicurezza dello Stato”. Le posizioni tra le parti sono distanti, secondo alcune fonti informate sentite dalla Cnn, almeno su tre punti: i detenuti palestinesi, gli ostaggi israeliani da rilasciare e la fine della guerra. La fazione islamica sarebbe pronta a rilasciare 33 ostaggi “vivi o morti”, solo 18 invece nel caso in cui Israele non dovesse accettare la fine della guerra.

ANSA – IL GOVERNO ISRAELIANO ORDINA L’IRRUZIONE NEGLI STUDI DI AL JAZEERA A NAZARETH

Il ministro delle Comunicazioni israeliano, Shlomo Karhi, ha ordinato alle forze dell’ordine di fare irruzione negli studi di Al Jazeera a Nazareth. Gli ispettori del ministero e la polizia hanno confiscato le attrezzature dei giornalisti. Questa azione è avvenuta in un contesto di tensioni tra Israele e Al Jazeera, con accuse di partigianeria per Hamas e la recente approvazione di una legge per chiudere le attività del network nel paese. L’effetto di queste misure sul lavoro giornalistico di Al Jazeera nella regione rimane da chiarire, specialmente per quanto riguarda la copertura delle vicende nei territori palestinesi.

ANSA – L’ESERCITO ISRAELIANO STA AMMASSANDO CARRI ARMATI AL CONFINE CON GAZA

Israele ha recentemente concentrato un considerevole numero di carri armati e veicoli blindati lungo il confine con Gaza, a Kerem Shalom, vicino alla città di Rafah. Questo movimento sembra essere una preparazione per un possibile intervento militare nella città di confine. L’attività militare ha destato preoccupazione a livello internazionale, con gli Stati Uniti che hanno ribadito la loro opposizione a un’operazione militare, invitando Israele a considerare alternative al fine di evitare ulteriori violenze. Rafah è attualmente l’ultima roccaforte di Hamas nel sud di Gaza e potrebbe essere un luogo dove vengono tenuti ostaggi. La città è anche rifugio per oltre un milione di palestinesi sfollati. Gli Stati Uniti, insieme ad altri 17 Paesi, hanno formato una coalizione per chiedere il rilascio immediato di tutti gli ostaggi a Gaza come precondizione per un cessate il fuoco. Tuttavia, Hamas continua a avanzare richieste che Israele considera inaccettabili. L’Egitto, che teme un flusso di profughi da Rafah nel Sinai, sta facendo pressioni su Hamas per accettare un accordo che potrebbe posticipare un eventuale attacco israeliano. L’esercito israeliano ha comunicato che i preparativi per l’attacco sono stati completati e la data dipende ora dal gabinetto di guerra di Tel Aviv. Nonostante gli sforzi diplomatici per raggiungere un accordo, la situazione rimane tesa e incerta. Parallelamente a queste tensioni, gli Stati Uniti hanno annunciato l’inizio della costruzione di un molo temporaneo al largo della costa di Gaza per distribuire aiuti umanitari alla popolazione palestinese. Le operazioni di costruzione sono già in corso, con navi militari statunitensi che hanno avviato i lavori. La costruzione del molo temporaneo è parte degli sforzi internazionali per alleviare la crisi umanitaria nella Striscia di Gaza, aggravata dai sei mesi di conflitto tra Israele e Hamas.

ILPOST – GLI STATI UNITI INIZIANO LA COSTRUZIONE DI UN MOLO TEMPORANEO A GAZA

Gli Stati Uniti hanno avviato la costruzione di un molo temporaneo di fronte alle coste della Striscia di Gaza, con l’obiettivo di facilitare la distribuzione di aiuti umanitari alla popolazione palestinese, che sta affrontando una crisi provocata dai sei mesi di bombardamenti e operazioni militari di Israele. Il generale Patrick Ryder, portavoce del Pentagono, ha dichiarato giovedì 25 aprile che le navi militari statunitensi hanno iniziato a costruire il molo temporaneo galleggiante e la passerella sul mare al largo della costa settentrionale di Gaza. Questo progetto consentirà di avviare la consegna degli aiuti umanitari già all’inizio di maggio. Secondo quanto riportato dal Pentagono, l’operazione prevede che gli aiuti vengano inizialmente trasferiti da navi commerciali provenienti da Cipro su una piattaforma galleggiante. Successivamente, piccole imbarcazioni militari degli Stati Uniti trasporteranno gli aiuti verso il molo ancorato alla riva, da cui verranno prelevati e distribuiti tramite camion provenienti da un paese terzo. Questa operazione sarà svolta con la collaborazione delle forze armate israeliane e statunitensi. Tuttavia, i funzionari statunitensi hanno chiarito che non si aspettano che il molo sostituisca le consegne attraverso i confini terrestri di Gaza, che rimangono il modo più efficiente per portare aiuti umanitari nella regione. Attualmente, la maggior parte degli aiuti entra attraverso varchi di frontiera nel sud di Gaza, ma l’accesso è limitato e ostacolato dalle autorità israeliane. L’operazione degli Stati Uniti presenta alcune criticità evidenti, tra cui la questione della sicurezza del personale incaricato della distribuzione degli aiuti. È emerso che durante un’ispezione delle Nazioni Unite, si è verificata un’esplosione vicino all’area dove il molo toccherà terra, sollevando preoccupazioni sulla sicurezza delle operazioni. Inoltre, l’eventualità di un’operazione militare israeliana nella città di Rafah, nel sud di Gaza, potrebbe complicare ulteriormente l’operazione.

ANSA – IL CAPO DELL’INTELLIGENCE ISRAELIANA SI E’ DIMESSO

Lunedì il capo dell’intelligence militare israeliana Aharon Haliva si è dimesso in relazione al «fallimento» dei servizi segreti nel prevenire o limitare l’attacco da parte di Hamas il 7 ottobre 2023. Il generale Haliva è il primo comandante dell’esercito a dimettersi dopo gli attacchi che hanno causato oltre 1.200 morti in Israele, per lo più civili, e oltre 250 ostaggi. Già la settimana dopo gli attacchi del 7 ottobre, quando i miliziani di Hamas superarono con facilità le difese israeliane e penetrarono all’interno del paese, il generale Haliva si era assunto le proprie responsabilità: «Non abbiamo portato a termine le nostra missione, mi assumo le responsabilità del fallimento». Secondo la stampa israeliana le dimissioni di Haliva potrebbero essere seguite da altri cambi nei vertici militari.

FARODIROMA – I MISSILI LANCIATI DALL’IRAN HANNO RAGGIUNTO I LORO OBIETTIVI?

Il conflitto tra Iran e Israele ha raggiunto un nuovo livello di tensione dopo l’attacco dell’Iran contro le infrastrutture militari israeliane in risposta al bombardamento dell’esercito israeliano contro il consolato iraniano a Damasco, in Siria. L’Iran ha condotto un attacco senza precedenti utilizzando centinaia di droni e circa settanta missili, mirando alle basi militari israeliane, tra cui la base aerea Hatzerim nel deserto di Negev. Secondo quanto riportato, almeno 7 missili lanciati dall’Iran hanno colpito la base aerea di Hatzerim, danneggiando munizioni, aerei da combattimento americani e altri beni di valore. Tuttavia, mentre l’Iran afferma che la metà dei missili ha raggiunto gli obiettivi previsti, Israele sostiene di aver abbattuto il 99% dei missili lanciati. Il presidente degli Stati Uniti Biden ha chiesto a Israele di non rispondere all’attacco iraniano, sottolineando il diritto alla legittima difesa secondo l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite invocato dall’Iran. Tuttavia, non ci sono ancora dichiarazioni ufficiali da parte di Israele riguardo all’entità dei danni subiti. Il ministro degli esteri iraniano ha dichiarato che le forze armate iraniane hanno condotto un’operazione coordinata mirata agli obiettivi militari israeliani. Ha anche menzionato il coinvolgimento della Giordania, che ha concesso il suo spazio aereo alle forze alleate di Israele. Questo attacco dimostra che l’Iran è in grado di rispondere efficacemente ad eventuali minacce e mette in discussione la legge della deterrenza che Israele ha sfruttato per anni. Tuttavia, resta da vedere come evolverà la situazione e quali saranno le conseguenze di questo aumento delle tensioni nella regione.

ANSA – L’IRAN HA LANCIATO UN ATTACCO CON DRONI E MISSILI CONTRO ISRAELE

L’Iran ha lanciato un attacco con droni e missili contro Israele. I droni sono stati lanciati anche dagli Houthi yemeniti e dagli Hezbollah libanesi. Caccia americani e francesi sono decollati per intercettare i droni. Droni e missili iraniani hanno avuto come obiettivi le Alture del Golan e le basi aeree nel Negev, nel sud di Israele. L’Iran ha utilizzato missili ipersonici e Kheibar e chiamato la sua operazione contro Israele “Vadeh Sadegh” (“Vera promessa”). L’Iran ha fatto appello a Israele perché non reagisca al suo attacco, definito giustificato e risposta obbligata al raid contro il consolato di Damasco. “La questione può considerarsi chiusa così”, ha detto la rappresentanza iraniana all’Onu. “Ma se il regime israeliano commetterà un nuovo errore, la risposta sarà considerevolmente più dura”. L’ambasciatore dell’Iran alle Nazioni Unite, Saied Iravani, ha inviato una lettera alla presidenza del Consiglio di sicurezza Onu e al segretario generale Antonio Guterres affermando che l’attacco contro Israele “rientra nell’esercizio del diritto di Teheran all’autodifesa, sancito nell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, e in risposta alle ricorrenti aggressioni militari israeliane e in particolare dopo il raid del 1 aprile”. Il ministro della Difesa dell’Iran ha detto che ogni Paese che consentirà ad Israele di attaccare il suo territorio riceverà “una forte risposta”. Lo riferisce Haaretz che cita media internazionali.

ILPOST – 7 VOLONTARI DELLA ONG WORLD CENTRAL KITCHEN UCCISI DA UN DRONE ISRAELIANO A GAZA

Un drone israeliano ha ucciso sette operatori della ONG World Central Kitchen nella città di Deir al Balah, nel centro della Striscia di Gaza. L’attacco ha avuto luogo nonostante i veicoli fossero chiaramente contrassegnati con il logo ufficiale della ONG e nonostante i movimenti fossero stati comunicati all’esercito israeliano. Gli operatori, provenienti da diversi paesi, tra cui Australia, Polonia, Regno Unito, Stati Uniti, Palestina e Canada, stavano lasciando Deir al Balah dopo aver distribuito oltre 100 tonnellate di aiuti alimentari. Secondo fonti anonime nell’esercito israeliano citate dal quotidiano Haaretz, l’attacco avrebbe avuto come obiettivo un miliziano di Hamas a bordo di un camion nel convoglio. Tuttavia, il presunto miliziano di Hamas non si trovava su nessuna delle tre auto colpite dai missili lanciati dal drone israeliano. Il fondatore della ONG, lo chef José Andrés, aveva precedentemente attribuito la responsabilità dell’attacco all’esercito israeliano, mentre il primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato che l’attacco non mirava “intenzionalmente” agli operatori di World Central Kitchen. La World Central Kitchen ha annunciato immediatamente l’interruzione delle sue operazioni nella Striscia di Gaza in seguito all’attacco. Fondata negli Stati Uniti da José Andrés, la World Central Kitchen si occupa principalmente di fornire assistenza alimentare in aree colpite da disastri naturali e ha anche coordinato la consegna di cibo tramite il “corridoio marittimo” di aiuti umanitari per la Striscia di Gaza. Le ricostruzioni iniziali sono state parzialmente contestate da alcune fonti, tra cui il quotidiano Haaretz stesso. Secondo queste fonti, l’attacco sarebbe stato principalmente causato dalla mancanza di disciplina delle unità militari sul campo, che avrebbero violato le regole e gli ordini dell’esercito. Il governo e l’esercito israeliani hanno successivamente ammesso la responsabilità dell’attacco, definendolo un “tragico caso” e chiedendo scusa per il “danno non intenzionale” causato ai membri della WCK. L’attacco ha ricevuto condanne anche a livello internazionale, con il presidente americano Joe Biden che ha criticato Israele per non aver fatto abbastanza per proteggere gli operatori umanitari e i civili nella regione. Le prime ricostruzioni indicano che l’attacco è stato eseguito con armi di precisione e è stato mirato contro le auto dei volontari mentre viaggiavano nella città di Deir al Balah per preparare una consegna di aiuti umanitari. I sette operatori umanitari uccisi rappresentavano diverse nazionalità, tra cui un palestinese, un’australiana, tre britannici, un polacco e un cittadino statunitense e canadese. Stavano lavorando per organizzare la consegna di aiuti umanitari appena arrivati via mare a Gaza. Tuttavia, l’attacco ha causato la interruzione del programma di aiuti della WCK e di altre organizzazioni umanitarie, aggravando ulteriormente la già critica situazione della popolazione di Gaza. La ricostruzione più dettagliata dell’evento è stata fornita da Haaretz, che ha citato fonti anonime all’interno dell’esercito e dei servizi di intelligence israeliani. Secondo queste fonti, l’attacco è stato eseguito con un drone Hermes 450, che ha colpito le auto una dopo l’altra, nonostante fossero chiaramente identificabili come appartenenti alla WCK. Si è appreso che l’attacco è stato autorizzato dalla centrale di controllo dell’unità responsabile della sicurezza stradale, nonostante il convoglio fosse su un percorso approvato e le auto avessero distintivi della WCK. Tuttavia, rimangono ancora domande senza risposta riguardo alla decisione di attaccare il convoglio della WCK e se il permesso per l’attacco sia stato richiesto o autorizzato dalle autorità competenti. L’esercito israeliano ha avviato un’indagine interna per fare luce su quanto accaduto.

EURONEWS – ISRAELE APPROVA UNA LEGGE PER CHIUDERE I MEDIA STRANIERI

l Parlamento israeliano ha recentemente approvato una legge che conferisce al Primo Ministro e al ministro delle Comunicazioni il potere di chiudere le emittenti straniere operanti nel Paese se considerate una minaccia per la sicurezza dello Stato. Questa decisione si concentra principalmente sui media stranieri accusati di diffondere “propaganda terroristica” a favore del popolo palestinese, con particolare attenzione alla rete Al Jazeera. La Knesset, il Parlamento israeliano, ha dato il via libera definitivo a questa legge lunedì, consentendo al governo di chiudere gli emittenti straniere che rappresentano una minaccia per la sicurezza dello Stato. L’obiettivo principale di questa legge sembra essere Al Jazeera, il canale di notizie con sede in Qatar. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha accusato Al Jazeera di danneggiare la sicurezza nazionale, di aver contribuito agli attacchi di Hamas e di incitare contro Israele. In risposta a ciò, Netanyahu ha affermato che Al Jazeera non sarà più trasmessa in Israele e ha espresso l’intenzione di agire immediatamente per fermare le sue attività nel Paese. Anche il ministro delle Comunicazioni Shlomo Karhi ha appoggiato la decisione, definendo Al Jazeera un “braccio di propaganda di Hamas”. Ha dichiarato che è impossibile tollerare che un media operi dall’interno contro Israele, specialmente durante un conflitto bellico. La nuova legge autorizza il ministro delle Comunicazioni a chiudere i media stranieri che ritiene minaccino la sicurezza nazionale. Questa chiusura può comportare la cessazione della trasmissione, la chiusura degli uffici e la confisca delle attrezzature dell’emittente. Gli ordini di chiusura avranno validità di 45 giorni, ma potranno essere rinnovati. Questa mossa arriva in un momento di tensioni crescenti tra Israele e i media stranieri, in particolare Al Jazeera. Gli Stati Uniti hanno espresso preoccupazione per la decisione di Israele, sottolineando l’importanza della libertà di stampa e criticando l’idea di mettere al bando Al Jazeera. Al Jazeera, dal canto suo, ha respinto le accuse di Netanyahu definendole “menzogne gravi e ridicole” e ha condannato le mosse del governo israeliano come pericolose. La reazione internazionale a questa legge rimane in attesa di sviluppi ulteriori.

EURONEWS – ISRAELE APPROVA UNA LEGGE PER CHIUDERE I MEDIA STRANIERI

Il Parlamento israeliano ha approvato una legge che concede al Primo Ministro e al Ministro delle Comunicazioni il potere di chiudere le emittenti straniere che operano nel Paese e che vengono considerate una minaccia per la sicurezza nazionale. Tale misura prende di mira principalmente i media stranieri accusati di diffondere “propaganda terroristica” a favore del popolo palestinese, con particolare riferimento a Al Jazeera, una rete con sede in Qatar. La nuova legge conferisce al Ministro delle Comunicazioni il potere di vietare le attività dei media che vengono ritenuti dannosi per la sicurezza dello Stato. In particolare, Al Jazeera è stata descritta come un “braccio di propaganda di Hamas” e viene considerata responsabile di danni alla sicurezza israeliana, nonché di aver supportato gli attacchi di Hamas avvenuti il 7 ottobre e di incitare all’ostilità verso Israele. Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Al Jazeera non sarà più autorizzata a trasmettere in Israele e ha espresso la sua intenzione di agire immediatamente per fermare le sue attività in base alla nuova legge. Anche il Ministro delle Comunicazioni Shlomo Karhi ha sottolineato il ruolo di Al Jazeera come strumento di propaganda per Hamas e ha annunciato che la rete verrà chiusa nei prossimi giorni. La legge conferisce al Ministro delle Comunicazioni il potere di ordinare la cessazione delle trasmissioni del canale, la chiusura degli uffici in Israele, la confisca delle apparecchiature e il blocco dell’accesso al sito web, se il server è fisicamente situato nel Paese. Tali ordinanze di chiusura avranno una validità di 45 giorni, con la possibilità di essere rinnovate per ulteriori periodi di 45 giorni. Questa mossa arriva in un contesto in cui il Qatar ha svolto un ruolo di mediazione nei tentativi di raggiungere un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e nel negoziare il rilascio degli ostaggi ancora detenuti da Hamas. Tuttavia, il governo israeliano sembra considerare Al Jazeera come un ostacolo a questi sforzi e ha deciso di agire contro di essa. Le reazioni degli Stati Uniti alla notizia sono state immediate, con la Casa Bianca che ha espresso profonda preoccupazione per la decisione di Israele. Il Dipartimento di Stato ha ribadito il suo sostegno alla libertà di stampa e ha difeso il lavoro svolto dai media indipendenti, incluso Al Jazeera, nell’informare su eventi cruciali come quelli che riguardano la Striscia di Gaza. Al Jazeera, dal canto suo, ha respinto le accuse mosse da Netanyahu e ha definito le azioni del governo israeliano come pericolose e basate su “menzogne gravi e ridicole”. La rete ha condannato tali mosse e ha sottolineato l’importanza del giornalismo indipendente nel portare alla luce la verità su eventi globali.

ATTACCO ISRAELIANO COLPISCE L’AMBASCIATA IRANIANA IN SIRIA

Israele ha bombardato l’ambasciata iraniana a Damasco, capitale della Siria. L’attacco ha distrutto l’edificio in cui c’era il consolato iraniano nel paese. Sarebbero morte almeno 8 persone, tra cui Mohammad Reza Zahedi, alto funzionario del Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche, 2 consiglieri iraniani e 5 membri dei “pasdaran”. Hezbollah, il movimento filo-iraniano in Libano ha affermato che Israele pagherà per il raid israeliano contro l’ambasciata d’Iran a Damasco. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu terrà oggi una riunione aperta, richiesta da Mosca, sull’attacco israeliano al consolato iraniano a Damasco. La presidenza maltese l’ha fissato per le 15:00 ora di New York (le 21:00 in Italia, ndr) del 2 aprile”.

ANSA – ISRAELE: “COLPIREMO HEZBOLLAH DAPPERTUTTO”

Israele vuole estendere la sua offensiva al nord e aumentare gli attacchi contro gli Hezbollah. Lo ha detto il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant in un incontro al Comando nord dell’esercito. Gallant ha aggiunto che l’azione di Israele “sta diventando più offensiva che difensiva e arriveremo ovunque Hezbollah si trovino Beirut, Baalbek, Tiro, Sidone e per tutta la lunghezza del confine: e in posti più lontani, come Damasco”.

ANSA – L’ONU HA APPROVATO LA PRIMA RISOLUZIONE PER UN CESSATE IL FUOCO A GAZA

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha finalmente raggiunto un accordo, approvando la sua prima risoluzione per chiedere un immediato cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Questo sviluppo arriva dopo mesi di stallo causati dai veti incrociati di Russia, Cina e Stati Uniti, che hanno impedito qualsiasi decisione in merito. La risoluzione, che è stata approvata lunedì, ha ottenuto il sostegno di 14 membri del Consiglio, con l’astensione degli Stati Uniti, il cui appoggio a Israele si è gradualmente indebolito nelle ultime settimane. Questo segna una svolta significativa, considerando che gli Stati Uniti sono uno dei principali alleati di Israele e hanno tradizionalmente sostenuto le sue azioni nel conflitto con Hamas. La risoluzione del Consiglio di Sicurezza è vincolante e richiede un cessate il fuoco durante il periodo del Ramadan, la festività religiosa musulmana più importante, che va da marzo ad aprile. Inoltre, la risoluzione prevede la liberazione immediata di tutti gli ostaggi detenuti da Hamas nella Striscia di Gaza e incoraggia Israele a facilitare l’ingresso degli aiuti umanitari nella regione, dove la crisi umanitaria è diventata estremamente grave. L’ufficio del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha criticato l’approvazione della risoluzione, sostenendo che comprometterà gli sforzi di Israele per liberare gli ostaggi trattenuti da Hamas. Inoltre, Netanyahu ha annunciato la cancellazione di una visita di una delegazione israeliana prevista a Washington DC, negli Stati Uniti. La risoluzione è stata presentata dai dieci membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza e approvata nonostante il veto precedentemente posto dagli Stati Uniti su richieste simili. Mentre la rappresentante degli Stati Uniti all’ONU, Linda Thomas-Greenfield, ha affermato che la risoluzione è in linea con gli sforzi diplomatici degli Stati Uniti, il paese si è astenuto dal voto a causa di alcune discrepanze nel testo.

SCENARIECONOMICI – ANONYMOUS SAREBBE RIUSCITA A VIOLARE LA CENTRALE NUCLEARE ISRAELIANA DI DIMONA

Il gruppo di hacker conosciuto come Anonymous ha affermato di essere riuscito a violare il sito nucleare israeliano di Dimona, prelevando migliaia di documenti senza mettere in pericolo le persone coinvolte. L’annuncio è stato fatto dal quotidiano Haaretz. Domenica sera, il gruppo ha diffuso pubblicamente sette gigabyte di informazioni provenienti dal Centro di Ricerca Nucleare del Negev, che includevano presentazioni PowerPoint, e-mail, fatture e altro materiale. La portata esatta della sensibilità delle informazioni divulgate non è ancora stata determinata. Questi dati presumibilmente rubati sono stati pubblicati sui social media, con il gruppo che ha dichiarato che l’azione era finalizzata a sostenere i palestinesi nel contesto del conflitto a Gaza. Anonymous è un’organizzazione decentralizzata composta da attivisti di tutto il mondo, il cui grado di credibilità e le intenzioni reali dietro i loro atti rimangono spesso ambigui. È possibile che le informazioni diffuse siano parte di una guerra psicologica o un tentativo di influenzare l’opinione pubblica, piuttosto che una minaccia concreta alla sicurezza nucleare. Potrebbero anche essere informazioni precedentemente ottenute in altri cyberattacchi. Secondo quanto dichiarato dal gruppo sui social media, sono riusciti ad accedere a diversi server del centro di ricerca senza provocare danni alle persone coinvolte. Hanno anche affermato di aver eliminato alcune informazioni dai server durante l’attacco e di averne conservate altre per dimostrare il successo dell’operazione. Anonymous sostiene di essere in possesso di migliaia di documenti, compresi PDF, e-mail, fogli Excel, documenti Word e presentazioni PowerPoint. L’esposizione delle e-mail indica che i hacker hanno avuto accesso a informazioni relative alle attività in corso presso il centro di ricerca. L’impianto di ricerca nucleare di Dimona ospita un reattore nucleare ad acqua pesante e diverse strutture che potrebbero essere coinvolte nello sviluppo di armi nucleari israeliane. Tuttavia, la portata esatta delle attività nucleari a Dimona non è stata ufficialmente confermata dal governo israeliano.

AGI – ISRAELE HA LANCIATO MISSILI VICINO DAMASCO, CAPITALE DELLA SIRIA

Il 19 marzo 2024, Israele ha condotto un attacco missilistico in Siria mirando diversi obiettivi militari nelle vicinanze della capitale, Damasco. Il Ministero della Difesa siriano ha confermato l’azione, riferendo che le difese aeree del paese hanno intercettato e abbattuto alcuni dei missili israeliani. Secondo fonti ufficiali, l’attacco ha causato danni materiali significativi. L’Iran è stato identificato come uno dei principali sostenitori del presidente siriano Bashar al-Assad durante il lungo conflitto che ha afflitto la Siria per quasi dodici anni. Il suo sostegno al regime di Damasco e al gruppo Hezbollah libanese ha spinto Israele a condurre regolari attacchi aerei, intensificatisi dopo l’inizio delle ostilità tra Hamas e Israele lo scorso 7 ottobre. Le trattative per raggiungere un cessate il fuoco tra Israele e Hamas, in corso a Doha, hanno subito una turbolenza dopo l’attacco israeliano all’ospedale di Al-Shifa a Gaza. Nonostante ciò, funzionari egiziani presenti ai colloqui hanno persuaso i rappresentanti di Hamas a rimanere al tavolo dei negoziati. Tuttavia, è improbabile che tali discussioni portino a un cessate il fuoco permanente, poiché Israele ha escluso categoricamente questa possibilità, ribadendo l’intenzione di smantellare Hamas anche dopo un accordo. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha espresso il suo sostegno a Israele, affermando che il paese ha il diritto di difendersi dagli attacchi di Hamas, definito come un gruppo terroristico responsabile di gravi violazioni dei diritti umani. Biden ha riaffermato la necessità di un cessate il fuoco immediato come parte di un accordo più ampio per garantire il rilascio di ostaggi e aumentare gli aiuti umanitari per la popolazione civile di Gaza. Le Forze armate israeliane hanno giustificato l’attacco all’ospedale di Al-Shifa, affermando che Hamas opera sistematicamente da infrastrutture civili, incluso l’ospedale, e sfrutta civili e pazienti come scudi umani. Durante l’operazione, sono state arrestate più di duecento persone sospette di attività terroristiche, e sono stati eliminati più di venti terroristi, tra cui il capo delle operazioni speciali della sicurezza interna di Hamas. Le forze israeliane hanno anche rinvenuto armi e denaro all’interno dell’ospedale, che presumibilmente erano destinati a sostenere le attività terroristiche di Hamas. Il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, prevede di fare un nuovo viaggio in Medio Oriente, con tappe in Arabia Saudita e in Egitto, per continuare gli sforzi volti a garantire un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e a incrementare gli aiuti umanitari alla popolazione colpita dal conflitto. Questo sarà il suo sesto viaggio nella regione dall’inizio delle ostilità tra Israele e Hamas.

ANSA – GLI STATI UNITI CONFERMANO LA MORTE DI MARWAN ISSA, UNO DEGLI UOMINI PIU’ IMPORTANTI DI HAMAS

In una dichiarazione resa pubblica lunedì, il consigliere per la Sicurezza degli Stati Uniti, Jake Sullivan, ha confermato l’uccisione di Marwan Issa, uno degli uomini più importanti di Hamas. Issa è stato identificato come il vice capo dell’ala armata del gruppo palestinese e uno dei presunti organizzatori degli attacchi condotti da Hamas lo scorso 7 ottobre in territorio israeliano. L’uccisione di Issa è avvenuta durante un bombardamento israeliano nella Striscia di Gaza nella settimana precedente. Le autorità israeliane avevano precedentemente indicato Issa come obiettivo durante uno dei loro raid, ma fino alla conferma degli Stati Uniti, la sua morte non era stata ufficialmente confermata. Marwan Issa, noto per il suo ruolo di spicco sia nel braccio politico di Hamas che nelle brigate al Qassam, la sua ala armata, è stato descritto come una figura di alto livello all’interno del gruppo, ma poco conosciuto al di fuori di esso. Raramente appariva in pubblico e concedeva interviste con estrema parsimonia. Fonti israeliane hanno riportato che il corpo di Issa è stato ritrovato sotto le macerie di un edificio distrutto durante un attacco aereo israeliano a Nuseirat, nella parte centrale della Striscia di Gaza. Si suppone che Issa sia stato colpito mentre si nascondeva in uno dei numerosi tunnel utilizzati da Hamas per il trasporto di armi e rifornimenti. La morte di Issa è stata anticipata da fonti palestinesi citate dal canale televisivo israeliano Kan. Secondo tali fonti, Issa è stato ucciso nello stesso raid che ha causato la morte di un altro comandante di brigata di Hamas. Questo colpo segna un duro colpo per Hamas, anche se esperti e analisti ritengono che il gruppo abbia le risorse per sostituire le sue figure di rilievo. Issa, che aveva meno di 60 anni, ha ricoperto il ruolo di vice di Mohammed Deif, capo delle brigate al Qassam, ed era considerato una figura chiave nell’organizzazione. La sua morte è stata accolta con reazioni contrastanti da parte degli osservatori internazionali, con alcuni che ritengono che possa avere un impatto significativo sulle attività di Hamas, mentre altri sono più scettici riguardo a tale possibilità. Le autorità israeliane hanno commentato l’evento affermando che è un segno del loro impegno continuo nel contrastare le attività terroristiche di Hamas e garantire la sicurezza del proprio popolo. Si prevede che l’uccisione di Issa possa influenzare ulteriormente la dinamica del conflitto in corso tra Israele e Hamas, anche se l’esito preciso rimane incerto.

ANSA – L’ESERCITO ISRAELIANO PRENDE IL CONTROLLO DELL’OSPEDALE AL-SHIFA A GAZA

Il 18 marzo, l’esercito israeliano ha preso il controllo dell’ospedale Al-Shifa situato a Gaza City. L’operazione è stata descritta come “di alta precisione” e mirava a individuare alti funzionari di Hamas presenti nella struttura medica. Secondo il portavoce militare israeliano, Daniel Hagari, l’esercito ha richiesto ai membri di Hamas all’interno dell’ospedale di arrendersi e uscire. Durante l’assalto, sono state catturate 80 persone sospette, alcune delle quali sono state identificate come terroristi operativi. Ci sono stati scontri a fuoco sul terreno dell’ospedale, con numerosi uomini armati di Hamas riportati come uccisi e feriti. L’obiettivo dell’operazione, secondo il portavoce militare, era impedire ad Hamas di utilizzare l’ospedale per organizzare attacchi contro Israele. Tuttavia, il Ministero della sanità di Gaza ha riferito che circa 30.000 persone, tra cui civili sfollati, pazienti feriti e personale medico, sono rimaste intrappolate all’interno dell’ospedale Al-Shifa a causa dell’assalto israeliano. Si è verificato un incendio vicino al cancello dell’ospedale, e ci sono stati casi di soffocamento tra le donne e i bambini presenti negli edifici. Il Ministero ha lanciato un appello alle organizzazioni internazionali affinché fermassero immediatamente l’assalto, definendolo un “massacro israeliano” contro i malati, i feriti, gli sfollati e il personale medico. Gli sfollati sono stati segnalati intrappolati in due edifici dell’ospedale, e il Ministero ha denunciato come crimine il prendere di mira chiunque si avvicini alle finestre dell’ospedale.

SKYTG24 – GLI USA HANNO FORNITO “SEGRETAMENTE” ARMI A ISRAELE DAL 7 OTTOBRE

Un recente rapporto del Washington Post ha rivelato che gli Stati Uniti hanno autorizzato in modo furtivo più di 100 vendite di armi a Israele dall’inizio della guerra a Gaza il 7 ottobre, nonostante le crescenti preoccupazioni per le azioni del regime israeliano contro il territorio assediato. Secondo funzionari statunitensi, in un briefing classificato fornito ai membri del Congresso, queste vendite includono migliaia di munizioni guidate di precisione, bombe di piccolo diametro, rompi-bunker e armamenti di vario calibro. Fino ad ora, solo due di queste vendite erano state rese pubbliche, ma l’entità delle altre 100 transazioni era sconosciuta. L’amministrazione Biden ha richiesto l’approvazione del Congresso solo per due di queste forniture: una consisteva in munizioni per carri armati del valore di 106 milioni di dollari e l’altra in componenti per proiettili da 155 mm per un totale di 147,5 milioni di dollari. Tuttavia, le restanti 100 vendite sono state elaborate senza un dibattito pubblico, poiché ognuna corrispondeva a un importo specifico in dollari che richiedeva solo una notifica individuale al Congresso. L’ex funzionario dell’amministrazione Biden, Jeremy Konyndyk, ha commentato che queste numerose vendite di armi in un breve lasso di tempo suggeriscono che la campagna israeliana non sarebbe sostenibile senza un così alto livello di supporto dagli Stati Uniti. Josh Paul, ex portavoce del Dipartimento di Stato, ha denunciato la mancanza di trasparenza nel processo di trasferimento di armi, sottolineando che il finanziamento di queste forniture attraverso i fondi dei contribuenti statunitensi merita maggiore attenzione pubblica e trasparenza. Gli Stati Uniti hanno fornito oltre 10.000 tonnellate di equipaggiamento militare a Israele e hanno utilizzato il loro potere di veto per bloccare tutte le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiedevano un cessate il fuoco immediato a Gaza. La campagna militare israeliana contro Gaza ha causato la morte di oltre 30.700 persone, in gran parte donne e bambini, suscitando sempre più preoccupazioni sulla condotta delle operazioni e sulle implicazioni delle forniture di armi da parte degli Stati Uniti.

ANSA – PRESIDENTE TURCO EDOGAN: “SOSTENIAMO FERMAMENTE I LEADER DI HAMAS”

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato in un discorso a Istanbul che la Turchia “sostiene fermamente” i leader di Hamas, rifiutando di classificare l’organizzazione come terroristica. “Nessuno può indurci a descrivere Hamas come un’organizzazione terroristica. La Turchia è il Paese che parla apertamente di tutto con i leader di Hamas e li sostiene fermamente,” ha dichiarato il capo di Stato turco. La dichiarazione di Erdogan giunge in un contesto in cui il bilancio delle vittime a Gaza continua a crescere, raggiungendo quota 30.960 morti, con 82 decessi registrati nelle ultime 24 ore, secondo il ministero della Sanità di Hamas. Il numero di feriti ha superato gli 72.524, secondo la stessa fonte. Nel frattempo, il Comando statunitense per il Medio Oriente (Centcom) ha smentito le voci secondo cui la morte di civili palestinesi a Gaza sarebbe stata causata da lanci di pacchi di aiuti umanitari statunitensi. “Siamo a conoscenza delle segnalazioni di civili uccisi a seguito di lanci umanitari. Esprimiamo la nostra solidarietà alle famiglie di coloro che sono stati uccisi,” si legge in un messaggio di Centcom pubblicato su X. “Contrariamente ad alcuni rapporti, questo non è stato il risultato dei lanci aerei statunitensi.”

SKYTG24 – ISRAELE APPROVA LA COSTRUZIONE DI 350 ALLOGGI IN CISGIORDANIA

Nonostante le condanne internazionali da parte dell’ONU, della Corte Internazionale di Giustizia, dell’Unione Europea e di organizzazioni come Amnesty International, Human Rights Watch e la Corte Penale Internazionale, Israele ha dato il via libera alla costruzione di 3.400 nuove abitazioni all’interno di vari insediamenti della Cisgiordania. Il ministro israeliano Bezalel Smotrich ha dichiarato: “Nell’ultimo anno abbiamo autorizzato 18.515 unità abitative sul territorio. I nostri nemici vogliono indebolirci, ma noi continuiamo a costruire e a rafforzarci”. La Commissione Suprema per la Progettazione ha approvato oggi la costruzione di 3500 alloggi, distribuiti nella città-colonia di Maaleh Adumim, nel villaggio di Keidar e ad Efrat, vicino a Betlemme. Questi progetti sono stati annunciati in seguito a un attentato palestinese presso Maaleh Adumim, che ha causato la morte di due cittadini israeliani. Smotrich, in qualità di ministro delle finanze e responsabile della politica di insediamento in Cisgiordania all’interno del ministero della difesa, ha espresso la determinazione di Israele nel continuare la costruzione degli insediamenti, definendo il numero di alloggi autorizzati nell’ultimo anno “senza precedenti”. Il ministro ha sottolineato l’importanza strategica degli insediamenti per la sicurezza dello Stato di Israele, affermando che dove sono presenti gli insediamenti, c’è sicurezza, mentre dove non ci sono, ci sono minacce terroristiche che mettono in pericolo tutto il paese. Infine, ha concluso che gli insediamenti nella Giudea e Samaria rappresentano una fascia di sicurezza essenziale per Israele.

ILPOST – IL RAPPORTO ONU SULLE VIOLENZE SESSUALI COMPIUTE DA HAMAS IL 7 OTTOBRE

Lunedì, l’ONU ha reso pubblici i risultati di un’indagine dettagliata sulle violenze sessuali perpetrare da Hamas durante l’attacco del 7 ottobre in territorio israeliano. Il rapporto conferma le gravi accuse già emerse da diverse inchieste giornalistiche, sottolineando l’esistenza di “chiare e convincenti informazioni” su casi di violenza sessuale in almeno tre località durante l’attacco. Secondo il rapporto, gli ostaggi rapiti durante l’assalto e trasferiti a Gaza sono stati vittime di stupri, torture a sfondo sessuale e trattamenti inumani e degradanti. Il documento, risultato di un mese e mezzo di indagine condotta in collaborazione tra Israele e la Cisgiordania, è guidato da Pramila Patten, rappresentante speciale del segretario generale dell’ONU per la violenza sessuale in guerra. Il rapporto riporta testimonianze e prove di violenze sessuali anche su persone palestinesi da parte di forze di sicurezza israeliane e coloni in Cisgiordania. Gli episodi di stupro durante l’attacco del 7 ottobre sono documentati in diverse località, tra cui l’area del festival musicale Supernova e alcuni kibbutz lungo la strada statale 232. Le donne vittime di violenza sessuale venivano, nella maggior parte dei casi, successivamente uccise, con almeno due casi di “violenza perpetrata sui cadaveri”. Il rapporto indica che in alcune situazioni, non è stato possibile raccogliere prove legali di stupri e violenze a causa delle operazioni di soccorso mirate a salvare i superstiti e recuperare i corpi. Oltre alle violenze sessuali, il rapporto documenta denunce di “trattamenti crudeli, inumani e degradanti” ai danni dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. Questi includono ispezioni corporali prolungate, minacce di stupro e persone costrette a rimanere a lungo senza vestiti. L’ONU evidenzia che tali abusi potrebbero ancora essere in corso sugli ostaggi detenuti da Hamas.

EURONEWS – GAZA: COMMISSIONE UE SBLOCCA GLI AIUTI ALL’UNRWA

La Commissione Europea ha deciso di riattivare il sostegno all’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, annunciando il rilascio di fondi significativi per affrontare le emergenze umanitarie a Gaza. L’annuncio è stato fatto da Bruxelles tramite una nota dell’esecutivo comunitario. Inizialmente, la Commissione verserà 50 milioni di euro all’Unrwa all’inizio della prossima settimana, seguiti da ulteriori 32 milioni in una fase successiva. Inoltre, è stato deciso di stanziare altri 68 milioni di euro nel corso del 2024 per sostenere la popolazione palestinese. Questi fondi saranno distribuiti attraverso partner internazionali come la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa, portando il totale degli aiuti previsti a 150 milioni di euro.

L’INDIPENDENTE – L’ONU CHIEDE IL BLOCCO DELLA VENDITA DI ARMI A ISRAELE

L’ONU ha emesso un comunicato stampa urgente in cui ha richiesto l’immediato embargo sulla vendita di armi a Israele, sottolineando che ogni trasferimento di armamenti da parte di Israele verso Gaza potrebbe violare il diritto umanitario internazionale. Tale richiesta è basata sulla sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 26 gennaio, che ha evidenziato il rischio di genocidio a Gaza, e sulla Convenzione sul Genocidio del 1948, che impone agli Stati l’obbligo di fare tutto il possibile per prevenire il genocidio in un altro Stato. L’ONU ha sottolineato la necessità di azioni concrete e ha indicato che, alla luce degli eventi in corso, è imperativo interrompere immediatamente le esportazioni di armi. Questa richiesta si unisce alle dichiarazioni sempre più incisive dell’ONU, che utilizza un linguaggio deciso per coinvolgere gli Stati nell’urgente cessazione della crisi umanitaria a Gaza. La dichiarazione dell’ONU ha accolto positivamente la decisione della corte d’appello olandese di sospendere le esportazioni di aerei da caccia F-35 in Israele. Il comunicato ha fornito dati allarmanti, inclusa la distruzione del 60% delle abitazioni civili, danni a ospedali, risorse idriche e alimentari, fame, malnutrizione, oltre a oltre 29.000 morti e quasi 70.000 feriti dal 7 ottobre. Questi numeri, secondo l’ONU, dimostrano chiaramente che Israele ha sistematicamente violato il diritto internazionale. Il documento ha evidenziato che i blocchi delle importazioni da parte di alcuni paesi non sono sufficienti e ha sottolineato l’urgente necessità di una sospensione immediata dei trasferimenti di armi da parte di tutti gli Stati membri, comprese licenze di esportazione e aiuti militari. L’embargo dovrebbe includere anche il commercio con Hamas e altri gruppi affiliati, in ottemperanza alle normative internazionali. Il comunicato ha avvertito gli ufficiali statali coinvolti nelle esportazioni di armi che potrebbero essere personalmente responsabili penalmente per eventuali crimini di guerra, crimini contro l’umanità o atti di genocidio. Gli Stati sono stati invitati a fare tutto il possibile per prevenire e fermare le violazioni del diritto internazionale. Le aziende produttrici di armi sono state avvisate che potrebbero essere coinvolte in violazioni e complicità. L’ONU ha concluso il comunicato sottolineando che “il diritto internazionale non si impone da solo” e ha esortato tutti gli Stati a evitare di essere complici di crimini internazionali attraverso il commercio di armi. La richiesta finale è stata quella di porre fine all’atroce catastrofe umanitaria a Gaza.

AVVENIRE – ISRAELE SPARA SULLA FOLLA ACCALCATA PER GLI AIUTI: 100 MORTI E 700 FERITI

Questa mattina a Gaza durante la distribuzione di aiuti alimentari, la folla è stata colpita da proiettili e colpi di arma da fuoco, causando oltre 100 morti e 700 feriti. Israele nega la responsabilità diretta, affermando che solo 10 persone sono state colpite direttamente dagli spari, mentre il resto delle vittime è stato causato dalla calca e dal caos. Secondo i resoconti, l’assalto ai camion degli aiuti umanitari è avvenuto quando le persone si sono precipitate verso i veicoli alla ricerca disperata di cibo. Le forze israeliane hanno dichiarato di aver sparato sulla folla percepita come minaccia, mentre i testimoni riportano che la violenza è scoppiata quando la folla è arrivata troppo vicino ai carri armati dell’esercito. Le autorità mediche di Gaza stanno lottando per gestire il gran numero di vittime, con gli ospedali già sovraccarichi e le équipe mediche che faticano ad affrontare il volume e il tipo di ferite riportate. La situazione umanitaria a Gaza è sempre più critica, con la maggior parte della popolazione minacciata dalla carestia. Gli aiuti alimentari sono essenziali per la sopravvivenza della popolazione, ma la loro distribuzione è ostacolata dalla distruzione, dai combattimenti e dai saccheggi. Secondo l’Unrwa, il flusso di aiuti è diminuito drasticamente, mettendo a rischio la vita di molte persone.

AGI – IL PIANO DI NETANYAHU PER IL DOPOGUERRA

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha presentato il suo piano per il dopoguerra, delineando la visione di Israele per il futuro della Striscia di Gaza, della Cisgiordania e di Gerusalemme Est. Il piano, presentato al gabinetto di guerra per l’approvazione, prevede una serie di misure volte a garantire la sicurezza e la stabilità nella regione dopo la fine del conflitto. Secondo il piano di Netanyahu, Israele manterrà il controllo sulla sicurezza della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, con l’obiettivo di smilitarizzare completamente l’enclave di Gaza. Il controllo israeliano sarà esteso anche al confine tra Gaza e l’Egitto, con misure per prevenire il contrabbando e impedire il riemergere di attività terroristiche. Per quanto riguarda l’amministrazione civile e l’ordine pubblico, il piano prevede che funzionari locali con esperienza amministrativa si occupino di gestire queste questioni, con l’obiettivo di promuovere la stabilità e prevenire il sostegno al terrorismo. Netanyahu ha anche annunciato un programma di deradicalizzazione delle istituzioni religiose ed educative nella Striscia di Gaza, con il supporto di altri Paesi arabi. Nel lungo termine, Netanyahu ha ribadito il rifiuto di uno Stato palestinese e ha previsto la fine dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unrwa), sostituendola con agenzie umanitarie internazionali.

ANSA – USA METTONO IL VETO SU UNA RISOLUZIONE ONU CHE CHIEDE IL CESSATE IL FUOCO A GAZA

Gli Stati Uniti hanno posto il veto su una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva un cessate il fuoco umanitario, immediato e definitivo nella Striscia di Gaza. Come uno dei cinque membri permanenti del Consiglio, insieme a Cina, Francia, Russia e Regno Unito, gli Stati Uniti hanno esercitato il loro diritto di veto, bloccando la decisione. Questo è il terzo veto statunitense su risoluzioni che cercano un cessate il fuoco nella regione. La risoluzione, proposta dall’Algeria, ha ricevuto il sostegno di 13 paesi membri del Consiglio, mentre il Regno Unito si è astenuto dalla votazione. Gli Stati Uniti hanno giustificato il loro veto sostenendo che un cessate il fuoco in questo momento potrebbe mettere a rischio le negoziazioni in corso con Qatar ed Egitto per porre fine al conflitto tra Israele e Hamas a Gaza, iniziato dopo l’attacco di Hamas in territorio israeliano l’7 ottobre. Gli Stati Uniti, tuttavia, hanno presentato una proposta alternativa di cessate il fuoco, che include condizioni diverse, tra cui un cessate il fuoco provvisorio “non appena fattibile”. La proposta degli Stati Uniti richiede anche la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani detenuti da Hamas e la rimozione delle barriere che ostacolano l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza. Al momento, non è chiaro quando il Consiglio di sicurezza voterà sulla proposta statunitense.

ANSA – PROGRAMMA ALIMENTARE MONDIALE (PAM) SOSPENDE GLI AIUTI ALIMENTARI A GAZA

Il Programma Alimentare Mondiale (PAM), agenzia dell’ONU dedicata all’assistenza alimentare globale, ha annunciato la sospensione del suo piano di aiuti nella parte settentrionale della Striscia di Gaza. Questa decisione avrà un impatto diretto sulla vita di oltre 300.000 persone rimaste nella zona nord, nonostante le richieste dell’esercito israeliano di evacuare e rifugiarsi nel sud, in previsione di un’imminente operazione terrestre. Israele ha ordinato l’evacuazione di due quartieri nella città di Gaza, nel nord della Striscia, dove si sono concentrati gli attacchi iniziali durante l’operazione militare in corso. Il portavoce del PAM ha spiegato che la sospensione è stata determinata dai continui attacchi subiti dal personale durante il trasporto degli aiuti alimentari. Recentemente, un convoglio dell’agenzia è stato bersagliato da colpi di arma da fuoco, e diversi camion sono stati saccheggiati lungo la rotta tra le città di Khan Yunis e Deir al-Balah. Il PAM ha dichiarato di lavorare per riprendere le consegne il prima possibile, con un approccio responsabile, e ha chiesto l’apertura di nuovi punti di accesso nel nord di Gaza per garantire la continuità degli aiuti alimentari alla popolazione bisognosa.

AGI – ANCHE L’ULTIMO OSPEDALE DI GAZA HA SMESSO DI FUNZIONARE

L’ospedale Nasser, il secondo più grande della Striscia di Gaza, ha cessato di funzionare dopo una settimana di assedio israeliano, ha dichiarato il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Tedros Adhanom Ghebreyesus. Nonostante i tentativi del team dell’OMS di valutare le condizioni dei pazienti e fornire assistenza medica urgente, l’accesso è stato negato, con circa 200 pazienti ancora all’interno e almeno 20 necessitando di trasferimenti immediati per cure essenziali. Il portavoce del governo israeliano, Eylon Levy, ha risposto alle accuse dell’OMS, accusando Ghebreyesus di essere “complice” degli eventi a Gaza. Levy ha puntato il dito contro presunte attività militari di Hamas negli ospedali, sostenendo che l’OMS non ha sollevato obiezioni in passato. Nel corso degli attacchi israeliani questa settimana, sono stati effettuati arresti di massa e istituiti posti di blocco militari nella zona. Secondo le forze di difesa israeliane, durante le operazioni nell’ospedale, sono state individuate armi e decine di “sospettati di terrorismo” sono stati detenuti, tra cui membri di Hamas. Nel frattempo, il Ministero della Salute di Gaza ha denunciato la morte di quattro pazienti in terapia intensiva a causa di un’interruzione di corrente che ha interrotto la fornitura di ossigeno. Il canale libanese Al Mayadeen ha riferito che circa 150 pazienti non possono essere evacuati a causa del blocco imposto dalle forze israeliane. Tra di essi ci sono sette pazienti in terapia intensiva, cinque in dialisi e tre neonati. Il rifiuto di spostare i pazienti mette seriamente a rischio le loro vite, mentre l’indifferenza globale continua a circondare la crisi umanitaria a Gaza.

REPUBBLICA – KHAN YUNIS (GAZA): ESERCITO ISRAELIANO ENTRA NEL NASSER MEDICAL COMPLEX (L’OSPEDALE PIU’ GRANDE RIMASTO APERTO NELLA STRISCIA

Mercoledì, l’esercito israeliano ha emesso un ordine di evacuazione per migliaia di persone dall’Ospedale Nasser Medical Complex a Khan Yunis, la città nel sud della Striscia di Gaza. Questa è la struttura sanitaria più grande rimasta operativa dopo l’assedio e l’attacco all’Ospedale di al-Shifa. Israele afferma che Hamas opera all’interno dell’ospedale e nelle zone circostanti. Il personale medico ha segnalato che, negli ultimi giorni, le persone sono state colpite dagli spari dei cecchini mentre erano nell’area dell’ospedale. L’esercito israeliano sostiene che solo le persone sane che si sono rifugiate nell’ospedale per proteggersi dalla guerra dovranno lasciare la struttura, escludendo pazienti e personale medico. Un percorso sicuro è stato aperto per l’evacuazione, afferma l’esercito. Testate internazionali hanno documentato che centinaia di sfollati hanno iniziato a lasciare l’ospedale, sottoposti a ispezioni militari. Le condizioni all’interno erano già difficili, con un afflusso costante di feriti e carenza di letti. Il dottor Jacob Burns di Medici Senza Frontiere ha evidenziato le difficoltà, con i pazienti costretti a restare per terra. Inoltre, i carri armati israeliani hanno danneggiato la struttura, causando perdite di forniture mediche e danni al sistema idraulico. Spostare i pazienti altrove è complicato, poiché le strutture mediche vicine sono più piccole e già sovraffollate. La situazione è critica, con 11 ospedali funzionanti e altri 22 chiusi nella Striscia di Gaza, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità. L’Ospedale Nasser, nonostante sia il più grande ancora operativo, soffre di carenze di medicine e attrezzature mediche di base. La situazione rappresenta un’urgente emergenza umanitaria.

ANSA – ISRAELE PROPONE ALL’EGITTO UN PIANO PER EVACUARE I CIVILI DA RAFAH (GAZA)

Il Wall Street Journal riporta che Israele ha presentato all’Egitto un piano per evacuare i civili da Rafah, città nella Striscia di Gaza non ancora attaccata via terra da Israele. La proposta non è stata confermata ufficialmente da nessuna delle due parti. 1,4 milioni di palestinesi si sono rifugiati a Rafah a causa della guerra in corso tra Israele e Hamas. Diversi paesi, tra cui gli Stati Uniti, hanno chiesto di proteggere i civili in caso di attacco. Il piano di Israele prevede l’evacuazione in 15 campi con 25mila tende ciascuno lungo la costa sud-occidentale della Striscia di Gaza. Finanziamento da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati arabi, gestione affidata all’Egitto. L’Egitto ha ribadito di non voler accogliere rifugiati sul proprio territorio. Ha recentemente dispiegato 40 carri armati al confine e ritiene Israele responsabile di una eventuale crisi umanitaria. L’Egitto ha amministrato la Striscia di Gaza dal 1948 al 1967.

ANSA – ISRAELE VIETA L’INGRESSO ALLA FUNZIONARIA DELL’ONU FRANCESCA ALBANESE

Israele ha vietato l’ingresso nel Paese a Francesca Albanese, funzionaria italiana del Consiglio dei diritti umani dell’Onu, in risposta ai suoi commenti considerati oltraggiosi. Albanese aveva dichiarato che le vittime del massacro del 7 ottobre non sono state uccise a causa del loro giudaismo, ma in risposta all’oppressione israeliana, suscitando reazioni negative. Il governo israeliano ha ufficialmente annunciato il divieto, motivandolo con le “oltraggiose affermazioni” di Albanese. I ministri degli Esteri e dell’Interno hanno dichiarato che l’Onu deve sconfessare pubblicamente le parole “antisemite” dell’inviata speciale e licenziarla in modo permanente. Albanese ha risposto alla decisione definendo il divieto di ingresso una pratica non nuova, sottolineando che Israele ha negato l’ingresso a tutti i Relatori Speciali/OPt dal 2008. Ha anche affermato che il divieto non deve distrarre dalle atrocità israeliane a Gaza, criticando il bombardamento di persone nelle “aree sicure” di Rafah come un nuovo livello di orrore.

L’INDIPENDENTE – ISRAELE VUOLE INCARCERARE CHI NEGA LA NARRAZIONE UFFICIALE SUGLI ATTACCHI DEL 7 OTTOBRE

La Commissione Ministeriale per gli Affari Legislativi israeliana ha discusso una proposta di legge che punirebbe con la reclusione fino a cinque anni chi nega o minimizza la narrazione ufficiale israeliana sugli attacchi del 7 ottobre. La notizia è stata diffusa da diversi media, tra cui il Jerusalem Post e Walla. La proposta, avanzata dal parlamentare Oded Forer, non è ancora stata pubblicata sul sito web del governo o della Knesset, il parlamento israeliano. Tuttavia, secondo i media, la proposta sancisce che “la negazione del massacro è un tentativo di riscrivere la storia” e che “l’espressione di supporto per gli atti dei terroristi richiede speciali, serie e immediate attenzioni da parte dello Stato”. Insieme alla proposta di Forer, la Commissione ha discusso altri due emendamenti: Uno, proposto da Almog Cohen, prevederebbe la deportazione dei familiari dei “terroristi” affiliati ad Hamas che sapevano dell’attacco del 7 ottobre. L’altro, proposto da David Amsalem, limiterebbe l’accesso ai benefici di sicurezza sociale per le famiglie dei “terroristi”.

EURONEWS – NETANYAHU RIFIUTA LA TREGUA PROPOSTA DA HAMAS

Mercoledì sera, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato il rifiuto da parte di Israele della proposta di tregua di 135 giorni avanzata da Hamas per la Striscia di Gaza. La proposta includeva il rilascio di ostaggi israeliani e il ritiro completo delle truppe israeliane dalla regione. Netanyahu ha respinto la proposta, sostenendo che accettare le condizioni di Hamas porterebbe a un ulteriore pericolo per Israele. Egli ha ribadito l’importanza di mantenere la pressione militare su Hamas per garantire il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani detenuti nella Striscia. La proposta di tregua di Hamas è giunta in risposta a negoziati precedenti, i quali avevano portato a una proposta di cessate il fuoco con l’inizio della liberazione degli ostaggi. Tuttavia, le trattative sono ora in stallo, con Hamas che richiede fasi distinte di liberazione degli ostaggi e ritiro delle truppe. Le trattative per una tregua sono in corso da diverse settimane, con precedenti periodi di cessate il fuoco che hanno portato a rilasci di ostaggi e all’invio di aiuti umanitari nella regione. Tuttavia, il conflitto rimane senza una soluzione definitiva mentre Israele continua a rifiutare le proposte di Hamas.

LASTAMPA – PALESTINESI SU UN’ISOLA ARTIFICIALE: LA PROPOSTA DI ISRAELE AL CONSIGLIO UE

Durante un incontro del Consiglio dei Ministri degli Esteri dell’Unione Europea a Bruxelles, il Ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha mostrato un video di un progetto per la costruzione di un’isola artificiale, suscitando polemiche sulla presunta proposta di deportare la popolazione palestinese dalla Striscia di Gaza. Tel Aviv ha negato l’intenzione di spostare i civili palestinesi sull’isola, attribuendo l’incidente a un malinteso. L’Alto Rappresentante UE per gli Affari Esteri, Josep Borrell, ha ironizzato sulla proposta, definendola “interessante” ma estranea all’agenda. La discussione verteva sulla questione umanitaria e la richiesta di un cessate il fuoco, con l’UE che avanzava un piano per uno Stato palestinese. Il video mostrato da Katz riguardava un progetto datato 2017 per la costruzione di un’isola artificiale al largo delle coste di Gaza, sotto controllo israeliano. Questo solleva preoccupazioni su un possibile tentativo di deportazione di massa dei palestinesi sulla stessa isola. La proposta richiama piani precedenti di pulizia etnica avanzati da Israele, che continua a resistere alla formazione di uno Stato palestinese. Il contesto dell’incontro includeva discussioni sulla situazione mediorientale e un piano USA per un protettorato israeliano in Palestina, respinto da Netanyahu. Borrell ha criticato la politica israeliana, sottolineando il sostegno finanziario passato a Hamas. La controversia solleva dubbi sulla reale volontà di Israele di affrontare la questione palestinese e alimenta tensioni diplomatiche con l’UE.

RAINEWS – ISRAELE ALLAGA ALCUNI TUNNEL DI HAMAS A GAZA

L’Esercito Israeliano (IDF) ha confermato di aver allagato alcuni tunnel di Hamas nella Striscia di Gaza, parte di una rete utilizzata per attacchi e movimenti clandestini. L’azione, nota da tempo, è stata confermata ufficialmente dopo mesi di speculazioni. L’IDF ha dichiarato che diverse unità militari e funzionari del ministero della Difesa hanno utilizzato pompe e tubi per pompare acqua nei tunnel, distruggendo ciò che contenevano. L’IDF ha sottolineato che non tutti i tunnel scoperti sono stati allagati, ma non ha specificato quanti ne sono stati interessati. Le operazioni sono precedute da controlli per garantire la sicurezza e prevenire la contaminazione del suolo. L’IDF ha affermato che le azioni sono mirate e professionali, volte a contrastare le minacce di Hamas.

ANSA – SOLDATI ISRAELIANI TRAVESTITI DA MEDICI E PAZIENTI IN UN OSPEDALE DELLA CISGIORDANIA

Martedì mattina, l’Esercito Israeliano (IDF) ha confermato di aver ucciso tre uomini appartenenti a gruppi armati palestinesi all’interno dell’ospedale Ibn Sina di Jenin, Cisgiordania. Il ministero della Salute dell’Autorità Palestinese ha condannato l’attacco, sottolineando la violazione delle norme internazionali per aver colpito in un ospedale. Il ministero ha diffuso un video delle telecamere di sicurezza dell’ospedale, mostrando uomini e donne, presumibilmente forze israeliane sotto copertura, che si tolgono travestimenti e arrestano una persona. Le vittime sono state identificate come Muhammad Jalamneh, portavoce di Hamas, e i fratelli Muhammad e Basel Ghazawi, quest’ultimo affiliato al gruppo armato Jihad Islamico. L’IDF sostiene che stavano pianificando attacchi terroristici “imminenti” ispirati agli eventi dell’7 ottobre. Hamas e il Jihad Islamico hanno confermato la morte dei loro membri, ma hanno criticato l’azione israeliana. La tensione tra IDF e Palestinesi è cresciuta dopo gli attacchi dell’7 ottobre, con oltre 3.000 arresti, di cui più di 1.350 affiliati ad Hamas, secondo dati citati dal Times of Israel. Nel medesimo periodo, più di 350 palestinesi sono stati uccisi, secondo il ministero della Salute Palestinese. L’area di Jenin, nel nord della Cisgiordania, è stata teatro di incursioni frequenti, con Israele che sostiene una perdita di controllo da parte dell’Autorità Palestinese. La situazione è già critica, e la recente operazione militare potrebbe exacerbare ulteriormente le tensioni nella regione.

AGENZIANOVA – LE PRINCIPALI ORGANIZZAZIONI UMANITARIE INTERNAZIONALI CHIEDONO ALL’OCCIDENTE DI FERMARE I TRASFERIMENTI DI ARMI VERSO ISRAELE

16 organizzazioni umanitarie internazionali, tra cui Oxfam e Amnesty International, hanno sollecitato gli Stati membri dell’ONU a bloccare i trasferimenti di armi verso Israele durante la sua campagna militare nella Striscia di Gaza. Questo appello è principalmente rivolto agli Stati Uniti e ai loro alleati europei, i principali sostenitori di Israele. Le ONG hanno evidenziato l’obbligo di tutti gli Stati di prevenire crimini atroci e rispettare le norme che proteggono i civili. Tuttavia, il sostegno occidentale ad Israele continua nonostante il suo massiccio uso di armi e il crescente bilancio delle vittime civili. L’amministrazione Biden ha recentemente approvato aiuti militari per miliardi di dollari ad Israele, mentre la Germania ha accettato di fornire munizioni per carri armati. Questo sostegno è stato criticato, considerando l’escalation della violenza e il numero di vittime tra i civili palestinesi. Il regime israeliano ha ignorato le richieste internazionali di cessate il fuoco, proseguendo con i bombardamenti indiscriminati sulla Striscia di Gaza. Khan Younis, una delle città più colpite, ha subito pesanti perdite umane, comprese quelle causate da attacchi contro ospedali e rifugiati. Mercoledì, i proiettili israeliani hanno colpito un centro di addestramento dell’ONU, uccidendo e ferendo decine di persone. Il bilancio complessivo delle vittime supera le 25.000 persone, dimostrando l’urgente necessità di fermare il flusso di armi verso Israele.

ILPOST – I PAESI CHE HANNO SOSPESO I FINANZIAMENTI ALL’AGENZIA ONU PER I RIFUGIATI PALESTINESI

Nove paesi occidentali, tra cui gli Stati Uniti, il Regno Unito, l’Italia e la Germania, hanno annunciato di aver sospeso i finanziamenti all’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA), accusando l’agenzia di essere stata coinvolta nell’attacco del 7 ottobre del gruppo armato palestinese Hamas contro Israele. La decisione è stata presa dopo che Israele aveva accusato alcuni dipendenti dell’UNRWA di aver festeggiato l’attacco di Hamas e di aver fornito sostegno logistico al gruppo armato. L’UNRWA ha respinto le accuse, definendole “infondate”. I paesi che hanno sospeso i finanziamenti sono: Stati Uniti, Regno Unito, Italia, Germania, Paesi Bassi, Svizzera, Australia, Canada, Finlandia. La sospensione dei finanziamenti dell’UNRWA rischia di avere gravi conseguenze per i rifugiati palestinesi, che dipendono in gran parte dall’agenzia per l’assistenza umanitaria.

EURONEWS – STATI UNITI SOSPENDONO GLI AIUTI ALL’AGENZIA ONU PER I RIFUGIATI PALESTINESI

Gli Stati Uniti hanno annunciato la sospensione dei finanziamenti all’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA) a seguito delle accuse di Israele. Si afferma che alcuni dipendenti dell’agenzia siano coinvolti nell’attacco di Hamas contro Israele, scatenando la guerra a Gaza. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha promesso un’indagine interna sull’UNRWA per verificare le accuse. I dipendenti coinvolti sono stati licenziati. Philippe Lazzarini, direttore dell’agenzia, ha definito “scioccanti” le accuse e ha sottolineato il ruolo vitale dell’UNRWA nell’assistenza a oltre due milioni di persone a Gaza. L’UNRWA opera in diverse aree, incluso Gaza, fornendo sostegno umanitario ai rifugiati palestinesi. Tuttavia, è stata oggetto di critiche da parte di Israele e politici conservatori americani che affermano che l’agenzia è influenzata da Hamas, che governa Gaza dal 2007. Gli Stati Uniti erano tra i principali finanziatori dell’UNRWA, con un contributo di circa 296 milioni di dollari nel 2023. La sospensione dei fondi solleva preoccupazioni sulla continuità dei servizi vitali forniti dall’agenzia ai rifugiati palestinesi, mentre la comunità internazionale segue da vicino lo sviluppo della situazione.

ILPOST – ISRAELE STA CREANDO UNA “ZONA CUSCINETTO” A GAZA

L’esercito israeliano ha confermato ufficialmente la creazione di una “zona cuscinetto” larga circa un chilometro lungo l’intero confine con la Striscia di Gaza. Questo progetto, a lungo discusso dai politici israeliani, mira a garantire la sicurezza di Israele. La zona, attualmente in fase di realizzazione, comporta la demolizione di edifici e strutture civili presenti all’interno. La decisione è giunta dopo la morte di 21 soldati israeliani il 21 febbraio, uccisi mentre piazzavano esplosivi per demolire due edifici nella Striscia di Gaza. La zona cuscinetto sarà disabitata, militarmente sorvegliata, e vietata all’accesso dei palestinesi, civili compresi. L’area designata per la zona cuscinetto, tuttavia, è densamente popolata, con numerosi edifici civili e campi agricoli. Da novembre, l’esercito israeliano ha avviato la demolizione di strutture, incluso scuole, suscitando critiche e preoccupazioni. Il territorio della Striscia di Gaza, già geograficamente limitato, subirà una considerevole riduzione a causa di questa iniziativa, sollevando questioni sulla sovranità palestinese. Mentre Israele sostiene che la zona cuscinetto è essenziale per la difesa contro potenziali attacchi futuri, ci sono preoccupazioni e critiche a livello internazionale riguardo alle conseguenze e alla perdita di territorio palestinese. Gli Stati Uniti, principale alleato di Israele, hanno precedentemente espresso opposizione a qualsiasi riduzione dei territori palestinesi a causa del conflitto. Antony Blinken, segretario di Stato americano, ha affermato che gli Stati Uniti sono contrari allo “spostamento forzato di persone” e sottolineano la necessità di mantenere l’integrità territoriale di Gaza. Il governo israeliano sostiene che la zona cuscinetto è una misura transitoria, ma ci sono dubbi sul suo smantellamento futuro.

EURONEWS – ATTACCHI ISRAELIANI AGLI OSPEDALI DI KHAN YUNIS

Lunedì, l’esercito israeliano ha attaccato due ospedali a Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza, aggravando la situazione umanitaria. Il direttore del reparto chirurgia del Nasser Hospital, l’unico grande ospedale accessibile nella zona, ha riferito di almeno 50 morti e oltre 100 feriti. Le forze israeliane hanno impedito alle ambulanze di raggiungere i feriti, afferma il ministero della Salute di Gaza, citando l’occupazione israeliana. La Mezzaluna Rossa Palestinese conferma che le loro ambulanze sono state ostacolate dall’assedio israeliano, impedendo il soccorso. Altri scontri si verificano vicino ad altri ospedali come al Khair e al-Amal. I carri armati israeliani si avvicinano all’ospedale al-Amal, e la Mezzaluna Rossa ha perso il contatto con la squadra sul campo a causa dell’offensiva di terra. Israele non ha commentato gli attacchi agli ospedali, ma ha confermato la morte di tre soldati israeliani nella Striscia. L’esercito israeliano sostiene che Hamas utilizzi gli ospedali per scopi militari, mentre il gruppo e lo staff medico negano tali affermazioni. Gli attacchi intensi degli ultimi giorni rappresentano la fase più critica nel sud di Gaza dalla guerra in corso. Circa 1,7 milioni dei 2,2 milioni di abitanti della Striscia sono sfollati, e il totale delle vittime, secondo il ministero della Salute di Gaza, ha superato le 25.000, con molte vittime civili. Il ministro degli Esteri dell’Autorità Palestinese, Riyad al-Maliki, ha dichiarato che la situazione è fuori controllo, chiedendo all’Unione Europea di intervenire per un cessate il fuoco. Il portavoce per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, John Kirby, ha sottolineato il diritto di Israele alla difesa, ma ha esortato a rispettare il diritto internazionale, proteggendo civili, personale medico e pazienti negli ospedali.

TGCOM24 – FAMILIARI DEGLI OSTAGGI ISRAELIANI FANNO IRRUZIONE NEL PARLAMENTO A GERUSALEMME

I familiari degli ostaggi israeliani detenuti nella Striscia di Gaza hanno fatto irruzione nella Knesset di Gerusalemme durante una riunione su questioni economiche. Il gesto è stato un atto di protesta contro il primo ministro Benjamin Netanyahu, che domenica ha escluso la possibilità di un nuovo accordo con Hamas per la liberazione degli ostaggi. Domenica sera, decine di persone si erano radunate sotto la casa di Netanyahu, montando tende per protestare contro le sue dichiarazioni. Lunedì mattina, gli addetti alla sicurezza della Knesset non hanno impedito l’accesso ai familiari in aula, dove hanno esposto cartelli e fotografie dei loro cari rapiti. Alcuni accusano il governo di non fare abbastanza per garantire la liberazione degli ostaggi, chiedendo concessioni a Hamas. Netanyahu ha ribadito di non voler cedere alle richieste di Hamas senza “pressione militare”. Le famiglie degli ostaggi chiedono invece concessioni, come una tregua, pur di ottenere la liberazione delle persone detenute nella Striscia. Dopo l’irruzione, 15 famiglie hanno potuto incontrare brevemente Netanyahu, che ha affermato l’assenza di proposte concrete da parte di Hamas. Il premier ha dichiarato che Hamas richiede la fine della guerra, il ritiro delle forze da Gaza e la liberazione di detenuti. Netanyahu ha respinto queste richieste, sostenendo che accettarle renderebbe vane le morti dei soldati israeliani. Hamas continua a esercitare pressione attraverso video di ostaggi chiedendo la liberazione e accuse di uccisioni in risposta ai bombardamenti israeliani. Si stima che più di 130 ostaggi siano detenuti da Hamas nella Striscia di Gaza.

ILPOST – PROTESTE CON LE TENDE SOTTO LA CASA DI NETANYAHU A GERUSALEMME

Domenica sera, decine di persone si sono radunate a Gerusalemme sotto la casa del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, chiedendo un accordo sul rilascio di ostaggi israeliani detenuti da Hamas nella Striscia di Gaza. La protesta è seguita alle dichiarazioni di Netanyahu, che ha respinto le richieste di Hamas per un nuovo accordo di liberazione degli ostaggi. I manifestanti, in gran parte familiari degli ostaggi, hanno montato tende e dichiarato che rimarranno finché non ci sarà un annuncio di accordo. Netanyahu ha affermato che il rilascio degli ostaggi è un obiettivo di guerra, ma ha sottolineato la necessità di pressione militare. Hamas ha cercato di influenzare l’opinione pubblica israeliana pubblicando video degli ostaggi e accusando Israele di ucciderli durante i bombardamenti su Gaza. I manifestanti hanno esposto cartelli con scritte come “Amiamo i nostri bambini più di quanto odiamo Hamas”. Zohar Avigdori, partecipante alla protesta, ha criticato Netanyahu per non voler più fare accordi con Hamas. Si stima che Hamas detenga oltre 130 ostaggi catturati durante l’attacco del 7 ottobre, che ha scatenato una violenta risposta israeliana su Gaza.

SKYTG24 – A GAZA I TELEFONI NON FUNZIONANO PIU’

La guerra tra Israele e Hamas ha inflitto nuovi orrori alla popolazione di Gaza, con l’interruzione delle comunicazioni. Da oltre cinque giorni, i telefoni cellulari sono inutilizzabili a causa dei bombardamenti che hanno danneggiato i cavi sotterranei, segnando il più lungo blackout dallo scoppio del conflitto. Israele, finora, non ha permesso alle compagnie telefoniche palestinesi di effettuare le necessarie riparazioni. Dal 7 ottobre 2023, quando Hamas ha attaccato Israele, gli attacchi israeliani hanno causato 9 blackout delle comunicazioni a Gaza. Questo, però, è il più lungo mai registrato, superando le 72 ore. Le reti di telefonia gestite da Paltel, le compagnie palestinesi, sono gravemente danneggiate, e gli operatori, sotto il fuoco dei combattimenti, stanno cercando di riparare i danni. Purtroppo, negli ultimi giorni, due dipendenti della Paltel sono stati uccisi dai soldati israeliani mentre lavoravano. L’interruzione delle comunicazioni ostacola non solo i contatti della popolazione con il mondo esterno e con i propri familiari, ma crea anche gravi impedimenti all’operato di operatori umanitari e giornalisti. La Mezzaluna Rossa ha perso i contatti con le squadre di pronto soccorso, che ora operano senza supporto dalla base. Inoltre, Repubblica ha segnalato la perdita di contatto con un proprio collaboratore sul posto, Sami al-Ajrami. La comunità internazionale osserva con crescente preoccupazione la situazione, mentre il Sudafrica apre un’indagine per genocidio contro Israele, accusandolo di utilizzare i blackout come mezzo per “ostacolare il controllo” delle sue azioni a Gaza.

ILPOST – GUERRA A GAZA: SPACCATURA DELL’OPINIONE PUBBLICA TRA ISRAELE E RESTO DEL MONDO

La guerra in corso a Gaza tra Israele e Hamas sta provocando una crescente spaccatura tra Israele e la maggior parte degli altri paesi del mondo. Questa divisione emerge chiaramente nei sondaggi, nell’atteggiamento dei media, dell’opinione pubblica e nei comportamenti dei governi. Non solo i paesi arabi, tradizionalmente sospettosi o ostili verso le azioni israeliane, ma anche molti alleati occidentali, principalmente i paesi europei e, con una certa cautela, gli Stati Uniti, stanno esprimendo preoccupazioni crescenti. La distanza si basa sul solido sostegno interno israeliano alla guerra nella Striscia di Gaza, che rimane praticamente unanime. Tuttavia, nel resto del mondo, la commozione iniziale e la solidarietà con Israele dopo l’aggressione di Hamas il 7 ottobre si sono trasformate in uno scetticismo crescente nei confronti del modo in cui Israele sta gestendo il conflitto, causando gravi sofferenze ai civili di Gaza. Tre elementi distintivi caratterizzano l’attuale guerra a Gaza rispetto a precedenti operazioni militari israeliane. In primo luogo, l’importante trauma nazionale causato dall’attacco di Hamas non può essere sottovalutato. In secondo luogo, la durata prolungata del conflitto, superiore a precedenti operazioni nella Striscia, e in terzo luogo, il livello eccezionale di violenza che sta colpendo in modo sproporzionato la popolazione civile. Per oltre tre mesi, l’esercito israeliano ha condotto intensi bombardamenti su Gaza, considerati tra i più distruttivi della storia recente. Con oltre 23.000 morti confermati, in gran parte civili, e circa il 33% di tutti gli edifici distrutti, la Striscia di Gaza è in uno stato di crisi umanitaria. L’imposizione iniziale di restrizioni all’ingresso di beni di prima necessità ha aggravato la situazione, anche se successivamente sono stati ammessi aiuti umanitari in quantità insufficienti. Israele giustifica le sue azioni come necessarie per distruggere Hamas, sostenendo che parte delle vittime sia causata dall’uso di “scudi umani” da parte di Hamas, una pratica confermata da organizzazioni indipendenti. Tuttavia, ciò non giustifica le vaste perdite e devastazioni nella Striscia di Gaza. L’opinione pubblica internazionale sta diventando sempre più impaziente nei confronti della guerra a Gaza. Dopo i primi giorni di solidarietà, il sostegno europeo a Israele è diminuito, con un notevole aumento dello scetticismo in Italia, dove oltre il 55% degli intervistati ha considerato eccessiva l’azione israeliana. Anche negli Stati Uniti, tradizionalmente solidali con Israele, si osserva una crescente insofferenza, soprattutto tra i giovani e i sostenitori del Partito Democratico. Persino il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha espresso preoccupazione per il numero di vittime civili a Gaza. In contrasto, l’opinione pubblica israeliana rimane in gran parte unanime nel sostenere la guerra, con il 87% della popolazione a dicembre che approva l’azione militare. La percezione di attacco e accerchiamento, alimentata dai media israeliani che enfatizzano gli orrori di Hamas, contribuisce a questa unanimità. La crescente distanza tra Israele e il resto del mondo coinvolge ora anche i governi, con molti governi occidentali che, inizialmente solidali con Israele, adottano un atteggiamento più critico e chiedono un cessate il fuoco. La guerra, dichiarata in una “nuova fase” dal governo israeliano, continua ad attirare l’attenzione e la preoccupazione internazionale. La comunità internazionale ora si trova a navigare tra la necessità di garantire la sicurezza di Israele e la crescente preoccupazione per l’impatto umanitario devastante della guerra su Gaza.

L’INDIPENDENTE – GUERRA A GAZA: 109 GIORNALISTI UCCISI

La guerra a Gaza vede un drammatico aumento delle vittime tra i giornalisti, con 109 reporter uccisi finora, inclusi Mustafa Thuraya e Hamza Dahdouh di Al Jazeera. L’IDF sostiene di non mirare deliberatamente ai giornalisti, ma la sistematica delegittimazione dei media da parte di Israele solleva dubbi. A fine ottobre, Tel Aviv ha approvato norme che consentono la chiusura degli uffici di Al Jazeera, definendoli minaccia per la sicurezza. Israele giustifica la violenza contro i cronisti sostenendo che forniscono supporto operativo a Hamas. Thuraya e Dahdouh, morti mentre intervistavano civili sfollati, sono stati colpiti da razzi lanciati in modo mirato. L’IDF afferma che viaggiavano con un “terrorista” che manovrava un drone minaccioso. Il padre di Hamza, Wael Dahdouh, anch’esso giornalista, ha perso la moglie e altri familiari durante il conflitto. Hamas accusa Israele di uccidere i giornalisti per terrorizzare i colleghi. Il Committee to Protect Journalists è preoccupato per gli attacchi ai giornalisti e alle loro famiglie da parte dell’IDF, indagando su segnalazioni di altri reporter minacciati o feriti. La situazione alimenta ulteriori tensioni e preoccupazioni in una guerra che ha già causato gravi sofferenze umane.

SAVETHECHILDREN – ATTACCHI AEREI ISRAELIANI IN “ZONE UMANITARIE” A GAZA

14 persone, principalmente bambini sotto i 10 anni, sono state uccise negli attacchi aerei israeliani vicino ad Al-Mawasi, un’area designata come “zona umanitaria”. Questo spazio, considerato sicuro dalle autorità israeliane, aveva indicato ai civili di rifugiarsi lì per la loro protezione. Gaza non offre più un rifugio sicuro: gli attacchi stanno colpendo indiscriminatamente, mettendo a rischio la vita dei bambini e degli abitanti. Senza una tregua, questa situazione potrebbe portare a un’escalation delle vittime innocenti, compromettendo il loro futuro. Gli ordini israeliani di evacuazione, emessi dal 7 ottobre, hanno indirizzato i civili principalmente verso tre aree del sud: Khan Younis, Rafah e Al-Mawasi. Tuttavia, queste stesse zone hanno subito attacchi aerei che hanno portato alla morte e al ferimento di civili, inclusi bambini. Jason Lee, direttore per i territori palestinesi occupati, sottolinea: “Non esiste un luogo sicuro a Gaza, anche se il diritto internazionale umanitario dovrebbe garantirlo. Le persone sono costrette a scegliere tra la morte qui o altrove”.

ANSA – IL PIANO DEL MINISTRO DELLA DIFESA ISRAELIANO PER IL FUTURO DI GAZA

Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha presentato un documento preliminare che propone possibili direzioni per il futuro di Gaza una volta conclusa la guerra, delineando un quadro incerto e soggetto a discussioni. Questo piano, non ancora politica ufficiale, prevede quattro pilastri principali: un corpo multinazionale per la ricostruzione, un ente politico palestinese, la supervisione di Israele e dell’Egitto per la sicurezza dei confini, e il diritto di intervento militare israeliano. La proposta è in discussione nel gabinetto di guerra israeliano, sollevando domande su chi guiderà Gaza e su possibili collaborazioni con paesi arabi. L’Autorità Palestinese, attualmente poco popolare, potrebbe non essere la scelta principale. Il documento esclude la presenza civile israeliana nella Striscia, contrastando le richieste di alcuni della destra israeliana per un ritorno dei coloni. Il piano non specifica l’inizio di questa fase, in un contesto ancora incerto di durata del conflitto. Gallant ha annunciato un nuovo approccio nel nord di Gaza, con un focus mirato sui tunnel di Hamas, mentre nel sud Israele continuerà a combattere “per tutto il tempo necessario”. L’attenzione sulla popolazione civile evacuata in queste operazioni e un piano di ritorno non sono stati definiti.

L’INDIPENDENTE – GOVERNO ISRAELIANO DISCUTE DI PULIZIA ETNICA A GAZA

Due dei principali ministri del governo israeliano, Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, hanno proposto la migrazione forzata dell’intera popolazione araba di Gaza in Egitto. Le dichiarazioni dei due politici, entrambi esponenti di partiti di estrema destra, sono state fortemente condannate dall’ONU, dal Sudafrica e da diversi Paesi del BRICS. Ben Gvir, ministro della Sicurezza nazionale, ha dichiarato che “la migrazione di centinaia di migliaia di palestinesi da Gaza permetterebbe ai residenti israeliani della striscia di tornare a casa e di vivere in sicurezza”. Smotrich, ministro delle Finanze, ha aggiunto che “la pulizia etnica di Gaza è l’unica soluzione possibile per garantire la sicurezza di Israele”. Le proposte dei due ministri sono in linea con l’ideologia sionista revisionista, che sostiene la creazione di un Grande Israele che comprenda anche la Cisgiordania e Gaza. Il sionismo revisionista è l’ideologia dominante in Israele e da tempo viene accusato di voler attuare una pulizia etnica nei confronti dei palestinesi. L’escalation dei conflitti tra Israele e Gaza, iniziata il 7 ottobre 2023, ha causato la morte di oltre 22mila palestinesi e la distruzione di gran parte dell’infrastruttura civile della striscia. Il governo israeliano ha continuato a bombardare Gaza anche dopo la tregua annunciata il 21 ottobre, e ha annunciato che sta allargando il conflitto anche ai fronti libanese e siriano. L’Occidente, pur condannando le violenze, ha finora adottato un approccio fin troppo timido nei confronti di Israele. La comunità internazionale dovrebbe intervenire con maggiore fermezza per fermare le violazioni dei diritti umani dei palestinesi e per trovare una soluzione pacifica al conflitto.

ANSA – ISRAELE NEGA I VISTI AL PERSONALE ONU

Israele ha negato visti al personale delle Nazioni Unite, attribuendo questa decisione alle critiche espresse dall’ONU nei confronti degli attacchi di Tel Aviv alle persone e alle infrastrutture civili a Gaza. Il ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, ha dichiarato di interrompere la collaborazione con coloro che sostengono la “propaganda terroristica” di Hamas, evidenziando la divergenza con l’ONU riguardo all’operato israeliano contro Hamas. Le critiche dell’ONU sono state definite una “vergogna” da Cohen, che ha preso di mira il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, per aver condannato le azioni brutali di Israele a Gaza. Recentemente, Israele ha revocato il visto di residenza al coordinatore degli affari umanitari dell’ONU per i territori palestinesi occupati, Lynn Hastings, dopo le sue critiche riguardo alle restrizioni israeliane sulla consegna di aiuti umanitari a Gaza. Israele ha giustificato gli attacchi contro scuole e ospedali delle Nazioni Unite, sostenendo che fossero utilizzati da combattenti di Hamas, senza fornire prove a supporto di queste affermazioni. Guterres ha chiesto ripetutamente un cessate il fuoco a Gaza, definendo la situazione “un inferno sulla Terra”, mentre i dati indicano 20.915 morti e 54.918 feriti tra i palestinesi in 81 giorni di attacchi israeliani.

ILMESSAGGERO – CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU APPROVA RISOLUZIONE PER AIUTI A GAZA

Dopo ritardi e tensioni, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha finalmente votato una risoluzione per intensificare gli aiuti umanitari a Gaza e creare condizioni per una cessazione sostenibile delle ostilità. La risoluzione ha ottenuto 13 voti favorevoli, con le astensioni di Russia e Stati Uniti per motivi contrastanti. Gli Stati Uniti non hanno sostenuto la risoluzione a causa dell’assenza di condanne esplicite verso Hamas e si erano opposti alla bozza originale che richiedeva un immediato cessate il fuoco, minacciando il veto. Mosca, invece, si è astenuta poiché mancava un accordo immediato per porre fine ai bombardamenti israeliani. L’esito è una risoluzione moderata che, di fatto, consente a Israele di continuare l’offensiva. Le trattative hanno portato a un testo che invita a misure per un accesso umanitario sicuro e crea condizioni per una cessazione delle ostilità, sostituendo la richiesta urgente e vincolante di un cessate il fuoco immediato. La Russia ha criticato aspramente questo risultato, mentre gli Stati Uniti, nonostante le loro osservazioni sul mancato biasimo di Hamas, si sono astenuti, rinunciando al potere di veto su una risoluzione che sembrava inoffensiva nei confronti degli interessi bellici israeliani.

L’INDIPENDENTE – OSSERVATORIO EURO-MED SUI DIRITTI UMANI: ISRRALE ESPIANTA ORGANI DAI CORPI DEI PALESTINESI

L’Osservatorio Euro-Med sui diritti umani ha chiesto la creazione di una commissione internazionale d’inchiesta indipendente per accertare la possibilità che Israele abbia asportato organi e pelle dai corpi dei palestinesi uccisi nel conflitto scoppiato il 7 ottobre scorso. Secondo l’organizzazione, Israele avrebbe confiscato decine di corpi di deceduti palestinesi dal complesso medico Al-Shifa di Gaza senza riconsegnarli alle famiglie e avrebbe anche dissotterrato alcuni corpi già seppelliti. L’Osservatorio ha documentato la confisca da parte dell’esercito israeliano di dozzine di cadaveri dal complesso medico Al-Shifa, dall’ospedale indonesiano nel nord della Striscia di Gaza, così come nei pressi del “corridoio sicuro” (Salah al-Din Road), designato a sfollare i palestinesi verso il sud della Striscia di Gaza. L’organizzazione denuncia anche il fatto che l’esercito israeliano ha dissotterrato e confiscato i corpi da una fossa comune in uno dei cortili del complesso medico Al-Shifa. Israele ha una lunga storia di detenzione dei corpi dei palestinesi morti, in quanto detiene i resti di almeno 145 palestinesi nei suoi obitori e circa 255 nel suo Cimitero dei Numeri, vicino al confine giordano e off-limits al pubblico. Secondo l’Osservatorio, Israele ha recentemente reso legale la detenzione dei corpi dei palestinesi morti e il prelievo dei loro organi. Prima del conflitto attuale, il 26 agosto 2023, Nashat Al-Wahidi, coordinatore della Campagna nazionale palestinese per il recupero dei corpi dei martiri, denunciò le azioni di Israele ad una TV palestinese, accusando anche lo Stato ebraico di espiantare organi e pelle dai corpi palestinesi che trattiene. La CNN, nel 2009, documentò come Israele, dagli anni Novanta, prelevasse organi dai corpi dei deceduti senza chiedere il permesso alle famiglie.

ANSA – ISRAELE SAPEVA DEI PIANI DI HAMAS

Dagli Stati Uniti arriva la notizia che il governo israeliano era al corrente del piano di battaglia di Hamas per l’attacco del 7 ottobre più di un anno prima che accadesse. A scriverlo è il New York Times sulla base di documenti, e-mail e interviste, aggiungendo che dirigenti dell’esercito e dell’intelligence israeliani liquidarono il piano come ambizioso, ritenendolo che fosse troppo difficile da realizzare per il movimento estremista. Il documento di circa 40 pagine, che le autorità israeliane chiamarono in codice “Muro di Gerico”, delineava, punto per punto, esattamente il tipo di devastante invasione che ha portato alla morte di circa 1.200 persone.

SKYTG24 – GUERRA A GAZA, OMS: MUORE UN BAMBINO OGNI 10 MINUTI

Violenti combattimenti attorno all’ospedale al-Shifa a Gaza, con Israele che considera il luogo un centro di comando di Hamas. Un attacco su una scuola ha causato almeno 50 morti. Israele nega un accordo per il rilascio di detenuti palestinesi. Netanyahu afferma che l’esercito manterrà il controllo su Gaza post-conflitto. Il segretario di Stato USA Blinken avverte sulla crescente perdita di vite palestinesi. Il capo dell’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi chiede la fine della carneficina. L’esercito israeliano annuncia la distruzione della roccaforte di Hamas, uccidendo 150 terroristi. La situazione umanitaria è critica, con l’OMS che segnala la morte di un bambino ogni 10 minuti.

GUERRA RUSSIA-UCRAINA

ADNKRONOS – GUERRA IN UCRAINA: A MAGGIO SI E’ REGISTRATO IL PIU’ ALTO NUMERO DI VITTIME CIVILI “IN QUASI UN ANNO”
A maggio, in Ucraina, si è registrato il più alto numero di vittime civili “in quasi un anno”. La Missione di monitoraggio dei diritti umani delle Nazioni Unite in Ucraina (Hrmmu) ha denunciato un aumento degli attacchi russi tra marzo e maggio, evidenziando le difficoltà affrontate dalla popolazione, gli attacchi alle infrastrutture energetiche e la nuova offensiva a Kharkiv. Il rapporto, che copre il periodo dal 1° marzo al 31 maggio, descrive l’impatto devastante dei combattimenti, in particolare nella regione e nella città di Kharkiv. Danielle Bell, capo dell’Hrmmu, ha dichiarato: “I combattimenti della primavera hanno avuto un bilancio terribile tra i civili, in particolare nella regione e nella città di Kharkiv. Gli attacchi incessanti hanno provocato tragiche perdite di vite umane, sfollamenti e distruzione di case e aziende”. La missione Onu ha identificato l’uso di bombe e missili lanciati dall’aria su aree popolate e gli attacchi successivi sulla stessa località in un breve periodo di tempo come principali cause delle vittime tra i soccorritori. Durante questo periodo, le forze armate russe hanno anche lanciato la più grande campagna di attacchi contro le infrastrutture critiche in Ucraina dall’inverno 2022-2023. Bell ha dichiarato che “cinque ondate di attacchi alle infrastrutture energetiche hanno provocato vittime civili e gravi interruzioni di corrente per milioni di persone in tutto il Paese, con effetti a cascata sull’approvvigionamento idrico, sulla connettività Internet e sui trasporti pubblici”. Ha inoltre avvertito che “il pieno impatto degli attacchi alle infrastrutture energetiche diventerà chiaro solo nel prossimo inverno, quando la ridotta capacità di produzione di energia elettrica dell’Ucraina potrebbe lasciare molti senza accesso al riscaldamento e ad altri servizi necessari per la sopravvivenza”.

Altre notizie:

APRI/CHIUDI
ANSA – GLI STATI UNITI HANNO INVIATO IN SEGRETO MISSILI ATACMS A KIEV

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha ottenuto una significativa vittoria politica ed estera con l’approvazione finale della sua legge di spesa da 95 miliardi di dollari, inclusa una prima tranche di un miliardo destinata alle forze ucraine di Volodymyr Zelensky. Questa mossa mira a rafforzare la sicurezza degli Stati Uniti e dei loro alleati in un contesto di crescente tensione internazionale. La lista ufficiale dei materiali inviati, diffusa dal Pentagono, include sistemi di difesa aerea, proiettili di artiglieria, veicoli corazzati e armi anticarro già presenti nei depositi americani in Europa. Tuttavia, indiscrezioni riportate da Politico suggeriscono che un mese fa gli Stati Uniti abbiano segretamente consegnato a Kiev i missili a lungo raggio Atacms, richiesti da Zelensky da quasi due anni. Questo invio avrebbe rappresentato un’azione diretta per sostenere le forze ucraine, che hanno già utilizzato con successo questi missili per colpire obiettivi militari russi. L’amministrazione Biden ha tenuto segreto questo invio di missili, anche se alcuni membri chiave del Congresso sono stati informati. La consegna segreta ha sollevato preoccupazioni circa un’escalation delle tensioni con la Russia, ma Biden ha sottolineato che il sostegno agli alleati è un investimento nella sicurezza nazionale degli Stati Uniti e nella promozione della democrazia nel mondo. Il presidente americano ha ribadito il suo impegno nel contrastare i regimi dittatoriali, affermando che gli Stati Uniti non si piegheranno a nessuno, compreso il presidente russo Vladimir Putin. Biden ha anche promesso di sconfiggere i dittatori nel mondo e di lavorare insieme ai partner internazionali per promuovere la pace e la stabilità. Dall’Ucraina, il presidente Zelensky ha ringraziato il Senato americano per l’approvazione della legge di spesa e ha descritto il prossimo invio di armi come un aiuto vitale per le sue forze. Sebbene non abbia menzionato esplicitamente gli Atacms, ha sottolineato l’importanza degli armamenti avanzati nel ripristinare la pace nel Paese.

ANSA – UE: APPROVATO IL 14ESIMO PACCHETTO DI SANZIONI CONTRO LA RUSSIA

I 27 ministri degli Esteri dell’Unione Europea, riuniti a Lussemburgo, hanno approvato il 14esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia guidata da Putin. Le nuove sanzioni mirano a colpire vari settori dell’economia russa, tra cui l’energia, la finanza e il commercio, con l’obiettivo di rendere sempre più difficile per Mosca eludere tali misure. Nel frattempo, l’Alto rappresentante UE per la Politica estera, Josep Borrell, ha annunciato che la prima tranche dei fondi derivanti dagli extra profitti degli asset russi congelati dovrebbe essere consegnata all’Ucraina “la prossima settimana”.

ILSOLE24ORE – TRIBUNALE RUSSO PONE SOTTO SEQUESTRO 493 MILIONI DI EURO DI BENI DI UNICREDIT

Un tribunale russo ha sequestrato beni, azioni e proprietà del gruppo bancario italiano Unicredit per un valore di 463 milioni di euro. La decisione, presa dal Tribunale arbitrale della regione di San Pietroburgo, riguarda una causa legale sul finanziamento di un progetto di trattamento e liquefazione di gas naturale, che è stato bloccato a causa delle sanzioni internazionali imposte alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. La causa è stata avviata dalla società locale Ruskhimalyans, controllata dal colosso energetico statale russo Gazprom, che ha accusato Unicredit di non aver rispettato un contratto da 463 milioni di euro. Il tribunale ha quindi disposto il sequestro dei beni di Unicredit Russia e di Unicredit AG, società che controlla la filiale russa con sede in Germania. Questo caso è diverso dal sequestro di Ariston Thermo Rus, che è stato motivato da ragioni specifiche e non da una causa legale. Recentemente, il governo russo ha trasferito la gestione della filiale di Ariston attiva in Russia a Gazprom Household Systems, una società produttrice di elettrodomestici controllata da Gazprom. Unicredit impiega oltre 3.000 persone in Russia e ha una significativa esposizione finanziaria nel paese, che sta cercando di ridurre negli ultimi due anni.

REPUBBLICA – NUOVA LEGGE UCRAINA PER ARRUOLARE ANCHE ALCUNE CATEGORIE DI DETENUTI

Il parlamento ucraino ha recentemente approvato una legge che permette ai detenuti di arruolarsi nell’esercito come parte degli sforzi per affrontare la grave scarsità di soldati nella guerra contro la Russia. Questa iniziativa è destinata a coinvolgere solo detenuti condannati per reati non gravi, escludendo coloro che hanno commesso crimini gravi come stupro, omicidio, traffico di droga e tradimento. Inoltre, i detenuti interessati devono avere meno di tre anni rimanenti alla fine della loro pena. Secondo la nuova legge, i detenuti arruolati nell’esercito avranno la possibilità di ottenere la libertà condizionale alla fine della guerra. Tuttavia, la partecipazione è volontaria e limitata a coloro che soddisfano determinati criteri, come il tempo residuo di pena e il tipo di reato commesso. Sono esclusi dalla possibilità di arruolarsi i detenuti condannati per violenza sessuale, omicidio premeditato o pedofilia, nonché gli ex politici e i funzionari governativi condannati per corruzione. Prima di entrare in vigore, la legge deve essere firmata dal presidente del parlamento ucraino, Ruslan Stefanchuk, e dal presidente Volodymyr Zelensky. Secondo i legislatori, questa misura potrebbe portare al reclutamento di fino a 10.000 persone, offrendo un’opportunità per aumentare le forze armate del paese. Questo approccio alla mobilitazione di nuove forze militari ricorda la pratica adottata dalla Russia all’inizio della guerra, sebbene con alcune differenze significative. Mentre la Russia offriva la promessa di totale amnistia ai detenuti che si univano all’esercito russo per combattere in Ucraina, l’Ucraina limita questa opportunità solo a detenuti condannati per reati non gravi e con meno di tre anni rimanenti alla fine della pena. Questo contrasto evidenzia le differenze nelle politiche di mobilitazione militare adottate dai due paesi. La mobilitazione di nuove forze militari è stata una questione dibattuta in Ucraina, con opinioni divergenti tra militari, politici e l’opinione pubblica. L’esercito ucraino, infatti, ha manifestato una crescente carenza di soldati e mezzi, sottolineando la necessità di reclutare fino a 500.000 nuovi soldati per garantire un ricambio adeguato e rispondere alle offensive russe. In risposta a questa sfida, il parlamento ucraino ha recentemente approvato una legge per riformare le regole di reclutamento, abbassando l’età di leva da 27 a 25 anni.

ANSA – ZELENSKY RIMUOVE IL CAPO DELLA SUA SICUREZZA PERSONALE

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha emesso un decreto per rimuovere il capo della sua sicurezza personale, Serhii Rud, dopo che è emerso un complotto orchestrato dall’intelligence russa. Due colonnelli della sicurezza personale del presidente sono stati arrestati per il loro coinvolgimento nel tentativo di reclutare guardie del corpo per rapire e uccidere Zelensky. Il decreto presidenziale è stato annunciato dai media ucraini. Questo evento segue l’arresto di due alti funzionari del servizio di sicurezza Sbu, avvenuto il 7 maggio, in relazione al complotto russo per assassinare il presidente ucraino.

ILMESSAGGERO – LA RUSSIA TRASFERISCE A GAZPROM LA GESTIONE DELLA FILIARE RUSSA DELLA SOCIETA’ ITALIANA ARISTON

La Russia ha recentemente trasferito la gestione della filiale russa della società italiana Ariston Thermo Group alla compagnia energetica statale Gazprom. Questo cambiamento è stato istituito tramite un decreto firmato dal presidente russo Vladimir Putin. Il decreto si basa su una regola introdotta l’anno scorso in Russia, che consente al governo di confiscare i beni delle aziende provenienti da paesi considerati “ostili”. Questa decisione segue quella presa lo scorso luglio, quando la Russia ha deciso di mettere sotto il controllo dello stato russo le filiali russe di Danone e Carlsberg. Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha reagito convocando l’ambasciatore russo in Italia per chiedere spiegazioni sulla situazione.

EURONEWS – GLI STATI UNITI APPROVANO IL PACCHETTO DI AIUTI ALL’UCRAINA

Dopo lunghi mesi di negoziati e tensioni politiche, la Camera degli Stati Uniti ha finalmente approvato un ampio pacchetto di aiuti militari, del valore di circa 95 miliardi di dollari. Questo pacchetto include un sostegno significativo all’Ucraina, con un finanziamento di 60,8 miliardi di dollari, oltre a fondi destinati a Israele e alla regione dell’Indopacifico, in particolare a Taiwan. La misura è stata votata con 311 voti a favore e 112 contrari. L’approvazione di questo pacchetto rappresenta un importante passo avanti per l’Ucraina, che si trova in una situazione di estrema difficoltà a causa dell’invasione russa. L’amministrazione del presidente Joe Biden ha sostenuto attivamente questa iniziativa, coordinata dallo speaker della Camera, il Repubblicano Mike Johnson. Nonostante le tensioni politiche interne al Partito Repubblicano, che ha la maggioranza alla Camera, Johnson ha lavorato duramente per garantire l’approvazione del pacchetto. Il ministero della Difesa statunitense ha già annunciato che i primi rifornimenti militari all’Ucraina, principalmente munizioni come proiettili d’artiglieria e lanciarazzi, potrebbero arrivare entro una settimana. Questo è fondamentale per l’Ucraina, che ha un urgente bisogno di rifornimenti militari per contrastare l’avanzata russa. L’approvazione di questo pacchetto è stata preceduta da mesi di dibattiti e scontri politici. Inizialmente proposto nell’ottobre dello scorso anno, il pacchetto di aiuti ha incontrato resistenza interna al Partito Repubblicano, con alcuni membri che si opponevano fermamente all’idea di fornire ulteriori aiuti all’Ucraina. Tuttavia, l’intervento decisivo dei Democratici ha contribuito a superare queste divisioni e a garantire l’approvazione del pacchetto. Nonostante l’importanza di questo risultato, ci sono state tensioni e controversie all’interno della Camera degli Stati Uniti. Alcuni deputati Repubblicani hanno sollevato obiezioni contro Mike Johnson, accusandolo di aver negoziato direttamente con i Democratici per ottenere il sostegno necessario all’approvazione del pacchetto. Questo ha portato a discussioni e polemiche all’interno del partito, con alcuni che hanno persino minacciato di presentare una mozione di sfiducia nei confronti di Johnson. Nonostante le tensioni politiche, l’approvazione di questo pacchetto di aiuti rappresenta un passo significativo per l’Ucraina e dimostra l’impegno degli Stati Uniti nel sostenere i loro alleati in momenti di crisi. La firma da parte del presidente Biden è attesa a breve, confermando così il sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina in questo momento critico della sua storia.

EURONEWS – ATTACCO CON DRONI UCRAINI SULLA CENTRALE NUCLEARE DI ZAPORIZHZHIA

Il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA), Rafael Mariano Grossi, ha confermato che uno dei sei reattori della centrale nucleare di Zaporizhzhia è stato colpito tre volte durante un attacco con droni, avvenuto domenica scorsa. Questo attacco, presumibilmente perpetrato dall’esercito ucraino, ha sollevato serie preoccupazioni sulla sicurezza nucleare nella regione. La centrale nucleare di Zaporizhzhia è la più grande d’Europa e si trova in una zona dell’Ucraina occupata dall’esercito russo da oltre due anni, dopo l’invasione. Grossi ha evidenziato che questo è il primo attacco del genere dall’anno 2022 e ha sottolineato il rischio crescente di un grave incidente nucleare in seguito a tali azioni. Le autorità russe, che controllano la centrale, hanno dichiarato che l’attacco con droni non ha causato danni strutturali significativi e che i livelli di radiazioni rimangono normali. Tuttavia, tre persone hanno riportato ferite durante l’attacco, secondo quanto riferito dalle autorità russe.

ANSA – IL PARLAMENTO UCRAINO APPROVA LA LEGGE SUL RECLUTAMENTO DEI CIVILI

Il parlamento ucraino ha recentemente approvato una legge per riformare le regole riguardanti il reclutamento dei civili nelle forze armate del paese. Questa decisione arriva in un momento critico in cui l’esercito ucraino affronta una carenza di personale e risorse necessarie per fronteggiare le offensive russe. La nuova legge prevede diverse modifiche significative. Tra queste, vi è la riduzione dell’età minima per il reclutamento da 27 a 25 anni, l’introduzione di un registro elettronico per tenere traccia delle reclute appena arruolate e l’eliminazione dello status di “parzialmente idoneo” alla leva. Quest’ultimo status, che indicava alcuni problemi di salute che esentavano le reclute da determinati ruoli militari, è stato sostituito con una categorizzazione più semplice, includendo solo due categorie: “idonei” e “non idonei”. Questa riforma è stata oggetto di discussione per un lungo periodo e ha attraversato un percorso complicato in parlamento. Dopo mesi di blocco, è stata presentata una nuova versione della legge a febbraio, dalla quale sono stati rimossi i punti più controversi. Alcuni di questi punti sono stati trasformati in norme a parte e firmati come leggi separate dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Nonostante la versione iniziale presentata a febbraio, la legge ha subito più di 4.000 emendamenti prima di essere definitivamente approvata. Tra le altre disposizioni, sono state introdotte sanzioni aggiuntive per coloro che si sottraggono al reclutamento, sono state garantite le dimissioni per i militari disabili o coloro che sono tornati dalla prigionia e sono stati istituiti controlli medici obbligatori per coloro che in passato erano stati classificati come “parzialmente idonei”. La legge dovrà ora essere firmata dal presidente Zelensky per entrare in vigore.

SCENARIECONOMICI – A CAUSA DEGLI ATTACCHI UCRAINI LA RUSSIA HA PERSO PARTE DELLA CAPACITA’ DI RAFFINAZIONE DEL PETROLIO

Gli attacchi ucraini alle raffinerie di petrolio russe hanno scatenato una grave crisi, con tre strutture incendiate e una significativa riduzione della capacità di raffinazione del petrolio russo. Secondo le stime di Reuters, la capacità di raffinazione è diminuita di circa il 7% nel primo trimestre del 2024, equivalente a circa 370.500 barili al giorno. L’escalation degli attacchi con droni da parte dell’Ucraina ha preso di mira le infrastrutture energetiche russe, tra cui raffinerie, depositi di carburante e terminali di esportazione. Questa intensificazione degli attacchi è avvenuta proprio in concomitanza con le elezioni presidenziali russe, durante le quali Vladimir Putin si candida per un altro mandato di sei anni senza opposizione. I recenti attacchi hanno colpito diverse raffinerie nelle regioni occidentali e sud-occidentali della Russia, provocando incendi e danni strutturali significativi. Una raffineria Lukoil nella Russia occidentale è stata colpita da un incendio martedì, mentre un’unità di lavorazione del greggio presso la raffineria di Nizhny Novgorod è stata danneggiata da un attacco con drone. Anche un impianto di carburante ed energia nella regione di Oryol è stato attaccato, causando incendi e danni ai serbatoi di carburante. Mercoledì, un’altra raffineria a sud-est di Mosca è stata colpita da un incendio sospettato di essere stato causato da un attacco con droni ucraini. Questa serie di attacchi ha portato a una riduzione significativa della capacità di raffinazione del petrolio russo, oltre a interruzioni non specificate nelle operazioni di riparazione delle strutture danneggiate. Gli analisti ritengono che questa riduzione possa influenzare le decisioni della Russia riguardo alla produzione e all’esportazione di petrolio, con possibili impatti sul mercato globale dei combustibili.

WIRED – DRONI UCRAINI COLPISCONO LA TERZA RAFFINERIA RUSSA PER DIMENSIONE

Droni ucraini hanno recentemente colpito l’unità di raffinazione primaria della terza raffineria più grande della Russia, situata a sud-est di Mosca, distante più di 800 miglia dalla linea del fronte. Si tratta della raffineria Taneco, appartenente alla società russa Tatneft, situata in Tatarstan, una regione industrializzata. Questo attacco rappresenta l’ultimo di una serie di attacchi dell’Ucraina alle infrastrutture di raffinazione russe. La raffineria Taneco ha una capacità di lavorazione di 340.000 barili al giorno (bpd) di greggio. Nell’attacco, l’unità di raffinazione primaria, con una capacità di lavorazione di circa 155.000 bpd, è stata colpita e ha preso fuoco. Tuttavia, l’incendio è stato rapidamente spento e non si sono verificati feriti gravi, come confermato dal sindaco della città di Nizhnekamsk, dove si trova l’impianto. Secondo una fonte dell’intelligence ucraina a Kiev, l’attacco è stato mirato a un importante impianto petrolifero russo in Tatarstan con l’obiettivo di ridurre le entrate petrolifere russe. Gli attacchi alle raffinerie russe sono stati intensificati dall’Ucraina nelle ultime settimane, riducendo così le capacità di raffinazione della Russia. Questa strategia ha sollevato preoccupazioni internazionali, con gli Stati Uniti che hanno esortato ripetutamente l’Ucraina a interrompere tali attacchi, temendo ritorsioni russe e un aumento dei prezzi del petrolio a livello globale. Nonostante queste richieste, l’Ucraina sembra determinata a proseguire con le operazioni. Secondo le stime di Reuters, gli attacchi dei droni ucraini hanno messo fuori uso circa il 14% della capacità di raffinazione totale della Russia, corrispondente a circa 900.000 barili al giorno. Questo dato evidenzia l’impatto significativo di tali attacchi sulla produzione petrolifera russa e sull’economia globale.

ANSA – “GRANDE RISCHIO CHE LE LINEE DEL FRONTE UCRAINO CROLLINO”

Secondo quanto riportato da alti ufficiali ucraini che hanno prestato servizio sotto il generale Valery Zaluzhny, c’è un grande rischio che le linee del fronte in Ucraina crollino ovunque i generali russi decidano di concentrare la loro offensiva. Questa situazione è stata descritta come cupa e preoccupante, con la minaccia di un’imponente avanzata delle truppe russe. Le fonti hanno sottolineato che al momento non esistono tecnologie in grado di compensare l’Ucraina per la grande massa di truppe che la Russia potrebbe schierare contro di essa. Né l’Ucraina né l’Occidente dispongono di risorse tecnologiche sufficienti per affrontare una simile sfida.

ANSA – KIEV: “ENTRO GIUGNO FAREMO SALTARE IN ARIA IL PONTE DI CRIMEA”

Secondo quanto riportato da una fonte dell’intelligence militare ucraina al Guardian, è in programma un terzo tentativo di far saltare in aria il ponte di Kerch, che collega la Crimea alla Russia. Questo evento sarebbe previsto per la prima metà del 2024. La fonte ha dichiarato che la distruzione del ponte è inevitabile. Nel frattempo, il ministro della Difesa russo, Serghei Shoigu, e il suo omologo francese, Sebastien Lecornu, hanno discusso la possibilità di colloqui sul conflitto ucraino. Il ministero russo ha confermato la disponibilità al dialogo sull’Ucraina e ha suggerito che i punti di partenza potrebbero basarsi sull’iniziativa di pace di Istanbul. Tuttavia, la Francia ha smentito di aver espresso una disponibilità a dialogare con la Russia sulla guerra in Ucraina durante la telefonata tra i due ministri. A Bruxelles, dopo il Consiglio Europeo di guerra del mese precedente, si è tenuta una ministeriale degli Esteri presso il quartier generale della NATO. Si è discusso di una trasformazione radicale nella gestione del conflitto in Ucraina, con un sostegno prevedibile e a lungo termine all’Ucraina. Si è proposto di istituzionalizzare lo sforzo bellico all’interno della NATO anziché affidarsi a contributi volontari di breve durata. Il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha esortato gli alleati a fare di più e ha proposto la creazione di un fondo di assistenza militare bilionaria che si sviluppi nell’arco dei prossimi cinque anni. Questo fondo si baserebbe sui contributi proporzionali al Pil di ogni Paese membro. Stoltenberg ha sottolineato l’importanza di far capire a Mosca che non può raggiungere i suoi obiettivi sul campo di battaglia e quindi deve accettare un negoziato che riconosca l’Ucraina come nazione sovrana e indipendente. Il negoziato è ancora agli inizi, e si prevede che le decisioni pratiche saranno prese durante il summit di Washington previsto per luglio. Si sta considerando la formula per calcolare i contributi di ogni alleato al fondo di assistenza militare, che potrebbe essere basata sul bilancio NATO o su una percentuale flat del Pil di ogni Paese membro. Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha espresso il sostegno dell’Italia alla proposta e ha indicato la necessità di esaminare i dettagli tecnici e giuridici della stessa.

ANSA – PUTIN ARRUOLA ALTRI 147 MILA SOLDATI

Il presidente russo Vladimir Putin ha emesso un decreto per l’arruolamento obbligatorio di 147.000 persone nelle forze armate russe per il periodo da aprile a luglio. Questa disposizione riguarda tutti i cittadini russi compresi tra i 18 e i 30 anni, che non sono nella riserva e sono soggetti alla leva militare. Secondo quanto riportato dall’agenzia Tass, i 147.000 coscritti saranno arruolati entro l’estate e si presume che verranno impiegati in operazioni, presumibilmente in Ucraina. È previsto anche il congedo per i militari che hanno completato il servizio militare. I dati ufficiali indicano che in autunno sono stati arruolati per un anno altri 130.000 soldati. Nel frattempo, il Patriarca Kirill, capo della Chiesa ortodossa russa, ha aumentato la retorica del Cremlino sulla guerra in Ucraina, definendola una “guerra santa” esistenziale e di civiltà. Questo rappresenta una svolta significativa per le autorità russe, che fino ad ora hanno evitato di etichettare ufficialmente l’intervento russo in Ucraina come una guerra, preferendo parlare di ‘operazione speciale’. In un nuovo documento ideologico e politico, Kirill ha definito l’azione militare speciale di Putin una guerra santa (Svyashennaya Voyna) e una nuova fase nella lotta del popolo russo per la “liberazione nazionale… nella Russia sud-occidentale”, facendo riferimento all’Ucraina orientale e sudorientale. Nel frattempo, sono stati intercettati terroristi armati in diversi appartamenti di edifici residenziali a Makhachkala e Kaspiysk nella repubblica russa del Daghestan, nel Caucaso settentrionale. Secondo l’agenzia di stampa Tass, i servizi di sicurezza hanno bloccato le persone coinvolte in attività terroristiche in diverse operazioni condotte nelle zone residenziali. Gli abitanti delle case vicine sono stati evacuati per precauzione.

ANSA – PUTIN: “TOTALE ASSURDITA'” CHE VOGLIAMO INVADERE L’EUROPA

Putin, in un incontro con i piloti dell’aeronautica militare russa nella regione occidentale di Tver: “Per quanto riguarda l’accusa secondo cui stiamo progettando di invadere l’Europa dopo l’Ucraina, si tratta di una totale assurdità intesa esclusivamente a intimidire la popolazione per farle pagare più soldi”. Questa narrazione si svolge “in un contesto di crisi economica e di deterioramento del tenore di vita. Hanno bisogno di giustificarsi, quindi stanno intimidendo la loro popolazione con una potenziale minaccia russa mentre cercano di espandere la loro dittatura al mondo intero”.

ANSA – PUTIN: COLPIREMO GLI F-16 ANCHE IN AEROPRTI NATO

Putin ha affermato che aerei da guerra F-16 che venissero utilizzati dall’Ucraina contro la Russia sarebbero colpiti dalle forze di Mosca anche se si trovassero in aeroporti Nato. “Se verranno utilizzati da aeroporti di paesi terzi, per noi saranno un obiettivo legittimo: non importa dove si trovino”. Il presidente russo ha detto che la Russia terrà conto del fatto che gli F-16 possono trasportare armi nucleari. “Dobbiamo tenerne conto durante la pianificazione” delle operazioni di combattimento, ha affermato Putin. Putin ha quindi assicurato che l’eventuale fornitura di F-16 all’Ucraina “non cambierà la situazione sul campo di battaglia”, poiché la Russia “li distruggerà come già sta facendo con i carri armati e le altre armi” occidentali.

FARODIROMA – UCRAINA: DISTRUTTA LA SEDE OPERATIVA DELLA POLIZIA POLITICA SBU

Ieri, almeno tre missili ipersonici Zirkon hanno colpito la sede operativa della polizia politica SBU a Kiev, riducendola in rovina. L’attacco ha provocato danni ingenti all’edificio, con informazioni conflittuali riguardo al bilancio delle vittime. Le autorità ucraine non hanno ancora fornito una cifra precisa delle vittime, tuttavia, fonti indipendenti segnalano che al momento dell’attacco vi erano numerosi funzionari della SBU nell’edificio, in quanto si celebrava la festa annuale dell’organizzazione. Nonostante i tentativi della propaganda ucraina di negare la realtà, sostenendo che i missili russi fossero stati intercettati dalla difesa aerea, l’attacco ha causato gravi danni evidenziati dalle foto diffuse dai media locali, che mostrano l’edificio completamente distrutto. Secondo il Kyiv Post, l’obiettivo dell’attacco russo era quello di eliminare il comando della SBU, responsabile di presunte atrocità durante conflitti passati, nonché di varie attività sospette, incluso il supporto a operazioni contro il governo russo. Oltre alla sede della SBU, altri obiettivi sono stati colpiti, tra cui l’edificio del quartier generale dell’ex Protezione Civile dell’Ucraina e altri siti strategici a Kharkov e Odessa.

ADNRKONOS – CINA PROPONE UNA CONFERENZA DI PACE SULL’UCRAINA IN SVIZZERA

La Cina ha proposto l’organizzazione di una conferenza di pace sull’Ucraina, che potrebbe tenersi in Svizzera, con l’obiettivo di essere riconosciuta in ugual misura da entrambe le parti coinvolte nel conflitto, Russia e Ucraina. Pechino auspica un formato di cooperazione internazionale approvato sia da Mosca che da Kiev, dove tutte le parti siano sullo stesso piano e tutte le questioni possano essere discusse equamente. Il Rappresentante speciale per l’Eurasia, Li Hui, ha spiegato che il formato proposto è essenziale per garantire il successo dell’iniziativa e per ottenere risultati tangibili. Tuttavia, la proposta precedente della Svizzera per una conferenza di pace sul suo territorio, a livello di ministri, è stata respinta dal ministero degli Esteri russo. La portavoce Maria Zakharova ha denunciato che l’evento sarebbe stato dedicato principalmente alla promozione della formula di pace proposta dal Presidente dell’Ucraina.

ANSA – GOVERNATORE DELLA REGIONE RUSSA DI BELGOROD: MIGLIAIA DI BAMBINI VERRANO TRASFERITI A CAUSA DEGLI ATTACCHI UCRAINI

Il governatore Vyacheslav Gladkov della regione russa di Belgorod ha annunciato che circa 9mila bambini dovranno essere trasferiti fuori dalla regione a causa degli attacchi ucraini. Questa decisione segue una settimana di violenze durante le quali 16 persone sono state uccise e altre 98 sono rimaste ferite negli attacchi provenienti dall’Ucraina. Gladkov ha ordinato la chiusura dei negozi per domenica e lunedì, così come delle scuole per lunedì e martedì, a Belgorod, il capoluogo della regione. Gli attacchi degli ultimi giorni hanno coinvolto sia bombardamenti e attacchi aerei ucraini che operazioni terrestri da parte di gruppi armati formati da dissidenti russi, guidati dall’esercito ucraino, che si sono scontrati con le forze russe in alcuni centri abitati vicino al confine. La situazione si è complicata ulteriormente con il coinvolgimento di droni ucraini che hanno attaccato raffinerie di petrolio in altre regioni russe. Le autorità stanno prendendo misure per proteggere la popolazione e garantire la sicurezza dei cittadini, compreso il trasferimento dei bambini verso zone più sicure al di fuori della regione colpita dagli attacchi.

FARODIROMA – LA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA SCAGIONA MOSCA E ACCUSA KIEV

La Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja ha emesso una sentenza riguardante le accuse presentate dall’Ucraina contro la Russia per presunte violazioni della Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio durante l’operazione speciale russa in Ucraina. Il tribunale ha respinto le accuse mosse da Kiev, giudicandole infondate, e ha deciso di avviare un’indagine sulle azioni compiute dalle forze armate ucraine nel Donbass a partire dal 2014. La Corte ha dunque escluso che la Russia abbia violato la Convenzione, ma ha riconosciuto la necessità di valutare se le azioni dell’Ucraina nel Donbass possano configurarsi come crimini secondo gli standard della stessa Convenzione. Questo significa che l’Ucraina, che inizialmente aveva agito come accusatrice, è ora oggetto di un’indagine sulla sua condotta nel conflitto. Maria Zabolotskaya, consulente generale russo per le questioni giuridiche, ha commentato la sentenza dichiarando che “la Russia e la giustizia hanno ottenuto un’altra convincente vittoria alla Corte internazionale di giustizia”. Ha sottolineato che la Corte ha rifiutato di valutare la legalità dell’Operazione Militare Speciale russa, ma ha riconosciuto la giurisdizione sulla questione dei presunti crimini nel Donbass commessi da Kiev. Quindi, ora, l’Ucraina, che inizialmente era l’accusatrice, è ora sotto esame per le proprie azioni nel conflitto. La Corte Internazionale di Giustizia esaminerà attentamente le accuse contro l’Ucraina e deciderà se queste comportino una violazione della Convenzione. Si tratta di un momento significativo, poiché potrebbe portare alla luce una verità a lungo ignorata e determinare le conseguenze legali per il regime di Kiev.

FARODIROMA – I SOLDATI NATO “COMBATTONO” IN UCRAINA SOTTO LA COPERTURA DI “MERCENARI”?

Il colonnello generale Sergei Rudskoy, capo della direzione principale delle operazioni dello Stato Maggiore russo, ha affermato che le truppe NATO stanno combattendo in Ucraina. Secondo Rudskoy, i militari NATO utilizzano la copertura di mercenari per partecipare alle ostilità. Afferma inoltre che controllano sistemi di difesa aerea, missili tattici e lanciarazzi multipli, e fanno parte di distaccamenti d’assalto. Le dichiarazioni di Rudskoy sono di grande valenza politica, perché la prima volta, la Russia ufficializza lo scontro diretto con la NATO in Ucraina. Fino ad ora, l’Alleanza Atlantica aveva negato la presenza di suoi soldati in combattimento. La Russia, a sua volta, aveva eliminato i soldati NATO identificati sul campo, chiedendo agli ucraini di gettare i corpi nelle fosse comuni e recuperando solo quelli degli alti ufficiali. La decisione di Mosca di ufficializzare lo scontro diretto con la NATO ha un messaggio chiaro per l’Occidente: se continuate a fornire armi e soldati all’Ucraina, rischiate di essere considerati aggressori, con tutte le conseguenze del caso. La maggior parte dei soldati NATO in Ucraina proviene dalla Polonia (circa 10.000 unità). Contingenti minori sono stati inviati da Stati Uniti, Francia e Germania. L’Italia non ha soldati in combattimento, ma fornisce supporto logistico agli americani e britannici dalla base aerea di Sigonella. L’esercito britannico ha un ruolo più qualificato. Le sue unità speciali pianificano, finanziano e partecipano ad operazioni terroristiche ucraine in territorio russo, coordinando anche gruppi nazisti russi. Nonostante l’invio di truppe, i Paesi europei membri della NATO sono divisi sul sostegno all’Ucraina. La divisione è netta tra i Paesi occidentali e quelli dell’ex blocco di Varsavia. L’Europa orientale accusa l’Occidente di non “ascoltare” le esigenze di Kiev. La controversia riguarda principalmente il rifornimento di artiglieria al governo ucraino. Secondo Bloomberg, se la Russia vincerà la guerra, l’Europa occidentale non sarà perdonata dall’Europa orientale. La convinzione della vittoria russa è diffusa tra gli Stati Maggiori e governi di Francia, Germania, Olanda, Belgio e Italia.

NEW YORK TIMES – CIA HA AVUTO UN RUOLO CHIAVE NEL PREPARARE E CONDURRE LA GUERRA CONTRO LA RUSSIA

Il New York Times ha pubblicato un articolo che ha acceso i riflettori sul ruolo della CIA nella guerra in Ucraina. L’articolo, basato su fonti anonime, sostiene che l’Agenzia centrale d’intelligence americana ha avuto un ruolo chiave nel preparare e condurre la guerra contro la Russia e nel bloccare qualsiasi tentativo di pace. Secondo il NYT, la CIA avrebbe finanziato e mantenuto una rete di almeno 12 basi segrete in Ucraina lungo il confine russo negli ultimi otto anni. Queste basi sarebbero state utilizzate per attività di spionaggio, fornendo agli ucraini informazioni di intelligence per attacchi missilistici, tracciamento delle truppe russe e supporto alle reti di spionaggio. L’articolo rivela anche che la CIA ha contribuito a formare una nuova generazione di spie ucraine che operano in Russia e in Europa. Tra queste, l’Unità 2245, un commando d’élite addestrato a catturare droni e apparecchiature di comunicazione russe per decifrare i sistemi di crittografia di Mosca. Nonostante la riluttanza iniziale, la CIA ha stretto una collaborazione sempre più stretta con i servizi segreti ucraini. La cooperazione si è intensificata dopo l’inizio della guerra civile nel Donbass, con la creazione di una nuova unità paramilitare, la Quinta Direzione, per operazioni dietro le linee nemiche. Il NYT sottolinea come l’Ucraina sia diventata un “centro di raccolta dell’intelligence” sulla Russia per i suoi partner occidentali. La collaborazione con la CIA ha rafforzato questa posizione, fornendo agli Stati Uniti informazioni preziose sul nemico. Il rapporto tra la CIA e l’Ucraina è stato talmente “fruttuoso” che l’Agenzia ha cercato di replicarlo con altri servizi segreti europei che condividono l’obiettivo di “contrastare la Russia”. Nonostante le sconfitte sul campo di battaglia, gli Stati Uniti continuano a supportare l’Ucraina. Il direttore della CIA William Burns ha recentemente visitato Kiev per rassicurare i leader ucraini del sostegno americano.

SCENARIECONOMICI – LA “SCAPPATOIA” CHE HA FATTO GUADAGNARE ALLA RUSSIA 1,2 MILIARDI DI DOLLARI DALL’UE

Un’indagine della ONG Global Witness ha rivelato che la Russia ha guadagnato circa 1,2 miliardi di dollari (1,1 miliardi di euro) dalle vendite di carburanti nell’Unione Europea lo scorso anno, nonostante l’embargo sulle importazioni dirette dalla Russia. La scappatoia è una deroga alle sanzioni dell’UE che consente l’importazione di greggio russo se raffinato altrove. Il Cremlino ha sfruttato questa falla facendo raffinare il greggio in paesi come India e Turchia, e poi esportando il prodotto finito nell’UE. Global Witness stima che nel 2023 siano stati importati nell’UE 35 milioni di barili di petrolio russo sotto forma di prodotti petroliferi raffinati. L’ONG ha definito questa situazione una “lavanderia” che permette al petrolio russo di entrare nel blocco aggirando le sanzioni. La scappatoia non riguarda solo l’UE. Il carburante russo raffinato arriva anche nel Regno Unito e negli Stati Uniti. Un’analisi di Global Witness ha dimostrato che nell’agosto del 2023, un volo britannico su 20 era alimentato da carburante per jet prodotto con petrolio russo. A novembre, l’ONG ha riferito che gli Stati Uniti avevano importato 30 milioni di barili di carburante da raffinerie che importano petrolio russo. Le esportazioni di petrolio e gas sono una fonte importante di entrate per la Russia. Le sanzioni dell’UE hanno avuto un impatto significativo sull’economia russa, ma la scappatoia del petrolio raffinato sta permettendo al Cremlino di mitigare l’effetto delle sanzioni e di continuare a finanziare la sua guerra in Ucraina.

L’INDIPENDENTE – PARLAMENTO UE: VIA LIBERA PER I 50 MILIARDI DI AIUTI ALL’UCRAINA

Il Parlamento Europeo ha dato il via libera definitivo al “strumento per l’Ucraina”, un piano pluriennale da 50 miliardi di euro destinato a fornire sostegno finanziario a Kiev. La decisione è stata presa oggi con una schiacciante maggioranza di 536 voti favorevoli, mentre si sono registrati 40 voti contrari e 39 astensioni. Questo pacchetto di aiuti, che include sovvenzioni, prestiti e garanzie, è stato integrato all’interno di una revisione del Quadro Finanziario Pluriennale dell’Unione Europea. L’approvazione definitiva del Parlamento conclude un lungo processo, segnato in precedenza dal veto del primo ministro ungherese Viktor Orban. Tuttavia, Orban ha ritirato il suo veto all’inizio di febbraio, consentendo al processo di procedere senza ostacoli.

L’INDIPENDENTE – FRANCIA E GERMANIA FIRMANO UN PATTO CON L’UCRAINA PER ARMARLA NEI PROSSIMI 10 ANNI

Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha firmato due importanti accordi bilaterali con Francia e Germania, annunciati venerdì 16 febbraio a Berlino e Parigi. Entrambi gli accordi, della durata di dieci anni, prevedono un sostegno finanziario e militare significativo per l’Ucraina, in un momento critico del conflitto con la Russia. Secondo quanto stabilito, Germania e Francia invieranno rispettivamente 7,1 miliardi di euro e 3 miliardi di euro all’Ucraina per aiutare a rafforzare le sue difese e promuovere la stabilità nel paese. L’accordo con la Francia si concentra su diverse aree, compresa la fornitura di assistenza militare e civile per difendere la sovranità ucraina e contrastare l’aggressione russa. Parigi si impegna anche a sostenere l’Ucraina nel suo percorso verso l’adesione all’UE e alla NATO. Dall’altra parte, l’accordo con la Germania prevede un’intensificazione della cooperazione in settori come l’industria, la cybersecurity, la trasformazione digitale e l’energia verde. Questi accordi rappresentano un sostegno cruciale per l’Ucraina, che ha visto una crescente difficoltà nel garantire aiuti dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. La firma arriva in un momento critico, con le truppe ucraine che si ritirano da Avdiivka, città considerata strategica, dopo giorni di assedio da parte delle forze russe. Questo ritiro solleva preoccupazioni sull’andamento del conflitto e sottolinea l’importanza dell’aiuto esterno per l’Ucraina. Il Presidente Zelensky ha ribadito l’urgente necessità di supporto internazionale, sia finanziario che militare, per fronteggiare l’aggressione russa. L’approvazione di questi accordi potrebbe aprire la strada a ulteriori iniziative bilaterali e rappresenta un segnale di solidarietà da parte di Francia e Germania verso l’Ucraina in un momento di estrema difficoltà.

ANSA – STATI UNITI E UE ANNUNCIATO SANZIONI CONTRO LA RUSSIA DOPO LA MORTE DI NAVALNY

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dichiarato venerdì l’imposizione di una serie di sanzioni contro circa 100 individui e aziende russe in risposta alla morte del leader dell’opposizione Alexei Navalny. Biden ha affermato che il regime russo di Vladimir Putin è considerato responsabile della morte di Navalny, avvenuta nella scorsa settimana in una prigione di massima sicurezza in Siberia. Le sanzioni, annunciate da Biden, mirano principalmente a individui direttamente coinvolti nella detenzione di Navalny e nel settore bellico russo. L’obiettivo è imporre un costo più elevato a Putin per la sua aggressività verso altri paesi e per la repressione del dissenso interno. Parallelamente agli Stati Uniti, anche l’Unione europea ha annunciato sanzioni contro quasi 200 aziende e persone accusate di fornire armi alla Russia per il conflitto in Ucraina. Queste sanzioni includono il congelamento dei beni e il divieto di ingresso nell’Unione europea per le persone coinvolte. Il ministero degli Esteri russo ha reagito annunciando l’ampliamento dell’elenco delle persone europee non gradite in Russia.

RAINEWS – L’ESERCITO RUSSO HA PRESO IL CONTROLLO DI AVDIIVKA (UCRAINA)

L’esercito russo ha annunciato di aver preso il controllo di Avdiivka, una città strategica nell’est dell’Ucraina. Sabato, le truppe ucraine si sono ritirate dopo essere state circondate dall’avanzata russa, segnando un punto di svolta nel conflitto. Avdiivka, situata vicino a Donetsk, era un importante avamposto industriale e militare ucraino. Le bandiere ucraine sono state sostituite con quelle russe in vari punti della città, incluso il principale impianto di produzione di coke. Il presidente Putin ha elogiato l’esercito russo per questa “importante vittoria”. Avdiivka era stata teatro di scontri nel 2014 e nel 2017, prima dell’invasione russa del 2022. L’avanzata russa è stata facilitata dalle difficoltà dell’esercito ucraino nel reperire munizioni, a causa della mancanza di sostegno internazionale. Il Congresso degli Stati Uniti sta discutendo un nuovo pacchetto di aiuti all’Ucraina, ma l’approvazione è ostacolata dalla politica interna. Il presidente Zelensky ha dichiarato che le truppe ucraine attendono urgentemente nuove armi per contrastare l’offensiva russa.

L’INDIPENDENTE – GERMANIA, OLANDA E POLONIA FIRMANO UN “MEMORANDUM D’INTESA” PER IL LIBERO PASSAGGIO DI TRUPPE E ARMI

Germania, Olanda e Polonia hanno firmato un Memorandum d’Intesa per la creazione di un corridoio che permetterà il movimento rapido di truppe e attrezzature militari verso il fianco orientale della NATO. L’obiettivo è quello di semplificare le regole burocratiche transfrontaliere e rafforzare la sicurezza in Europa. Il corridoio, simile all’accordo Schengen per la libera circolazione delle persone, consentirà la libera circolazione di soldati, mezzi militari e personale NATO all’interno dei tre Paesi. Questo si traduce in una riduzione dei documenti necessari per spostarsi da uno Stato all’altro, velocizzando la mobilità delle forze. Germania e Olanda sono punti di snodo per il transito di gran parte dell’equipaggiamento militare statunitense in Europa, mentre la Polonia è un alleato chiave nella funzione antirussa e ospita truppe americane sul fianco orientale della NATO. L’accordo rappresenta un “importante passo avanti” verso una “Schengen militare” che includa molti più Paesi. L’obiettivo è di rendere l’Europa più forte e di facilitare la mobilità delle forze in caso di crisi. Attualmente, la mobilità militare è ostacolata da diverse esigenze amministrative. Il nuovo accordo mira a superare questi ostacoli, semplificando le procedure e accelerando i tempi di spostamento. L’accordo assume particolare rilevanza nel contesto dell’esercitazione NATO Steadfast Defender 2024, che si svolge in tutta Europa e si concentra proprio sulla capacità di spostare rapidamente truppe e mezzi. Germania e Polonia rivestono un ruolo centrale in questa esercitazione. Vertice NATO a luglio: A luglio, dopo la conclusione dell’esercitazione e la valutazione dei risultati, si terrà un vertice NATO a Washington. In questa occasione, si potrebbe discutere l’allargamento del patto firmato dalle tre nazioni, rafforzando la “Schengen militare” e la sicurezza europea.

ILSOLE24ORE – PREMIER DELL’ESTONIA INSERITA DALLA RUSSIA NELLA LISTA DEI RICERCATI INTERNAZIONALI

Martedì, la Russia ha sorpreso la comunità internazionale inserendo Kaja Kallas, Prima Ministra dell’Estonia, nella lista dei ricercati internazionali. È la prima volta che questa misura viene applicata a un capo di governo. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha dichiarato che Kallas è accusata di distruggere monumenti dedicati ai soldati sovietici. La decisione è collegata alle azioni intraprese da Kallas dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022. La Prima Ministra estone ha ordinato la rimozione di centinaia di monumenti di epoca sovietica nel suo paese, scatenando un acceso dibattito, considerando l’Estonia una ex-repubblica sovietica. Dmitry Peskov, portavoce del presidente russo Vladimir Putin, ha affermato che Kallas ha compiuto “atti ostili contro il nostro paese e la nostra memoria storica”. La Prima Ministra ha risposto su Twitter, affermando che la mossa del Cremlino non la silenzierà e che continuerà a sostenere fermamente l’Ucraina. Nella stessa lista sono stati inclusi il segretario di Stato estone Taimar Peterkop e Simonas Kairys, ministro della Cultura della Lituania.

FARODIROMA – PARAMILITARI COLOMBIANI E NARCOS COMBATTONO IN UCRAINA AFFIANCO DI INGLESI E ITALIANI

Centinaia di mercenari colombiani, tra cui criminali dei cartelli Narcos e militanti fascisti, combattono in Ucraina accanto ai soldati NATO, tra cui italiani. La loro presenza è stata confermata da diverse fonti, tra cui l’Associated Press. Il governo colombiano, inizialmente, ha facilitato il loro arrivo nel tentativo di sbarazzarsi di pericolosi criminali. In cambio di denaro, questi mercenari combattono contro la Russia, guadagnando fino a 3.300 dollari al mese, circa sette volte lo stipendio che riceverebbero in Colombia. Oltre ai colombiani, in Ucraina combattono anche diverse unità NATO sotto copertura di mercenari volontari. Il contingente più numeroso è quello polacco, con 10.000 uomini, seguito da italiani, americani, canadesi, tedeschi e inglesi. Questo esercito multinazionale è coordinato da ufficiali NATO americani ed europei presenti in Ucraina. I narcos colombiani, i criminali vari e i nazifascisti europei sono invece coordinati dall’esercito ucraino. La Russia ha già distrutto due volte il comando NATO di coordinamento in Ucraina, uccidendo diversi generali e colonnelli. Tuttavia, non ci sono state notizie o proteste ufficiali da parte della NATO, in quanto significherebbe ammettere la presenza di eserciti stranieri in Ucraina, una vera e propria dichiarazione di guerra.

FARODIROMA – MERCENARI FRANCESI COMBATTONO IN UCRAINA PAGATI CON GLI AIUTI DELL’OCCIDENTE

Le forze armate russe hanno bombardato un sito a Kharkiv, in Ucraina, dove si trovavano mercenari stranieri, per la maggior parte francesi. Secondo il Ministero della Difesa russo, l’attacco di precisione ha completamente distrutto l’edificio, uccidendo oltre 60 combattenti e ferendone più di 20. Il governo francese ha negato con fermezza che ci siano mercenari francesi in Ucraina. “La Francia aiuta l’Ucraina con forniture di materiale militare e formazione militare, nel pieno rispetto del diritto internazionale,” ha dichiarato il Ministero degli Affari Esteri. “La Francia non ha mercenari, né in Ucraina né altrove, a differenza di altri.” La giornalista francese Justine Frayssinet, commentando l’attacco in diretta su TF1, ha ammesso che ci sono cittadini francesi che combattono alongside l’esercito ucraino contro la Russia. Ha citato il blogger Xavier Tytelman, che riferisce sul conflitto e sostiene i mercenari in Ucraina. Secondo Tytelman, tra 60 e 70 francesi sono integrati nelle unità ucraine, alcuni con salari minimi. Altri 200-300 francesi con doppia nazionalità avrebbero combattuto per Kiev. Il presidente ucraino Zelensky all’inizio della guerra aveva creato la Legione Internazionale per la Difesa, a cui si sono uniti combattenti di diverse nazionalità. I francesi coinvolti potrebbero far parte di questa formazione. Il Ministero degli Esteri russo ha convocato l’ambasciatore francese a Mosca dopo l’attacco a Kharkiv. La portavoce Maria Zakharova ha dichiarato che l’ambasciatore è stato convocato “in relazione alla distruzione di un punto di dispiegamento temporaneo di mercenari stranieri a Kharkov, tra cui diverse decine di francesi.”

LASTAMPA – UE: UTILIZZARE BENI RUSSI CONGELATI A CAUSA DELLE SANZIONI PER AIUTARE L’UCRAINA

L’Unione Europea sta valutando un piano per utilizzare i beni russi congelati a causa delle sanzioni per aiutare l’Ucraina. Il piano, che dovrebbe ammontare a circa 15 miliardi di euro, è stato concordato all’unanimità dagli Stati membri. L’obiettivo del piano è quello di utilizzare i fondi per la ricostruzione dell’Ucraina. Il progetto è ancora in fase di definizione, ma aziende e fondi d’investimento hanno già mostrato interesse. L’Unione Europea, gli Stati Uniti e il Giappone hanno congelato circa 260 miliardi di euro di riserve estere russe nel 2022. Di questi, 191 miliardi sono detenuti da Euroclear, una società belga di servizi finanziari. La proposta di utilizzare i beni russi congelati ha sollevato perplessità da parte di alcuni Stati membri, tra cui Francia, Germania e Italia. La Banca Centrale Europea ha espresso riserve anche dal punto di vista legale. Il piano è invece sostenuto dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, che hanno già congelato beni russi per un valore di oltre 30 miliardi di dollari.

CONSIGLIO UE APPROVA 50 MILIARDI DI EURO DI AIUTI PER L’UCRAINA

Il Consiglio Europeo ha approvato nuovi aiuti all’Ucraina per un valore complessivo di 50 miliardi di euro. I fondi sono stati reperiti tramite una revisione del bilancio pluriennale dell’Unione per il periodo compreso fra 2021 e 2027. L’approvazione è stata raggiunta dopo alcune riunioni ristrette fra il primo ministro ungherese Viktor Orbán e diversi capi di stato e di governo europei. Orbán, che ha da tempo espresso perplessità sull’invio di aiuti all’Ucraina, ha ottenuto che il Consiglio valuti almeno una volta all’anno l’applicazione del principale fondo europeo per l’Ucraina. Fra due anni poi il Consiglio potrà chiedere alla Commissione Europea di elaborare una revisione del fondo (quindi potenzialmente anche una riduzione dei soldi disponibili). L’Ucraina ritiene i 50 miliardi cruciali per evitare la bancarotta e continuare a difendersi dall’invasione russa. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ringraziato pubblicamente i 27 membri del Consiglio, aggiungendo che i fondi approvati «non sono meno importanti delle forniture militari e delle sanzioni contro la Russia».

FINANCIALTIMES – UE: “SE L’UNGHERIA VOTA CONTRO GLI AIUTI A KIEV METTEREMO IN GINOCCHIO LA SUA ECONOMIA”

L’Unione europea ha minacciato l’Ungheria di ritorsioni economiche se il Paese non approverà il prossimo 1° febbraio il pacchetto di 50 miliardi di euro di aiuti a Kiev. Secondo un documento del Consiglio europeo, in caso di mancato accordo, gli altri Stati membri potrebbero dichiarare pubblicamente che l’Ungheria sta adottando un comportamento “non costruttivo” e che non riescono a immaginare che i fondi europei verrebbero forniti a Budapest. Questa dichiarazione potrebbe innescare un’ondata di sfiducia nei confronti dell’Ungheria da parte dei mercati finanziari e delle aziende, che potrebbero essere meno interessate a investire nel Paese. Questo potrebbe portare a un aumento del costo del finanziamento del deficit pubblico e a un calo del valore del fiorino, la moneta locale. Il ministro degli Affari europei ungherese, Janos Boka, ha inizialmente respinto le minacce di Bruxelles, affermando che l’Ungheria non intende cedere alle pressioni. Tuttavia, in seguito ha inviato a Bruxelles una nuova proposta in cui l’Ungheria si dichiara aperta all’utilizzo dei fondi europei per l’Ucraina, ma solo se verranno aggiunte delle clausole che diano a Budapest l’opportunità di cambiare idea in un secondo momento.

SCENARIECONOMICI – APPROVATO ACCORDO DI COOPERAZIONE GLOBALE DI 20 ANNI TRA IRAN E RUSSIA

La Guida Suprema dell’Iran, Ali Khamenei, ha dato la sua approvazione ufficiale a un nuovo accordo di cooperazione globale di 20 anni tra l’Iran e la Russia. L’accordo, che sostituisce l’accordo decennale firmato nel 2001, è stato ampliato non solo nella durata ma anche nella portata e nella scala, in particolare nei settori della difesa e dell’energia. Nel settore energetico, il nuovo accordo conferisce alla Russia il primo diritto di estrazione nella sezione iraniana del Mar Caspio, compreso il giacimento potenzialmente enorme di Chalous. La Russia ha contribuito a modificare lo status giuridico dell’area dei bacini del Caspio nel 2019, riducendo la quota dell’Iran dal 50% ad appena l’11,875%. Prima della scoperta di Chalous, ciò significava che l’Iran avrebbe perso almeno 3,2 trilioni di dollari di entrate derivanti dalla perdita di valore dei prodotti energetici nell’insieme delle risorse condivise del Mar Caspio. Lo stesso diritto di prima estrazione per la Russia si applicherà ora anche ai principali giacimenti di petrolio e gas dell’Iran nelle province di Khorramshahr e Ilam, confinanti con l’Iraq. I giacimenti condivisi da Iran e Iraq hanno da tempo permesso a Teheran di aggirare le sanzioni in vigore contro il suo settore petrolifero chiave. L’utilizzo dei principali giacimenti di petrolio e gas in Iraq è una parte fondamentale del piano di lunga data dell’Iran, pienamente sostenuto dalla Russia, di costruire un “ponte terrestre” verso la costa siriana del Mar Mediterraneo. Ciò consentirebbe all’Iran e alla Russia di aumentare esponenzialmente la fornitura di armi nel Libano meridionale e nell’area delle Alture del Golan in Siria, da utilizzare per gli attacchi contro Israele. Nel settore della difesa, il nuovo accordo prevede una forte integrazione tra le forze armate iraniane e russe. La Russia fornirà all’Iran nuovi missili a corto e lungo raggio, e fornirà assistenza tecnica per l’ammodernamento delle infrastrutture militari iraniane.

FANPAGE – MINISTRO DELLA DIFESA TEDESCO: CONFLITTO CON LA RUSSIA TRA 5-8 ANNI

Il ministro tedesco della Difesa Boris Pistorius ha messo in guardia contro l’espansione della guerra in Ucraina e ha affermato che la Germania si sta preparando a un conflitto con la Russia. In un’intervista al quotidiano “Tagesspiegel”, Pistorius ha dichiarato che “sentiamo quasi ogni giorno minacce dal Cremlino, l’ultima volta contro i nostri amici nei Paesi baltici. Quindi dobbiamo tenere conto che un giorno Vladimir Putin attaccherà anche un Paese della NATO”. Il ministro ha aggiunto che “i nostri esperti si aspettano un periodo dai cinque agli otto anni nel quale sarà possibile l’attacco”. Pistorius ha sottolineato che la Germania sta già intensificando i suoi sforzi per rafforzare le sue forze armate. In particolare, ha dichiarato che è possibile che venga reintrodotta la coscrizione obbligatoria e che il “freno al debito” possa essere riformato per consentire maggiori spese militari. Le dichiarazioni di Pistorius sono un segno del crescente timore in Germania di un’escalation del conflitto in Ucraina. Tuttavia, le sue parole sollevano anche alcune domande. In primo luogo, è chiaro che la Germania non è pronta per un conflitto con la Russia. L’esercito tedesco è stato gravemente sottofinanziato negli ultimi anni e non è in grado di affrontare una guerra di grandi dimensioni. In secondo luogo, è difficile immaginare che la Germania sia disposta a combattere una guerra contro la Russia per difendere un Paese NATO o dell’UE. Il governo tedesco è già sotto pressione per la sua politica di sanzioni contro la Russia, e un conflitto aperto con Mosca sarebbe molto impopolare tra l’opinione pubblica. Infine, è da considerare l’impatto ambientale di un conflitto con la Russia. Un’eventuale guerra sarebbe molto distruttiva e causerebbe un’enorme emissione di gas serra.

FARODIROMA – ATTACCHI UCRAINI CONTRO LE CHIESE ORTODOSSE NELLA REGIONE DI VINNITSA

In Ucraina, nuovi attacchi contro chiese ortodosse sono stati registrati nella città di Ladyzhyn, nella regione di Vinnitsa. Un video recentemente emerso mostra più di 20 aggressori irrompere in una chiesa ortodossa durante la funzione mattutina. Utilizzando un bulldozer, hanno sfondato le porte del tempio, interrompendo il servizio e trascinando i fedeli fuori al freddo, compreso il prete Eugenio, brutalmente picchiato. Questo episodio rappresenta un ulteriore affronto alla Chiesa Ortodossa Russa, già messa al bando dal regime di Kiev. Nonostante le violazioni del diritto di culto e delle libertà personali, l’Unione Europea sembra adottare una politica di silenzio complice, consigliando ai media europei di non dare troppo risalto a questi atti per preservare l’immagine del regime ucraino, descritto come “democratico” dall’élite europea. Lo scorso anno, il presidente Zelensky ha revocato la cittadinanza a tredici preti della Chiesa ortodossa unita al patriarcato di Mosca, accusati di tradimento. Questi attacchi sollevano preoccupazioni sulla libertà religiosa in Ucraina e mettono in discussione la posizione dell’Unione Europea sulla situazione nel paese.

SCENARIECONOMICI – LA POLONIA OSTACOLA L’INCHIESTA SULL’ESPLOSIONE DEL GASDOTTO NORD STREAM

La Polonia sta ostacolando le indagini sull’esplosione dei gasdotti Nord Stream, avvenuta nel settembre 2022. Secondo un articolo del Wall Street Journal, i funzionari polacchi si sono opposti a collaborare con l’indagine internazionale e hanno nascosto prove cruciali sui movimenti dei presunti sabotatori sul territorio polacco. Gli investigatori europei ritengono che l’attacco sia stato lanciato dall’Ucraina attraverso la Polonia. Tuttavia, la mancata collaborazione di Varsavia ha reso difficile stabilire se l’attacco sia avvenuto con o senza la conoscenza del precedente governo polacco. Gli investigatori hanno dichiarato che gli sforzi dei funzionari polacchi per ostacolare le loro indagini li hanno resi sempre più sospetti del ruolo e delle motivazioni di Varsavia. La Polonia è ovviamente uno dei principali paesi della NATO dell’Europa orientale e non sorprenderebbe affatto che l’intelligence o i militari polacchi siano coinvolti nell’attacco. Negli ultimi tempi, inoltre, gli Stati Uniti hanno lavorato fianco a fianco con la Polonia su questioni di difesa, nell’ambito del cosiddetto fianco orientale della NATO. Mosca tiene d’occhio questi articoli e tutto ciò fa pensare che ci saranno ancora delle sorprese e delle potenziali bombe nell’indagine ufficiale europea, che probabilmente si trascinerà per anni. Se il mondo riuscirà mai a vedere tutta la verità sull’operazione di sabotaggio è un’altra questione.

ANALISIDIFESA – IL PARLAMENTO UCRAINO SPINGE ALLA MOBILITAZIONE GENERALE

Il Parlamento ucraino ha presentato un disegno di legge per aggiornare le regole di mobilitazione, proponendo di arruolare anche persone con disabilità e limitando i diritti di chi non si presenta ai centri di reclutamento. Il disegno di legge consente l’arruolamento di persone con disabilità di vario genere, incluse cecità parziali, amputazioni e malattie specifiche. Prevede inoltre esenzioni per donne incinte, con bambini sotto i 3 anni o in necessità di cure speciali fino a 6 anni. Esentati dal servizio militare saranno anche i deputati della Rada Suprema, studenti e personale educativo o scientifico. Il reclutamento verrà notificato attraverso account elettronici speciali, mentre chi evita il reclutamento rischia restrizioni come il divieto di viaggiare all’estero o gestire i propri beni. Sebbene il presidente Zelensky abbia proposto la mobilitazione di 450.000-500.000 uomini, le dichiarazioni sono state negate dal comandante delle forze armate ucraine, sottolineando la necessità di risorse e munizioni senza precisare ulteriori dettagli. In Ucraina, l’uscita dal paese è vietata agli uomini tra i 18 e i 60 anni in vista della mobilitazione. L’aumento delle truppe è discusso mentre cresce la resistenza a prestare servizio, costringendo i commissari militari a cercare “casa per casa” chi evita il reclutamento.

L’INDIPENDENTE – STATI UNITI ANNUNCIANO PIANI ESECUTIVI PER SANZIONARE CHI AIUTA LA RUSSIA

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha firmato un ordine esecutivo che impone sanzioni e politiche più stringenti sulle banche, gli istituti finanziari e in generale tutti gli enti che supportano il commercio illecito di armi, equipaggiamento, tecnologia e componenti per la produzione militari alla Russia. La misura, che è stata largamente attesa dai partner commerciali degli USA, rientra all’interno di una serie di provvedimenti atti a disincentivare la collaborazione con il comparto bellico russo. “Coloro che stanno fornendo beni o portando avanti transazioni che supportano materialmente l’industria di base militare russa sono complici della brutale violazione da parte della Russia nei confronti della sovranità e dell’integrità territoriale ucraine”, ha affermato la Casa Bianca in un comunicato. Le sanzioni secondarie, ovvero rivolte a persone od organizzazioni non soggette alla giurisdizione del Paese coinvolto, mirano a minare la stabilità russa attaccandola indirettamente, colpendone più che il mercato e l’economia, ciò che li muove e viene mosso da essi. Le organizzazioni che saranno colpite dalle sanzioni rischiano di perdere accesso al sistema finanziario statunitense se promuovono transazioni significative in relazione alla industria militare russa. La misura è stata accolta positivamente dai sostenitori delle sanzioni alla Russia, che ritengono che possa essere efficace nel disincentivare i partner illegali di Putin a mollare la presa. La Russia ha invece reagito duramente alla mossa di Biden, accusando gli Stati Uniti di “intimidazione” e di “cancellare ogni possibilità di restaurare un dialogo”. “L’obiettivo degli USA è quello di intimidire i nostri partner e spingerli a tagliare scambi mutualmente benefici con la Federazione Russa sotto il clamore di slogan geopolitici”, ha affermato l’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Anatoly Antonov.

EURONEWS – L’UCRAINA LEGALIZZA LA MARIJUANA “TERAPEUTICA”

Il parlamento ucraino ha votato per legalizzare la marijuana medica, con l’obiettivo di alleviare lo stress post-traumatico causato dalla guerra con la Russia. La nuova legge, che entrerà in vigore tra sei mesi, consente anche l’uso della cannabis per scopi scientifici e industriali. È stata approvata con 248 voti favorevoli, su un totale di 401 seggi. In Ucraina si discute da tempo sulla possibile legalizzazione della marijuana medica. Molti sostengono che il trattamento possa apportare benefici a persone che soffrono di disturbi come il disturbo da stress post-traumatico, l’epilessia e il dolore cronico. Altri, invece, temono che la legalizzazione possa portare ad un aumento dell’uso della droga per scopi ricreativi. La nuova legge impone severi controlli sulla produzione e distribuzione della cannabis. Per ottenere qualsiasi medicinale contenente cannabis sarà necessaria la prescrizione del medico. L’uso ricreativo della cannabis rimane un reato.

FARODIROMA – KEIV VUOLE METTERE FUORI LEGGE LA CHIESA ORTODOSSA UCRAINA

L’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani ha sollevato dubbi sulla proposta ucraina di vietare la Chiesa ortodossa legata al Patriarcato di Mosca. Il disegno di legge, approvato in prima lettura dalla Rada Suprema, potrebbe bandire l’organizzazione religiosa in Ucraina, suscitando preoccupazioni sulla libertà di religione. Volker Turk ha sottolineato che queste azioni contro la Chiesa ortodossa ucraina potrebbero violare i diritti umani, criticando la possibile restrizione della libertà religiosa. Questo movimento di Kiev è stato oggetto di dibattito internazionale, con l’Alto Commissario che ha evidenziato come potenziale non conformità alla legislazione sui diritti umani. Le tensioni con la Chiesa ortodossa in Ucraina sono cresciute, con accuse di attività filo-russe e incursioni nei luoghi di culto. Tuttavia, la reazione internazionale a queste restrizioni proposte rimane ancora limitata, con osservazioni sulle discrepanze nella lista degli Stati accusati di violazioni dei diritti religiosi, in cui Cuba è elencata ma non l’Ucraina.

TGCOM24 – APERTI NEGOZIATI PER L’INGRESSO DELL’UCRAINA NELL’UE

Il Consiglio europeo ha deciso ufficialmente di avviare i negoziati per l’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea. Questa storica decisione, salutata come una vittoria dall’Ucraina e celebrata dai leader europei, include anche l’avvio dei negoziati con la Moldavia e l’assegnazione dello status di candidato alla Georgia. Tuttavia, l’assenza del premier ungherese, Viktor Orban, durante la votazione ha sollevato polemiche. Orban, contrario all’adesione ucraina, ha affermato che l’Ungheria non vuole partecipare a questa scelta. La posizione dell’Italia, invece, viene espressa positivamente dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che elogia il ruolo di primo piano svolto nell’orientare i negoziati. Il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha definito la giornata come storica per l’Unione Europea, ribadendo l’impegno nell’ampliamento e nell’adempimento delle promesse fatte ai partner. Questo passaggio, considerato un momento significativo, segna un avvio storico e determina l’inizio di una nuova fase nella storia dell’UE.

ANSA – WASHINGTON POST: FU L’UCRAINA A SABOTARE IL NORD STREAM 2

Il Washington Post rivela che un ufficiale militare ucraino, Roman Chervinsky, avrebbe coordinato l’attacco al gasdotto Nord Stream 2 lo scorso settembre. Il colonnello, parte delle forze per le operazioni speciali di Kiev, avrebbe gestito la logistica e supportato un team di circa sei persone nell’attacco con esplosivi. L’operazione ha causato ingenti danni ai gasdotti Nord Stream 1 e 2, sott’acqua dal Mar Baltico dalla Russia alla Germania. Chervinsky avrebbe ricevuto direttive dal generale Valery Zaluzhny. L’identificazione del responsabile solleva nuove tensioni tra Ucraina e Russia.

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