Il “nerofumo”, derivato dalla combustione dei prodotti petroliferi e altre sostanze, è stato trovato in tessuti e organi dei feti
Particelle di smog sono state trovate nel sangue, nel cervello e negli organi dei feti. Un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell’Istituto di Scienze Mediche dell’Università di Aberdeen (Scozia) e del Centro per le Scienze Ambientali dell’Università Hasselt (Belgio), in collaborazione con i colleghi del Dipartimento dei Sistemi Microbici e Molecolari dell’Università di KU di Lovanio, ha scoperto la presenta di particelle provenienti dall’inquinamento atmosferico in tutti gli organi esaminati di bambini non ancora nati.
La ricerca “Maternal exposure to ambient black carbon particles and their presence in maternal and fetal circulation and organs: an analysis of two independent population-based observational studies” è stata pubblicata sull’autorevole rivista scientifica The Lancet Planetary Health.
La scoperta
Fegato, polmoni, cervello e sangue del cordone ombelicale sono risultati tutti contaminati dal nerofumo. Quindi, questo particolato ha la capacità di attraversare la placenta e penetrare nel sistema circolatorio del feto in via di sviluppo. Si tratta di una scoperta importante perché la contaminazione degli organi e dei tessuti di un bambino in via di sviluppo possono comportare anche danni permanenti.
I ricercatori, coordinati dai professori Paul A. Fowler e Tim S. Nawrot, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato campioni materno-perinatali e fetali legati a due studi distinti: ENVIRONAGE (Environmental Influences on Aging in Early Life) condotto presso l’ospedale del Limburgo orientale di Genk, in Belgio, e SAFeR (Scottish Advanced Fetal Research) presso gli ospedali delle aree di Aberdeen e Grampian, nel Regno Unito.
Entrambi gli studi erano relativi a coppie madre-feto di gravidanze non portate a termine ma in regolare progressione, come indicato nell’abstract dello studio. In tutto sono state coinvolte 60 coppie dello studio belga e 36 di quello britannico. Le madri erano non fumatrici e i feti avevano un’età gestazionale compresa tra le 7 e le 20 settimane (primo e secondo trimestre).
Per identificare le particelle di smog gli scienziati hanno utilizzato una tecnica con luce bianca pulsata a femtosecondi, in grado di rilevare il “nero di carbonio” (o nerofumo), un pigmento che deriva dalla combustione di prodotti petroliferi e altre sostanze. Rappresenta una delle principale “firme” dell’inquinamento atmosferico antropogenico e può essere rilevato anche in cima ai ghiacciai (sulle vette più elevate), dove viene trasportato dai venti.
Questo composto viene normalmente inalato da chi vive in ambienti inquinati e, come dimostrato dallo studio, è in grado di attraversare la placenta delle donne incinte ed entrare nel circolo sanguigno del feto, contaminando tessuti e organi in via di sviluppo.
Come indicato, le particelle sono state trovate nel cervello, nel fegato, nel polmone e nel sangue cordonale, ma anche nella placenta e nel sangue materno. Le concentrazioni più alte sono state rilevate nei campioni ottenuti da donne che vivevano negli ambienti più inquinati.
Il professor Paul Fowler ha detto: “Abbiamo dimostrato per la prima volta che le nanoparticelle del nero di carbonio non solo entrano nella placenta durante il primo e il secondo trimestre, ma poi trovano anche la loro strada verso gli organi del feto in via di sviluppo. […] Ciò che è ancora più preoccupante è che queste particelle entrano anche nel cervello umano in via di sviluppo. Ciò significa che è possibile che queste nanoparticelle interagiscano direttamente con i sistemi di controllo all’interno di organi e cellule fetali umani“.
Il professor Jonathan Grigg, della Queen Mary University di Londra, che non ha partecipato direttamente allo studio (ma fu il primo a scoprire nel 2018 particelle atmosferiche nella placenta), ha aggiunto: “Vedere le particelle entrare nel cervello dei feti aumenta i rischi, perché questo ha potenzialmente conseguenze per tutta la vita per il bambino. […] È preoccupante, ma non sappiamo ancora cosa succede quando le particelle si depositano in vari siti e rilasciano lentamente le loro sostanze chimiche“.
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